Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-02-2011) 22-03-2011, n. 11479 esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 27 aprile 2007 il Tribunale di sorveglianza di Cagliari rigettava l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena per grave infermità, avanzata da M.S. e dichiarava inammissibile quella di detenzione domiciliare, sottolineando l’adeguatezza delle terapie praticate in carcere, la natura positiva della risposta alle stesse, la concreta possibilità di fronteggiare le patologie in ambiente carcerario.

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione personalmente M.S., la quale lamenta erronea applicazione della legge penale e mancanza della motivazione in relazione al diniego dei benefici richiesti, tenuto conto della documentazione sanitaria acquisita e della natura delle patologie che non possono essere adeguatamente curate in ambiente carcerario.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato . 1. Ai fini della concessione del differimento obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 146 c.p., comma 1, n. 3, art. 147 c.p., n. 2, e L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 ter, comma 1, lett. c) e comma 1 ter, occorre avere riguardo a tre principi costituzionali: il principio di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e, infine, quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo.

Ne consegue che: a) le pene legittimamente inflitte devono essere eseguite nei confronti di coloro che le hanno riportate; b) l’esecuzione della pena non è preclusa da eventuali stati morbosi del condannato, suscettibili di un generico miglioramento per effetto del ritorno in libertà; c) uno stato morboso del condannato in tanto legittima il rinvio dell’esecuzione, in quanto la prognosi sia infausta quoad vitam ovvero il soggetto possa giovarsi in libertà di cure e trattamenti indispensabili non praticabili in stato di detenzione, neanche mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura, ovvero ancora, a cagione della gravità delle condizioni, l’espiazione della pena si riveli in contrasto con il senso di umanità.

La malattia da cui è affetto il condannato deve essere grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione.

Ai fini del differimento dell’esecuzione della pena per infermità fisica, il grave stato di salute va inteso come patologia implicante un serio pericolo per la vita o la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose, eliminabili o procrastinabili con cure e trattamenti tali da non potere essere praticati in regime di detenzione intramuraria neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura ai sensi della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 11. 2. La detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalità il reinserimento sociale del condannato, mentre il differimento della pena previsto dall’art. 146 c.p. e art. 147 c.p., comma 1, n. 2 mira soltanto ad evitare che l’esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità. Alla luce di tali principi, a fronte di una richiesta di rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione. Qualora, all’esito di tale valutazione, tenuto conto della natura dell’infermità e di un’eventuale prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l’espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativi in conseguenza dell’impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l’istituto del differimento previsto dal codice penale. Se, invece, le condizioni di salute, pur particolarmente gravi, non presentino le suddette caratteristiche di sofferenza o di prognosi infausta, e richiedano i contatti con i presidi sanitari territoriali indicati dall’art. 47 ter, comma 1, lett. c) ord. pen., può essere disposta la detenzione domiciliare ai sensi della citata disposizione (Sez. 1^, 19 ottobre 1999, n. 5715;

Sez. 1^, 26 settembre 2007, n. 37337; Sez. 1^, 24 giugno 2008, n. 27313; Sez. 1^).

3. Alla stregua di questi principi, nel caso in esame la ordinanza impugnata è esente dai vizi denunziati, in quanto con motivazione puntuale, argomentata ed esauriente, fondata su un complesso di elementi di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità, tra loro logicamente correlati e fondati sugli accertamenti clinici e sanitari svolti ha evidenziato la compatibilità dello stato detentivo con le condizioni di salute di M.S., ha illustrato le ragioni per le quali le patologie da cui è affetta la ricorrente possono essere adeguatamente curate in costanza di regime detentivo carcerario, ha, infine, sottolineato la concreta idoneità delle terapie sinora praticate a fronteggiare le diverse patologie che, in costanza di regime penitenziario, non hanno subito alcun peggioramento.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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