Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17-12-2010) 22-03-2011, n. 11311

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Roma con sentenza del 29.1.2010, per quanto riguarda la posizione degli attuali 5 ricorrenti, confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 14.1.2009 di condanna del T.P. per i reati di cui al capo a) e b) – promozione ed organizzazione di un’associazione di stampo mafioso (416 bis c.p.) estorsione continuata con l’aggravante di cui alla L. n. 231 del 1991, art. 7 – alla pena di anni nove mesi otto di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa, il P. per i reati sub a), b) e c) (violenza carnale e sequestro di persona ai danni di P.A.), alla pena di anni otto e mesi otto di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa, il P., il G. e il C. per i reati sub a) e b) alla pena di ciascuno di anni 7 e mesi 8 di reclusione e Euro 1.500,00 di multa.

Si tratta di una complessa indagine che portava all’accertamento della sussistenza, per le sentenze di merito, di un’associazione di nazionalità moldava diretta, attraverso mezzi violenti, micacee ed intimidazioni, che aveva creato una situazione di assoggettamento e di omertà nella comunità moldava insediata nei locali della ex scuola (OMISSIS) (circa 500 persone) e nei confronti degli autotrasportatori moldavi che ivi transitavano, a commettere una serie indeterminata di reati come estorsioni, riciclaggio di autovetture, cessione di documenti falsi, imposizione di tangenti, attività concernete l’Immigrazione clandestina etc..

La Corte territoriale, per quanto riguarda la sussistenza della detta associazione caratterizzata dal cosiddetto "metodo mafioso", ricordava a pagg. 10 e 11 gli elementi caratterizzanti la fattispecie ed in particolare la forza di intimidazione interna ed esterna e la condizione di assoggettamento e di omertà suscitata nel contesto sociale ove l’associazione opera; nel caso in esame, come già ricordato, il contesto operativo dell’associazione era la consistente comunità di cittadini di origine moldava privi di permesso di soggiorno e con lavori precari e quindi facili bersagli delle operazioni del gruppo, capeggiato dal T. cui si aggiungevano il G. ed il P. come guardaspalle e il C. ed il P. come picchiatori. La sentenza ricostruisce l’esito degli appostamenti della P.G. che aveva raccolto le lamentele degli abitanti nella ex scuola ed aveva verificato che l’accesso alla stessa era difficile perchè presidiato da 2 o tre persone e che il T. girava sempre accompagnato da altri soggetti tra cui il G. e il P.; il T. veniva osservato mentre si recava a parlare con gli autisti appartandosi e portando con sè un registro. Durante l’arresto il C. minacciava gli agenti rivendicando il controllo di Casal de Merode. Documenti d’identità moldavi, vari certificati di immatricolazione di autovetture, carte d’identità di svariate nazionalità venivano scoperti nel corso di perquisizioni nelle abitazioni del P. e del G.. In numerose pagine la sentenza riporta il contenuto essenziale di conversazioni telefoniche tra gli imputati avente ad oggetto intimidazioni, pestaggi, multe inflitte agli abitanti della scuola per non avere portato rispetto al clan ed al suo capo (il T.) e la richiesta di un compenso per poter vivere nelle stanzette dell’ex scuola che venivano affidate da parte degli stessi appartenenti al gruppo associativo (con la creazione di una cassa comune con una rigorosa contabilità) ed anche atti di intimidazione nei confronti degli autisti per chiedere l’esazione di una somma per poter parcheggiare i camion nei pressi della scuola. Dalle conversazioni emergeva l’interessamento del clan nella fornitura di documenti falsi e nel favorire l’immigrazione clandestina e nel riciclaggio di autovetture, spesso subito mandate all’estero.

Moltissimi testi, come il S., la R., il C., lo Sc. manifestavano, persino durante il dibattimento, lo stato di terrore indotto dall’attività della associazione e riferivano di essere stati minacciati persino in Moldavia.

A pag. 30 la Corte rilevava che correttamente il Tribunale aveva disposto l’acquisizione dei verbali delle sommarie informazioni rese dai testi Cu. e Ci. in quanto era emerso che erano stati intimiditi. Correttamente era state acquisite le dichiarazioni rese dal teste M. alla luce dell’assoluta irreperibilità del teste dopo infruttuose e dettagliate ricerche ex art. 512 c.p.p..

