Cass. civ. Sez. I, Sent., 27-05-2011, n. 11794

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

e del quinto e sesto motivo, rigetto nel resto.
Svolgimento del processo

Su domanda di risarcimento del danno per l’occupazione acquisitiva di un suolo edificatorio di mq 2.992,75 utilizzato per la costruzione di una scuola, proposta dai sigg. Gi. e G.G. contro il Comune di Palermo, il Tribunale di quella città liquidò, con sentenza del 23 giugno 2000, L. 572.918.676, mentre si dichiarò incompetente sulla domanda, pure proposta dagli attori, di determinazione dell’indennità di occupazione legittima.

Il Comune propose appello chiedendo riliquidarsi il risarcimento del danno partendo dalla determinazione del valore venale del suolo in un importo minore. I G. resistettero proponendo anche appello incidentale. Lamentarono che il Tribunale aveva, in motivazione, liquidato anche l’ulteriore danno di L. 162.904.800, pari al valore di 37 box insistenti sul terreno, ma poi non aveva riportato la relativa condanna in dispositivo, nè aveva liquidato il valore dell’area di sedime di mq 678; formularono, quindi, corrispondenti richieste in via di correzione di errore materiale e di appello incidentale; contestarono, infine, la statuizione di incompetenza sulla domanda di liquidazione dell’indennità di occupazione legittima e chiesero che comunque a tale liquidazione provvedesse il giudice d’appello.

La Corte palermitana, in accoglimento del gravame principale proposto dal Comune, ridusse il risarcimento all’importo di Euro,105.210,70 (L. 203.716.051), rivalutato alla data della decisione secondo gli indici ISTAT e da maggiorare degli interessi, sulla somma progressivamente rivalutata, al tasso del 5 % annuo dal 29 gennaio 1995 al 31 dicembre 1996 (ritenendo eccessivo il tasso legale del vigente in quel torno di tempo) e al tasso legale per il periodo successivo e sino al soddisfo; respinse, invece, il gravame incidentale dei G. ma provvide comunque, come giudice di primo grado, .a determinare l’indennità per l’occupazione legittima, secondo il criterio degli interessi legali sull’indennità virtuale di occupazione dal 30 gennaio 1990 (data di inizio dell’occupazione) al 29 gennaio 1995 (data di scadenza del quinquennio di occupazione legittima), in Euro 48.072,64 (L. 93.081.611); dichiarò compensate per metà le spese dei due gradi di giudizio, considerati i termini della controversia e il suo esito complessivo, e pose l’altra metà a carico del Comune.

Nell’accogliere l’appello principale la Corte, premesso che doveva tenersi conto della destinazione urbanistica del suolo in questione a edilizia scolastica – destinazione avente carattere conformativo e non espropriativo – osservò che il valore venale del medesimo non poteva essere determinato in L. 450.000/mq, come aveva fatto il Tribunale basandosi sul prezzo convenuto in un rogito di vendita del 9 giugno 1997 – peraltro successivo di oltre due anni al perfezionarsi della vicenda ablativa in esame – riguardante un suolo rientrante in zona territoriale omogenea B2 con indice di fabbricabilità di 4 mc/mq. Il terreno oggetto di causa, invece, in base alle risultanze di una consulenza tecnica di ufficio resa in altro giudizio, andava valutato L. 160.000/mq, come ritenuto dall’appellante (che aveva sottolineato il maggior pregio e il maggior indice di edificabilità del terreno di cui al rogito 9 giugno 1997 e, per converso, la valutazione normalmente inferiore attribuita a suoli destinati a edilizia scolastica). Partendo da tale valore unitario, moltiplicato per mq 2.314,75 (dunque senza considerare i mq 678 occupati dai box), applicò quindi il criterio legale della semisomma tra valore venale e reddito dominicale rivalutato aumentata del 10%.

Nel rigettare, invece, l’appello incidentale, la Corte osservò che al valore dei box non doveva essere aggiunto quello della corrispondente area di sedime, essendo la valutazione come area libera edificabile logicamente alternativa alla valutazione come edificio (come era avvenuto, appunto, per i box). La stessa valutazione come area edificata, anzi, era illegittima, essendo i box abusivi e dunque destinati alla demolizione,, sicchè il valore avrebbe dovuto, correttamente, essere commisurato a quello della sola area. La valutazione dei box, tuttavìa, non poteva essere rimessa in discussione, in assenza di appello del Comune, con riguardo alla liquidazione del danno da occupazione appropriativa, ma della abusività dei manufatti poteva e doveva tenersi conto nella diversa e impregiudicata sede della determinazione dell’ indennità virtuale di esproprio ai fini della liquidazione dell’indennità di occupazione legittima (indennità virtuale che poi, infatti, i giudici di appello determinarono prendendo come base esclusivamente il valore del suolo per tutta la sua estensione di mq 2.992,75).

