Cass. civ. Sez. I, Ord., 01-07-2010, n. 15679 COMUNITA’ EUROPEA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

M.A. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’Appello che ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR Campania e conclusosi dopo oltre nove anni.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La causa è stata assegnata alla Camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo èdella L. n. 89 del 2001 è inammissibile per inidoneità del quesito. Posto invero che "Il quesito di diritto costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata e quindi non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità: ne deriva che la parte deve evidenziare sia il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia, per ciascun motivo di ricorso il principio, diverso da quello posto alla base dei provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione potrebbe condurre ad una decisione di segno diverso" (Cassazione civile, sez. 3^, 9 maggio 2008, n. 11535) al richiamato canone non pare rispondere il quesito proposto che si limita ad enunciare un principio generale relativo ai rapporti tra normativa nazionale e Convenzione senza che risulti l’attinenza con la concreta fattispecie.

Il secondo e il terzo motivo con i quali si denuncia l’insufficiente quantificazione dell’equo indennizzo sono manifestamente infondati. Premesso che la Corte ha enunciato il principio secondo cui "Secondo i parametri indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai quali il giudice nazionale è tenuto a conformarsi nell’applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, la durata ragionevole del processo (nella specie: dinanzi alla Corte dei Conti in materia di pensione) è di tre anni in primo grado e di due anni in secondo grado; e l’equa riparazione deve essere liquidata in una somma variabile tra i mille ed i millecinquecento Euro per ciascun anno eccedente il termine ragionevole" (Cassazione civile, sez. 1^, 3 gennaio 2008, n. 14), nessuna censura può essere mossa all’impugnata decisione che, quantificando in Euro 1.000,00 in ragione d’anno il danno morale conseguente all’irragionevole durata del processo eccedente i due anni, si è attenuta ai richiamati parametri, non essendo stati evidenziati convincenti elementi che avrebbero dovuto comportare una maggiore liquidazione.

Con il quarto, il quinto e il sesto motivo, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, si deduce violazione della Convenzione e della L. n. 89 del 2001 e difetto di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 per la particolare natura della controversia (lavoro e previdenza).

I motivi sono manifestamente infondati, essendosi già affermato dalla Corte che "In tema di equa riparazione per eccessiva durata del processo, le considerazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in merito alla centralità dell’occupazione e sulla relativa opportunità di riconoscere un bonus, svincolato da qualsiasi parametro e dovuto in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia, non determinano alcun automatismo nell’indennizzo: tocca al giudice nazionale valutare caso per caso l’importanza della controversia senza alcun obbligo di motivazione laddove venga esclusa la liquidazione di una somma ulteriore rispetto agli standard fissati dalla Cedu e dalla L. n. 89 del 2001" (Cassazione civile, sez. 1^, 12 gennaio 2009, n. 402).

Con gli ulteriori motivi di ricorso, la cui trattazione può avvenire in modo unitario concernendo la liquidazione delle spese operata dalla Corte d’appello, si denuncia violazione della Convenzione, delle norme processuali sulla liquidazione delle spese e della tariffa forense nonchè carenza di motivazione per avere il giudice de merito liquidato i diritti e gli onorari in modo difforme dagli standard della Corte europea e comunque discostandosi immotivatamente dalla nota spese e dalla tariffa professionale.

I motivi sono manifestamente fondati nei limiti di seguito precisati, dovendosi liquidare le spese del giudizio in materia di equa riparazione in base alle tariffe dei procedimenti ordinari contenziosi e risultando la quantificazione operata dalla Corte d’appello inferiore ai minimi tabellari; per contro, è manifestamente infondata l’ulteriore pretesa di liquidazione delle spese processuali secondo gli standard seguiti dalla Corte di Strasburgo in quanto nei giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla Corte di appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, e non deve tener conto degli onorari liquidati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, i quali attendono al regime del procedimento davanti alla Corte di Strasburgo, posto che la liquidazione dell’attività professionale svoltasi davanti ai giudici dello Stato deve avvenire esclusivamente in base alle tariffe professionali che disciplinano la professione legale davanti ai tribunali ed alle corti di quello Stato (Cass., Sez. 1^, 11 settembre 2008, n. 23397).

Il ricorso deve dunque essere accolto nei limiti indicati e di conseguenza cassato in parte qua il decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e pertanto liquidate le spese del primo grado come in dispositivo.

L’accoglimento del ricorso solo in punto spese induce a compensare per due terzi quelle di questa fase e a porre il residuo a carico dell’Amministrazione soccombente.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa in parte qua il decreto impugnato e condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese della fase di merito che liquida in complessivi Euro 1.140,00 di cui Euro 600,00 per diritti, Euro 490,00 per onorari e Euro 50,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge; compensa per due terzi le spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 550,00 di cui Euro 450,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, e condanna l’Amministrazione alla rifusione del residuo; spese di entrambe le fasi distratte in favore del difensore antistatario.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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