La Corte richiamava le dichiarazioni testimoniali del teste S. costretto a pagare una multa, del teste R. che aveva confermato le tangenti imposte agli autisti ed alla comunità moldava da parte del T., del P., del G. e del C., del teste Z. che aveva riferito di essere stato costretto a pagare 180 euro per stare in un piccolissima stanza, somma del tutto incompatibile con la tesi difensiva per cui servisse a pagare l’elettricità, del teste Ci. costretto a pagare una multa e costretto a versare Euro 150 mensili (per 6 metri quadri di stanza) ed al quale il C. aveva imposto una pesante multa e che aveva riferito che il sodalizio criminale taglieggiava gli autotrasportatori, dal teste Sc. che aveva individuato nel P. il suo feroce aggressore, dal teste B., dalla teste Pa. che aveva confermato quanto riferito dal marito Sc., oltre a descrivere di un pestaggio subito da un certo I. con il Pu. come protagonista, dal teste F., dalla teste D..

La Corte territoriale ha poi ritenuto non accoglibile la tesi per cui alcuni versamenti sarebbero stati richiesti in favore di una associazione italo-ucraina in quanto non confermata da riscontri affidabili e non risultante nemmeno dalla deposizione del teste Ci.En..

La Corte ha poi ritenuto sussistente l’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 essendo emerso che i reati fini venivano perseguiti attraverso la coartazione e la intimidazione svolta dal gruppo nel suo insieme.

Circa il reato contestato sub c) al Pu. la Corte rilevava non significativo il ritardo con cui le violenze erano state denunciate e nemmeno il fatto che la donna, parte offesa, non era stata sentita gridare ed invocare soccorso sebbene fossero presenti persone non lontano, in quanto la donna non poteva non essere intimorita trattandosi di uno stabile sotto controllo dell’associazione che ne terrorizzava gli abitanti. Nessun riscontro credibile era emerso al fatto che l’imputato e la parte offesa avessero una relazione; il teste F. aveva riferito di averlo saputo dal Pu., ma gli altri coimputati nulla sapevano.

Nel ricorso del T.P. si allega la nullità della sentenza in quanto l’imputato era uno straniero e, sebbene assistito da un’interprete, le sentenze di primo e secondo grado non gli erano state tradotte con violazione dei diritti di difesa.

Con il secondo motivo si allega l’inosservanza della legge penale in relazione all’art. 416 bis c.p. e comunque la mancanza e manifesta illogicità della sentenza.

Mancava ogni elemento in ordine all’elemento psicologico del reato, posto che il T. era stato anche riconosciuto come promotore dell’associazione. Mancava ogni prova ed anche significativi indizi circa la sussistenza della c.d. affectio societatis scelerum, nè gli stessi erano emersi in ordine ai cosiddetto "metodo mafioso" e cioè che gli imputati avessero agito con forza di intimidazione, determinando una condizione di assoggettamento e di omertà nell’ambiente sociale in cui si muovevano. Non erano emersi in alcun modo i cosiddetti indici rivelatori del fenomeno mafioso come rapporti di comparaggio o riti di iniziazione. Era assente l’elemento della territorialità del fenomeno; posto che nello stabile della ex scuola vivevano al più 100 persone e non 500 come dichiarato in sentenza.

Le dichiarazioni dei testi erano state del tutto generiche riferendosi a fatti notori, ma non circostanziati.

Con il terzo motivo si allega, riguardo la contestazione di estorsione continuata, che la responsabilità per tali reati era stata inferita da quella per il reato associativo, senza che si fosse in alcun modo spiegato il contributo causale arrecato dall’imputato, a titolo, quindi, di responsabilità oggettiva.

Con il quarto motivo si allega che mancava ogni motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 2001, art. 7 ritenuto sussistente in base ad una motivazione apparente.

Infine si deduce che il provvedimento impugnato non era adeguatamente motivato in ordine alla esclusione delle attenuanti generiche, il cui scopo è anche quello di adeguare la pena alla reale entità dei fatti contestati.

Nel ricorso del C. con il primo motivo si allega l’erronea applicazione della legge penale in relazione al ritenuto reato di cui all’art. 416 bis c.p.. Non si era tenuto conto delle differenze specifiche che distinguono l’associazione a delinquere semplice da quella di stampo mafioso, diretta, quest’ultima, a sprigionare una forza intimidatrice sull’ambiente circostante e a determinare uno situazione di assoggettamento e di omertà sull’intero territorio, elementi del tutto assenti nel caso in esame. Si erano applicati principi affermati per condotte associative strettamente radicate nel territorio in note aree geografiche del paese ad un fenomeno radicalmente diverso in quanto circoscritto a poche persone.