I sigg. G. hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi, illustrati anche da memoria.

L’amministrazione comunale intimata non ha svolto difese.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando vizio di motivazione e violazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 e della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 65, si lamenta che la Corte d’appello abbia determinato il valore del suolo in L. 160.000/mq, e non in L. 450.000/mq, perchè il terreno cui si riferiva quest’ultima valutazione rientrava in zona destinata a edilizia popolare mentre il terreno per cui è causa rientrava in zona destinata a edilizia scolastica, e ciò abbia fatto, contraddittoriamente e illogicamente, senza considerare: a) che le predette destinazioni sono entrambe "pubbliche"; b) che nel diverso giudizio in cui era stata eseguita la c.t.u. posta a base della valutazione di L. 160.000/mq, tale valutazione era stata disattesa dal Tribunale, che aveva valutato il suolo L. 300.000/mq..

1.1. – Il motivo è inammissibile, anche a prescindere dalla considerazione che – al contrario di quanto ritenuto dai giudici di merito, con statuizione tuttavia non più discutibile – i suoli destinati a edilizia scolastica sono in realtà legalmente inedificabili (Cass. 23028/2004, 15616/2007, 15389/2007, 12862/2010).

Il fatto è che la ragione per la quale la Corte d’appello ha optato per la valutazione di L. 160.000/mq consiste nel maggior pregio e nel maggior indice di edificabilità del terreno, del valore di L. 450.000/mq, usato come parametro dal Tribunale; e tale ratio non viene specificamente censurata dai ricorrenti, che non fanno, in particolare, riferimento alcuno all’indice di edificabilità.

Quanto, poi, all’esito della causa nella quale fu redatta la consulenza tecnica utilizzata dalla Corte d’appello, si tratta di questione inammissibile perchè, a tacer d’altro, nuova.

2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 114 c.p.c., si lamenta che la Corte d’appello abbia inteso determinare "equamente" il valore venale del suolo in L. 160.000/mq, pur non avendo nessuna delle parti fatto richiesta di decidere secondo equità. 2.1. – Il motivo è inammissibile, non risultando affatto, dalla sentenza impugnata, che la determinazione del valore venale di L. 160.000/mq sia stata fatta in via equitativa, nè, comunque, che la Corte d’appello abbia inteso decidere la controversia secondo equità. 3. – Il terzo, il quarto e il quinto motivo, tra loro connessi, vanno esaminati congiuntamente.

3.1. – Con il terzo motivo, denunciando difetto di motivazione, si lamenta che anche i giudici di appello abbiano omesso di pronunziarsi sulla richiesta di correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza di primo grado e consistito nel non avere il Tribunale riportato in dispositivo la condanna del Comune al risarcimento del danno corrispondente al valore di costruzione dei box, liquidato in motivazione in L. 162.904.800. 3.2. – Con il quarto motivo si denuncia violazione della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65, e degli artt. 114 e 329 c.p.c., nonchè vizio di motivazione. Premesso che la stessa Corte distrettuale ha riconosciuto che sulla valutazione dei box in L. 162.904.800 si era formato il giudicato per difetto di appello del Comune sul punto, si lamenta che la medesima Corte: a) abbia poi violato tale giudicato affermando che il valore dei box non era risarcibile trattandosi di manufatti abusivi; b) abbia inoltre ritenuto, illogicamente, compresa nella somma sopra indicata anche il valore dell’area di sedime di mq 678; c) abbia illegittimamente ritenuto abusivi i manufatti nonostante per gli stessi fosse stata "presentata e pagata la sanatoria". 3.3. – Con il quinto motivo, denunziando omissione di pronunzia e vizio di motivazione, si lamenta che la Corte di appello, persistendo nell’errore del Tribunale nonostante la tempestiva censura degli appellanti incidentali, abbia omesso di provvedere sul risarcimento del danno per la perdita della proprietà dell’area di sedime dei box di mq 678. 3.4. – Nessuna delle predette censure può essere accolta.

3.4.1. – Per comprenderlo, occorre muovere dalla corretta interpretazione del dictum della Corte d’appello.

