Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-07-2010, n. 15662 PREVIDENZA SOCIALE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con ricorso del 20.5.2004 al Tribunale di Campobasso B.A. esponeva: di aver lavorato alle dipendenze della ARTIS s.n.c., divenuta poi ditta individuale C.G., dal febbraio 1992 all’ottobre 2000; di aver ottenuto in data 27.5.2002 decreto ingiuntivo per il pagamento di quanto dovuto a titolo di trattamento di fine rapporto; di non aver proceduto ad esecuzione forzata a causa della nota infruttuosità di altri pignoramenti a carico del medesimo debitore; di aver presentato in data (OMISSIS) ricorso per ottenere il fallimento della ditta C.G.; che il Tribunale, con decreto del 22.5.2003, aveva respinto l’istanza ai sensi della L. Fall., art. 10 in quanto il debitore risultava aver effettivamente cessato l’attività in data 31.12.2001 e quindi da oltre un anno; che in data 3.7.2003 aveva chiesto all’Inps la liquidazione del TFR ai sensi della L. n. 297 del 1982, art. 2; che l’Istituto aveva respinto la domanda. Tanto premesso chiedeva la condanna dell’Inps al pagamento del TFR a norma della L. n. 297 del 1982, art. 2.

Nella resistenza dell’Inps il Tribunale respingeva la domanda con sentenza confermata dalla Corte di Appello di Campobasso.

Per la cassazione di tale sentenza il sig. B. ha proposto ricorso con un motivo. L’Inps ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione della L. n. 297 del 1982, art. 2 il B. censura la sentenza impugnata per aver affermato che non aveva diritto alla prestazione richiesta all’Inps sia perchè la norma invocata dal lavoratore non è applicabile quando, per inerzia del creditore, l’imprenditore commerciale (quale nella specie era certamente il datore di lavoro del richiedente) non sia più soggetto a procedura fallimentare per decorso del termine di un anno dalla cessazione dell’attività, sia perchè l’ipotesi alternativa di utile attivazione della esecuzione forzata individuale si riferisce solo a datori di lavoro non soggetti a procedura fallimentare.

Sostiene il ricorrente che tale affermazione della Corte territoriale è errata perchè la norma in esame, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, non esclude che, nel caso in cui il datore di lavoro soggetto a procedura fallimentare non possa essere dichiarato fallito, non debba operare l’ipotesi alternativa della infruttuosa esecuzione individuale. Dal dato testuale della norma si ricava infatti che per attivare la garanzia è indispensabile o l’attivazione di una procedura esecutiva concorsuale o l’attivazione di una procedura esecutiva individuale.

Rileva di aver presentato l’istanza di fallimento in data (OMISSIS), e quindi prima del decorso dell’anno dalla cessazione dell’attività dell’impresa, avvenuta il (OMISSIS) e che la dichiarazione di fallimento è stata di fatto preclusa dal ritardo con il quale il Tribunale ha deciso sulla predetta istanza.

Osserva la Corte che questo secondo profilo di censura è certamente inammissibile in quanto, a norma della L. Fall., art. 12 il creditore avrebbe dovuto proporre reclamo avverso il decreto del Tribunale che aveva respinto l’istanza di fallimento, sicchè il medesimo creditore non può far valere come motivo di ricorso per Cassazione una ragione che avrebbe dovuto far valere nella sede competente.

Il primo profilo di censura non è meritevole di accoglimento perchè il dispositivo della sentenza impugnata è conforme a diritto, benchè la motivazione debba essere opportunamente modificata per le seguenti ragioni.

Nel recepire la Direttiva CE n. 987 del 1980, alla L. n. 297 del 1982, art. 2, ha previsto il pagamento del TFR da parte dell’INPS quando il datore di lavoro sia una impresa assoggettata a fallimento, ovvero quando (comma 5) il datore di lavoro "non sia soggetto alle disposizioni del R.D. 16 marzo 1942, n. 267", cioè non sia soggetto al fallimento, "semprechè, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo a detto trattamento, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti".

Questa Corte ha recentemente ritenuto con le sentenze n. 7466 del 2007 e n. 1178 del 2009 che una lettura della legge, orientata nel senso voluto dalla direttiva comunitaria, consente, secondo una ragionevole interpretazione, l’ingresso ad un’azione nei confronti del Fondo di Garanzia, anche quando l’imprenditore non sia "in concreto" assoggettato al fallimento e l’esecuzione forzata si riveli infruttuosa. L’espressione "non soggetto alle disposizioni del R.D. 16 marzo 1942, n. 267" va quindi interpretata nel senso che l’azione di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5 trovi ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi per le sue condizioni soggettive (ad esempio, piccolo imprenditore), vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo (ad esempio, come nella specie, ditta individuale che abbia cessato l’attività da oltre un anno); cioè l’imprenditore non più assoggettabile a fallimento va considerato come imprenditore non soggetto alla legge fallimentare.

A tale interpretazione il Collegio intende dare continuità nei seguenti termini.

Si rileva, da un lato, che tale interpretazione, non solo valorizza una situazione analoga ad una di quelle specificamente previste dalla Direttiva CE, ma trova anche piena giustificazione nella facoltà data dalla Direttiva ai legislatori nazionali di assicurare la tutela dei lavoratori anche in casi di insolvenza accertati con modalità e in sedi diverse da quelle tipiche delle procedure concorsuali.

Si osserva, dall’altro lato, che la medesima interpretazione esclude quella situazione di non copertura assicurativa che altrimenti si verificherebbe quando, come nella specie, il datore di lavoro è astrattamente assoggettabile a fallimento, ma il fallimento non può essere dichiarato per il decorso del tempo, mentre il lavoratore ha intrapreso un’esecuzione forzata individuale e questa non dia esito (cfr. Cass. n. 11379/2008). Questo risultato è certamente coerente con le finalità del Legislatore del 1982 che, mediante l’istituzione di un Fondo di Garanzia affidato all’ente previdenziale pubblico, ha inteso compensare la peculiarità della disciplina del TFR – in cui il sistema di accantonamento fa sì che gli importi spettanti al lavoratore vengano trattenuti e utilizzati dal datore di lavoro – con la previsione di una tutela certa del credito, realizzata attraverso modalità garantistiche e non soggetta alle limitazioni e difficoltà procedurali previste, invece, per la tutela delle ultime retribuzioni (ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1992).

Il principio da affermare, quindi, è che, ai fini della tutela prevista dalla L. n. 297 del 1982 in favore del lavoratore, per il pagamento del TFR in caso di insolvenza del datore di lavoro, quest’ultimo, se è assoggettabile a fallimento, ma in concreto non può essere dichiarato fallito per aver cessato l’attività di impresa da oltre un anno, va considerato "non soggetto" a fallimento, e pertanto opera la disposizione dell’art. 2, comma 5 della predetta legge, secondo cui il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di Garanzia costituito presso l’INPS alle condizioni previste dal comma stesso, essendo sufficiente, in particolare, che i lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, salvo che risultino in atti altre circostanze le quali dimostrino che esistono altri beni aggredibili con l’azione esecutiva.

La domanda del lavoratore nel caso di specie non può essere accolta, non già per il fatto che il datore di lavoro, imprenditore commerciale, non è stato dichiarato fallito per decorso del termine annuale, come affermato dalla Corte di Appello, bensì perchè il lavoratore, per sua stessa ammissione, dopo aver ottenuto il decreto ingiuntivo di condanna, non ha coltivato l’azione esecutiva nei confronti del debitore.

Il ricorso, dunque deve essere rigettato.

La difficoltà della questione trattata ed il recente consolidarsi della giurisprudenza inducono a compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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