Nella sentenza poi poche righe erano dedicate al ruolo svolto dall’imputato, inferendo il suo ruolo di picchiatore da telefonate dal significato assai ambiguo e sfumato. Mancavano i classici elementi rivelatori del fenomeno associativo di stampo mafioso come i rituali di iniziazione.

Con il secondo motivo si allega la mancata motivazione in ordine alla ritenuta aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 in base ad elementi oggettivi e non a mere vantazioni delle parti offese. Infine si deduce che il provvedimento impugnato non era adeguatamente motivato in ordine alla avvenuta esclusione delle attenuanti generiche, il cui scopo è anche quello di adeguare la pena alla reale entità dei fatti contestati.

Nel ricorso del P. il primo motivo è analogo al secondo motivo del ricorso del T.. Si aggiunge la circostanza che l’imputato era stato definito dai suoi massimi accusatori come un ragazzo buono con tutti.

Con il secondo motivo si allega la carenza di motivazione in ordine al reato di estorsione continuata. Non si era precisato quale fosse il ruolo del ricorrente ed il contributo causale arrecato nelle estorsioni; di ciò non aveva parlato nessun teste.

Il terzo motivo è analogo al terzo motivo del ricorso del T., così come l’ultimo motivo concernente la mancata concessione delle attenuanti generiche. Il quinto motivo, relativa alla mancata traduzione delle sentenze di merito, è identico al primo motivo del T..

Per il ricorso del P. il primo motivo è uguale al primo motivo del T., così come il secondo. Si aggiunge un riferimento alle dichiarazioni della teste S., posto che questa aveva parlato bene dell’imputato e si rileva che i testi non avevano parlato o addirittura visto il ricorrente.

Il terzo motivo è identico al terzo motivo del ricorso T..

Si aggiunge che nessun teste lo aveva visto partecipare ad estorsioni di sorta. Il quarto motivo è identico a quello del ricorso T..

Con il quinto motivo si deduce la carenza di motivazione in ordine al reato di violenza sessuale. La denuncia era tardiva, la denunciante era apparsa tranquilla e non si erano fatti accertamenti medici di sorta per trovare un riscontro alla tesi della violenza subita.

Il sesto motivo, relativo alla mancata concessione delle attenuanti generiche, è identico al quinto del ricorso T..

Nel ricorso del G. con il primo motivo si deduce l’illegittimità dell’acquisizione del verbale reso a sommarie informazioni dal teste M.F. in quanto l’annotazione della P.G. non rendeva conto degli accertamenti compiuti per stabile l’irreperibilità del teste.

Con il secondo motivo si rileva l’illegittimità della disposta acquisizione dei verbali istruttori dei testi Ci. e Cu. in quanto sottoposti ad intimidazioni. Il provvedimento era privo di riscontri e non motivato in ordine a tale elemento.

Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge. Il teste P. non aveva riferito di circostanze apprese direttamente ma invece meramente riferite da altri soggetti di cui la difesa aveva chiesto la citazione, senza riscontro. Analoghe considerazioni valgono per le dichiarazioni rese dal teste B. e di quelle del teste D. (il teste di riferimento non era stato sentito).

Con il successivo motivo si deduce che non sarebbero emersi elementi per poter considerare l’associazione in parola come di stampo mafioso. Era insussistente l’elemento oggettivo e cioè il radicamento dell’associazione in un ambiente sociale, nonchè l’elemento soggettivo. Nella conversazione tra l’Imputato e la D. emerge la volontà dell’imputato di spiegare al teste la natura della costituenda associazione italo-moldava.

Con il quarto motivo si deduce che i documenti sequestrati comprovavano non attività illecite, ma la dichiarata volontà di fondare un’associazione di amicizia tra Italia e Moldavia, come dichiarato dal teste Ci.. Da ciò la richiesta di quote ai camionisti.

Non sussistevano (quarto motivo) gli elementi che integrano l’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7, al più singoli e specifici atti di intimidazione.

Infine si allega la mancanza di motivazione in ordine alle denegate attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Il ricorso del T. non appare fondato e pertanto va rigettato.

Circa il primo motivo va osservato che alla luce della giurisprudenza più recente di questa Corte, che questo Collegio condivide pienamente, la sentenza non è compresa tra gli atti rispetto ai quali la legge processuale assicura all’imputato alloglotta che non conosca la lingua italiana, il diritto alla nomina di un interprete per la traduzione nella lingua a lui sconosciuta" (Cass. n. 24514/2010; cfr. anche cass. n. 34830/2008, cass. n. 28595/2008, n. 5572/2008).