Quest’ultima non ha affermato che il valore dei box non era risarcibile trattandosi di manufatti abusivi; invece, dopo aver affermato che i box erano abusivi e dunque il loro valore avrebbe dovuto commisurarsi a quello della sola area, ha espressamente chiarito che tuttavia la valutazione degli stessi non poteva essere rimessa in discussione, in mancanza di specifica censura del Comune, con riferimento alla liquidazione del risarcimento del danno per la perdita della proprietà del suolo (ma poteva esserlo soltanto con riferimento alla diversa domanda di liquidazione dell’ indennità di occupazione legittima). Ha altresì affermato che l’invocato ulteriore risarcimento per l’area di sedime dei box non spettava, essendo incompatibile con la ormai incontestabile (ancorchè eccessiva, attesa l’abusività dei manufatti) valutazione dei box nel loro complesso (ossia sedime e costruzioni).

3.4.2. – Dunque non è affatto vero che la Corte d’appello abbia omesso di provvedere sulla domanda di liquidazione di quell’ulteriore risarcimento: essa ha invece provveduto confermando che tale ulteriore voce non poteva essere liquidata. Nè è vero che sia incorsa nella denunciata violazione del giudicato interno: essa, in definitiva, ha ritenuto che la valutazione dei box fatta dal Tribunale, benchè eccessiva in quanto non limitata alla sola area di sedime (che, si rammenta, per la Corte d’appello valeva solo L. 160.000/mq), tuttavia fosse intangibile, nel suo risultato finale, con riguardo al risarcimento del danno per la perdita della proprietà, perchè non era possibile, per quei beni e a quel riguardo, scendere al di sotto della somma liquidata dal Tribunale e coperta da giudicato interno.

3.4.3. – La censura di omessa pronunzia sulla richiesta di correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza di primo grado è poi inammissibile.

Il provvedimento, positivo o negativo, emesso sull’istanza di correzione di errore materiale non ha carattere decisorio, onde non è suscettibile di ricorso per cassazione, neppure ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, (ex multis, Cass. 12034/2010, 8543/2004, 10275/1997, 1646/1990). Dal difetto di decisorietà della pronunzia deriva, necessariamente, l’ìnammìsibilità del ricorso per cassazione anche avverso l’omessa pronunzia sulla richiesta di correzione.

3.4.4. – Infine la censura di cui al quarto motivo, sub c), consistente nell’asserita insussistenza del carattere abusivo dei box per essere stata per essi "presentata e pagata la sanatoria", è inammissibile. La Corte d’appello, infatti, ha affermato che non basta la richiesta di concessione in sanatoria, ma occorre, per escludere l’abusività degli immobili, dimostrare l’avvenuto rilascio della concessione stessa: tale ratio non è in effetti censurata dai ricorrenti, i quali si limitano alla sola osservazione, in sè insufficiente, sopra testualmente riportata.

4. – Con l’esame dei motivi di cui sopra è esaurito quello delle censure relative alla domanda di risarcimento del danno derivante dalla perdita della proprietà dell’immobile.

Al riguardo va ancora osservato, però, che la formulazione delle predette censure ha comunque avuto l’effetto di impedire la formazione del giudicato sul capo di sentenza relativo alla liquidazione del risarcimento del danno per occupazione acquisitiva, con la conseguenza di aver reso applicabile il criterio risarcitorio del valore venale pieno, a seguito della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 7 bis, conv., con modif., in L. 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 65, nella parte in cui non prevede, per il caso di occupazione acquisitiva, appunto il ristoro integrale del danno subito dal proprietario dell’immobile (Corte cost. 349/2007). Ne consegue che d’ufficio deve procedersi alla riliquidazione del danno secondo il nuovo criterio, atteso che, a seguito della predetta dichiarazione di illegittimità costituzionale, esso è applicabile a tutti i rapporti non esauriti per essere ancora in corso la controversia sull’entità del risarcimento, anche se il ricorso per cassazione avverso la sentenza di merito non abbia sollevato questione sulla legge applicabile, purchè vi sia stata contestazione della determinazione in concreto del dovuto (cfr. Cass. 22409/2008 e 26275/2007, in tema di indennità di esproprio e di effetti della coeva, analoga declaratoria di illegittimità costituzionale in Corte cost. 348/2007).

Pronunziando, dunque, sul ricorso, la sentenza impugnata dev’essere cassata in parte qua, attesa l’inattualità del criterio di liquidazione applicato dal giudice d’appello.

Peraltro può, al riguardo, decidersi la causa nel inerito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ult. parte, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Va premesso che nella liquidazione occorrerà attenersi ai criteri seguiti dalla Corte d’appello e ai dati da essa accertati, non più discutibili se non nella parte travolta dalla declaratoria di incostituzionalità.