Nel secondo motivo, come in altri di alcuni coimputati, si muovono diverse considerazioni in ordine alla avvenuta contestazione del reato di cui all’art. 416 bis c.p., trattandosi, al più, si sostiene di una associazione che godeva di un radicamento sociale in nulla comparabile con quelle tipiche del fenomeno che si era voluto colpire con la norma, coinvolgendo poche persone in un contesto molto limitato. Non risultano integrati gli elementi tipici della fattispecie criminosa così come enucleati dalla giurisprudenza della Suprema Corte e cioè l’elemento della territorialità, la condizione di assoggettamento e di omertà determinatasi in un vasto ambiente sociale, nonchè gli indici rilevatori del fenomeno "mafioso" come i rapporti di comparaggio ed i riti di iniziazione.

Sul punto deve escludersi che la norma di cui all’art. 416 bis c.p. sia applicabile solo alle più note organizzazioni criminali del sud del paese o alle stesse se operanti in altre zone, avendo da tempo la giurisprudenza precisato che ciò che rileva è il " metodo" cioè la capacità dell’associazione di determinare uno stato di assoggettamento in una comunità anche limitata ma significativa e costituente un omogeneo gruppo sociale, si da ingenerare una situazione di diffusa omertà e di obbedienza indiscriminata in quanto imposta con atti di intimidazione di varia natura. In un caso molto simile a quello presente questa Corte ha affermato che" da quanto si è detto specie sulle associazioni di "tipo mafioso" si deve concludere .. che il reato di cui all’art. 416 bis c.p. bene è realizzabile con riguardo ad organizzazioni che, senza controllare tutti coloro che vivono o lavorano in un certo territorio, rivolge le proprie cure a danno di componenti di una certa collettività- quindi anche stranieri immigrati o fatti immigrare clandestinamente- a condizione che si avvalga di metodi tipicamente mafiosi e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà – cfr. cass. sez. 6, 13.12.1995 -: è d’altra parte intuitivo che se la ragione della particolare incriminazione è l’uso di quei metodi mafiosi che di per sè si ritiene particolarmente offensivo dei beni (ordine pubblico oggettivo e condizione psicologica di sicurezza e di tranquillità) che s’intendono tutelate, il numero effettivo dei soggetti che al momento sono coinvolti come vittime ha peso relativamente secondario a fronte della diffusività del fenomeno a danno di un numero indeterminato di persone, che potranno in tempi brevi trovarsi alla merce del sodalizio" (cass. n. 35914/2001).

Ora la Corte territoriale ha ricostruito le attività dell’associazione stabilendo con precisione i relativi ruoli (è emerso univocamente che il T. era il capo della stessa) e la sistematica opera di intimidazione operata dai cinque membri del sodalizio attraverso violenze, minacce ed intimidazioni sistematiche nei confronti degli abitanti una scuola abbandonata, tutti appartenenti alla comunità moldava, nonchè gli autotrasportatori che transitavano nei detti luoghi con ramificazioni sino in Moldavia ove l’associazione aveva referenti capaci di proseguire l’opera di intimidazione effettuata nella capitale italiana. Si tratta di una comunità di una certa importanza e composta in gran parte da persone con impieghi precari e costretti ad abitare le stanze della scuola "affittate" a prezzi esorbitanti dallo stesso sodalizio criminoso;

per la sentenza impugnata almeno 500 persone vivevano in tali condizioni (la deduzione per cui si trattasse solo di 100 persone oltre ad essere generica ed indimostrata è censura di merito e quindi inammissibile in questa sede). Tale ricostruzione è stata possibile attraverso le dichiarazioni delle varie parti lese, degli appostamenti della P.G. e dalie intercettazioni effettuate. La sentenza impugnata ricostruisce peraltro in decine di pagine le "azioni" del sodalizio mettendo in rilievo il clima di terrore che vigeva nello stabile dove i pretesi "affittuari" erano costretti non solo a pagare esorbitanti canoni, ma addirittura a corrispondere delle "multe" se non portavano di rispetto al T. ed ai suoi uomini, pena un sicuro pestaggio e gli autisti a corrispondere del denaro per poter parcheggiare i mezzi nello spazio vicino alla scuola controllata dal clan. La motivazione appare pertanto congrua e logicamente coerente essendo emerso con chiarezza la costituzione di un sodalizio criminoso volto ad assoggettare un gruppo sociale determinato, la comunità moldava in Roma, attraverso le intimidazioni e le violenze di cui si è detto: le censure sono in gran parte meramente di merito e sono inidonee a scalfire il complesso e solido impianto probatorio che si distende per decine di pagine. Generico e di merito il terzo motivo.