L’area non edificata misura mq 2.314,75 ed è stata valutata – alla data del 29 gennaio 1995, in cui, con la scadenza del quinquennio di occupazione legittima, si è perfezionata la vicenda ablativa – L. 160.000/mq. Il valore complessivo dell’area alla medesima data è quindi pari a L. (160.000 x 2.314,75 =) 370.360.000, pari ad Euro 191.274.98, da rivalutare secondo gli indici ISTAT sino alla data della presente sentenza e da maggiorare (sempre seguendo l’incensurato criterio della Corte d’appello) degli interessi, sulla somma progressivamente rivalutata, al tasso del 5% a decorrere dal 29 gennaio 1995 fino al 31 dicembre 1996 e successivamente al tasso legale fino al soddisfo.

Quanto all’area di sedime dei box non può farsi luogo a rideterminazione del risarcimento, dato che, anche applicando il corretto criterio legale del valore venale pieno della nuda area, il relativo importo ammonterebbe a somma inferiore alle L. 162.904.800 già riconosciute dai giudici di merito, e l’applicazione del nuovo criterio non potrebbe giustificare una reformatio in peius della sentenza, impugnata dal solo espropriato (cfr. Cass. 3175/2008).

5. – Con il sesto motivo, denunciando violazione del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis conv. con modif. in L. 8 agosto 1992, n. 359 e vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello abbia, ai fini della liquidazione dell’indennità per l’occupazione legittima, determinato l’indennità virtuale di espropriazione applicando l’abbattimento del 40% nonostante non fosse mai stata offerta dall’espropriante alcuna indennità di esproprio.

5.1. – La censura dev’essere accolta, anche se per una ragione assorbente diversa da quella dedotta dai ricorrenti. Qui, invero, soccorre l’ulteriore declaratoria di illegittimità costituzionale di cui a Corte cost. 348/2007, riguardante il criterio di liquidazione dell’indennità di esproprio previsto dal già richiamato D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis che ha fatto riprendere vigore al criterio del valore venale (cfr., da ult., Cass. 14939/2010, 11480/2008). E’ dunque con riferimento al valore venale del bene che va determinata l’indennità virtuale di esproprio ai fini del calcolo dell’indennità per l’occupazione legittima.

5.2. – Anche a questo proposito, tuttavia, è possibile far luogo alla decisione della causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ult. parte, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

In applicazione dell’incensurato criterio, seguito dalla Corte d’appello, degli interessi legali al saggio del 5% annuo dal 29 gennaio 1990 e, poi, del 10% annuo a partire dal 16 dicembre 1990, e calcolato il valore venale del suolo in L. (160.000 x 2.992,75 =) 478.840.000, l’importo dell’indennità di occupazione ammonta a L. 20.990.246 (interessi legali maturati per il primo periodo) + L. 197.439.507 (interessi legali per il secondo periodo), e dunque complessivamente a L. 218.429.753, pari ad Euro 112.809,55. 6. – Con il settimo motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 91 c.p.c. e vizio di motivazione, si censura la statuizione di parziale compensazione delle spese processuali, osservando che invece esse andavano poste interamente a carico del Comune, il cui appello avrebbe dovuto essere disatteso.

6.1. – Il motivo è assorbito dalla cassazione della sentenza di appello, che travolge ogni statuizione sul capo accessorio delle spese processuali.

7. – In conclusione, pronunziando sul ricorso, la sentenza impugnata dev’essere cassata nei limiti sopra indicati (e dunque salvo che nella parte relativa alla liquidazione del risarcimento del danno per la perdita della proprietà dei box e della corrispondente area di sedime di mq 678) con decisione della causa nel merito nei sensi parimenti sopra indicati.

La particolarità della lite, definita in base ai limiti del gravame in secondo grado e sulla base del sopravvenire della declaratoria di illegittimità costituzionale della norma applicabile, giustifica la compensazione delle spese processuali sia del giudizio di legittimità sia di entrambi i gradi del giudizio di merito.
P.Q.M.

La Corte, pronunziando sul ricorso, cassa, nei limiti di cui in motivazione, la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna il Comune di Palermo al pagamento in favore dei ricorrenti, a titolo di risarcimento del danno per la perdita della proprietà di mq 2.314,75 di terreno, di Euro 191.274,98, da rivalutare secondo gli indici ISTAT dal 29 gennaio 1995 sino alla data della presente sentenza, oltre agli interessi, sulla somma progressivamente rivalutata, al tasso del 5 % a decorrere dal 29 gennaio 1995 fino al 31 dicembre 1996 e successivamente al tasso legale fino al soddisfo;

determina in Euro 112.809,55 l’indennità per l’occupazione legittima dell’intera area di mq 2.992,75 e ne ordina al Comune di Palermo il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti, con gli interessi legali a decorrere dalla data di scadenza delle singole annualità fino al soddisfo;

dichiara compensate le spese dell’intero giudizio, sia di legittimità sia di merito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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