La Corte territoriale ha ampiamente motivato sul punto delle estorsioni perpetrate nei confronti di soggetti che venivano costretti a pagare assurdi ed esosi canoni per abitare negli ambienti della scuola occupata ed a versare multe al sodalizio ed a subire taglieggiamenti di varia natura e gli autisti a versare denaro al clan per parcheggiare i loro mezzi in un parcheggio vicino alla scuola. Il ruolo del T. è stato ampiamente ricostruito alla luce delle dichiarazioni dei testi, degli appostamenti della P.G. e delle intercettazioni. Il T. era il capo del sodalizio, si serviva del G. e del P. come guardaspalle e del C. e del Pu. come picchiatori. Certamente non vi è stata alcuna condanna a titolo di responsabilità oggettiva inferita dalla mera partecipazione o direzione dell’associazione. La Corte territoriale ha anche evidenziato che esisteva una precisa contabilità del sodalizio, una sorta di "libro delle estorsioni" che l’imputato consultava con i suoi uomini.

Circa il quarto motivo l’aggravante di cui all’art. 7 risulta ampiamente sussistente alla luce di quanto sin qui detto e ricostruito nelle sentenze di merito. Non vi è dubbio che gli imputati agissero come "sodalizio" e sfruttando il potere di intimidazione e il diffuso terrore che l’associazione aveva costruito nel tempo attraverso ripetuti atti di violenza. L’"aggravante in parola "è configurabile anche con riferimento ai reati-fine commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso ed è altresì compatibile con la circostanza aggravante di cui all’art. 629 c.p., comma 2" (cass. n. 15483/2009, cass. n. 43663/2007, n. 20228/2006).

Circa l’ultimo motivo le attenuanti genetiche non sono state concesse per l’estrema gravità dei fatti, per la loro reiterazione, per lo stato di perenne soggezione ed assoggettamento ne confronti di una comunità di immigrati. La motivazione appare congrua e logicamente coerente; le censure per contro sono di mero fatto e del tutto generiche.

Il ricorso del C. appare manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile.

Il primo motivo del ricorso del C. ripercorre le linee del secondo motivo del T.. Sul punto va richiamato quanto detto supra, non può di certo ritenersi che la fattispecie di cui all’art. 416 bis c.p. possa essere applicata solo alle associazioni criminali tradizionali del sud-italia. Sul requisito della "territorialità" si è già detto così come sugli elementi dell’assoggettamento e dell’omertà generati nella comunità di immigrati moldavi, certamente di una certa consistenza cui si aggiungevano gli autisti moldavi di passaggio.

Anche la deduzione circa la mancata dimostrazione del ruolo avuto nella vicenda dal ricorrente appare generica e di merito: la Corte territoriale ha enumerato molteplici vicende in cui il C. fu coinvolto in pestaggi e in intimidazioni che non vengono esaminate nel ricorso che si limita a censure di ordine generale.

Sull’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e sulla sua motivazione in ordine alla sua sussistenza si è già detto supra, così come in ordine alla denegazione delle attenuanti generiche che non sono state concesse come sopra riferito in relazione alla notevole gravità dei fatti per cui è processo.

Il ricorso del P. appare manifestamente infondato.

Il primo motivo di ricorso del P. è identico al secondo motivo del T. sul quale si è già detto. La circostanza per cui alcuni cesti avrebbero riferito che era un bravo ragazzo appare totalmente irrilevante stante l’accertata partecipazione a fatti di violenza e di intimidazione organizzata sistematicamente.

Circa il secondo motivo si è già osservato che la motivazione appare congrua e logicamente coerente in ordine all’accertamento da parte del gruppo della commissione di plurime estorsioni posto che le vittime venivano sistematicamente costrette a pagare cifre ingenti per rimanere nelle stanzette della scuola e a pagare multe se tenevano un comportamento irrispettoso verso il T. ed il suo gruppo, così come il gruppo di autisti moldavi. Le censure sono generiche e comunque di merito.

Il terzo motivo è identico al terzo motivo del T. così come il quarto che concerne la delegazione delle attenuanti generiche su cui si è già detto supra.

Sul quinto motivo concernente la mancata traduzione delle sentenze di merito si è già detto supra.

Il ricorso del P. appare manifestamente infondato.

Il primo motivo del P. è simile al primo motivo del T., così come il secondo. Circa la circostanza per cui la teste S. avrebbe parlato bene del ricorrente e che i testi non avrebbero parlato ed addirittura visto il ricorrente si omette di considerare gli elementi a carico del ricorrente analiticamente indicati a pagg.

20, 21 e soprattutto 22 della sentenza impugnata in cui si riferisce dell’accertato coinvolgimento del P. nell’aggressione allo S. ed ad un certo F..

Il terzo ed il quarto motivo sono uguali a quelli sviluppati dal T.. Non vi è dubbio che l’associazione avesse come prioritaria finalità quella del controllo della scuola e dell’imposizione agli immigrati moldavi di esosi e non dovuti "affitti" e che il ricorrente partecipò a tale associazione partecipando anche ad episodi di violenza ed intimidazione.

Circa il quinto motivo concernete l’avvenuta condanna per violenza sessuale, si muovono censure alla motivazione della sentenza impugnata già esaminate compiutamente. La Corte territoriale ha già osservato che appare ovvia la ragione per cui la donna non chiese soccorso trovandosi in uno stabile controllato dal T. e dagli altri che avevano seminato il terrore tra tutti gli abitanti; la situazione di intimidazione i cui si trovano quest’ultimi sottoposti quotidianamente alle rappresaglie della consorteria criminale spiega razionalmente perchè la donna non abbia immediatamente denunciato il fatto. Infine la tesi di una relazione sentimentale tra la donna e il ricorrente non ha trovato affidabili conferme probatorie. Pertanto la motivazione appare congrua e logicamente coerente nel respingere le censure di inaffidabilità delle dichiarazioni rese dalla parte offesa; il motivo è peraltro di merito e ripropone questioni come detto già esaurientemente trattate nei precedenti gradi del giudizio.

Sulla mancata concessione delle attenuanti generiche si è già detto supra.

Infondato appare il ricorso del G..

Il primo motivo è del tutto generico in quanto non si specificano le ragioni per cui gli accertamenti diretti alla verifica dell’irreperibilità del teste M.F. sarebbero insufficienti. Manca peraltro qualsiasi deduzione in ordine all’importanza di tali dichiarazioni nel contesto motivazionale della sentenza impugnata.

Generico è anche il secondo motivo posto che non si indicano le ragioni per non sarebbe stato idoneamente accertato che i testi Ci. e Cu. sarebbero stati minacciati (cfr. pagg. 29-32 della sentenza impugnata). Per quarto riguarda il terzo motivo la Corte territoriale ha utilizzato sole le dichiarazioni rese dal teste B. e riferite come direttamente apprese, ciò vale anche per il teste P. che non ha mai richiamato altre persone come fonti di informazione, così come il teste D.. Il motivo è generico perchè non esamina le dette deposizioni mostrando perchè in realtà siano da considerarsi come de relato.

Il motivo seguente concerne questioni già esaminate circa la configurabilità del reato contestato nel caso in esame. Circa la tesi difensiva per cui si intendesse da parte degli imputati finanziare una costituenda associazione italo-moldava i giudici di merito hanno escluso l’esistenza di qualsiasi serio riscontro per tale ricostruzione, certamente inidonea a spiegare i numerosissimi episodi di violenza e di minaccia da parte del gruppo di imputati.

Il successivo motivo è analogo a quello precedente: le attività illecite accertate certamente sono in suscettibili di essere ricondotte a finalità lecite come quella di sponsorizzare un’associazione di amicizia tra Italia e Moldavia.

Emerge da numerosi fonti, compreso gli appostamenti di P.G., che agli autisti fu chiesto del denaro per parcheggiare di fronte alla scuola e che fu tenuta addirittura una contabilità di tali pagamenti. Già trattata è la questione della sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e della mancata concessione delle attenuanti generiche.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso (nel caso in esame il T. e il G.), gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, gli imputati che lo hanno proposto (nel caso in esame il C., il P. e il Pu.) devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè ciascuno – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi di T.P. e di Gr.An. e li condanna al pagamento delle spese processuali; dichiara inammissibili i ricorsi di Co.Ed., P.I. e Pu.Le. che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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