Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-07-2010, n. 15649 LAVORO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in dalla 4.3.2002, G.G. esponeva di essere dipendente di Poste Italiane S.p.A. dal (OMISSIS) e di essere stato licenziato con nota del (OMISSIS) (decorrenza (OMISSIS)) per dichiarata giusta causa e senza preavviso (ai sensi dell’art. 52, lett. f) e art. 54 c.c.n.l., dell’11.10.2001).

Precisava di aver subito il provvedimento di recesso, di natura disciplinare, per i fatti addebitatigli con pregressa nota del 29.10.2001, consistiti, nella prospettazione datoriale, nella ricezione, da parte di Poste Italiane, di una comunicazione, proveniente dal P.M. presso la Procura della Repubblica di Trani, di un suo rinvio a giudizio per i reati di abuso in atti d’ufficio, falso materiale ed ideologico, relativi a fatti asseritamente commessi il (OMISSIS) in qualità di addetto al recapito di corrispondenza presso l’ufficio postale di (OMISSIS).

Sosteneva di essere estraneo ai fatti contestati e ritenere, pertanto, ingiustificato il licenziamento, avvenuto, peraltro, ben dopo due anni dalla conoscenza dei fatti stessi, da parte della società datoriale.

Aggiungeva di aver impugnato il licenziamento ed inutilmente esperito il tentativo di conciliazione.

Tanto premesso, chiedeva al Tribunale di Trani, in funzione di giudice del lavoro, di dichiarare la nullità, inefficacia ed illegittimità dell’intimato licenziamento, con ogni conseguenza di legge.

A sostegno della sua domanda il G. deduceva la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, per inottemperanza al principio dell’immediatezza della contestazione, con conseguente violazione del diritto di difesa e dei "canoni di pubblicità": l’assenza della giusta causa di recesso e la violazione dei criteri di cui agli artt. 52 e 54 del c.c.n.l., di settore; la violazione del principio di proporzionalità della sanzione.

Costituitasi in giudizio, la S.p.A. Poste Italiane contestava l’assunto dell’attore e chiedeva l’integrale rigetto della domanda.

Con sentenza del 22.10.2004 il Tribunale di Trani rigettava il ricorso.

Assumeva il primo Giudice che non sussisteva ritardo nella comminatoria del licenziamento, in quanto la società datoriale aveva avuto contezza dell’imputabilità dei fatti al proprio dipendente soltanto ad esito delle indagini esperite in sede penale; che, trattandosi di fatti integranti ipotesi di reato, doveva ritenersi irrilevante l’omessa affissione del codice disciplinare nei locali dell’azienda; che, nel merito, il l’atto contestato al G. si configurava senz’altro come giusta causa di licenziamento, in quanto investiva il carattere di "grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario …" e configurava un illecito perpetrato "in danno sia della società che degli utenti del servizio postale"; che, peraltro, l’art. 54 del c.c.n.l., prevedeva il licenziamento senza preavviso "per violazioni dolose di leggi o regolamenti o dei doveri di ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o a terzi"; che. pertanto, quanto accertato nei confronti dell’attore, costituiva un "fatto di portata tale da ledere gravemente la fiducia datoriale …"; che, quindi, rispetto alla gravità del fatto, la sanzione espulsiva ben poteva considerarsi proporzionata.

Avverso tale pronuncia, con ricorso in data 29.6.2005, proponeva appello il G., cui resisteva Poste Italiane S.p.A..

Con sentenza dei 5 giugno-17 luglio 2006, l’adita Corte di Appello di Bari accoglieva il gravame e dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato in data (OMISSIS) a G.G. e, per l’effetto, ordinava a Poste Italiane S.p.A. di reintegrarlo nel suo posto di lavoro, con condanna al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, delle retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi come per legge.

A sostegno della decisione osservava che l’intimato licenziamento disciplinare era "invalido" per violazione de principio dell’immediatezza, essendo trascorso un lungo periodo di tempo (due anni) tra l’accertamento del fatto da parte di Poste italiane e l’adozione della contestazione degli addebiti ed il successivo provvedimento espulsivo.

Osservava, inoltre, che il licenziamento era stato intimato senza giusta causa in quanto – la società, avendo proceduto alla contestazione dell’addebito, riproducendo il capo di imputazione formulato in sede penale ("aver consentito alla destinataria degli atti di cancellare la propria sottoscrizione sulla ricevuta di ritorno; aver omesso di "compilare la relazione del rifiuto di ricevere le raccomandate da parte della destinataria"; aver "falsamente compilato la parte della relata di notifica nella quale attestava l’assenza da casa della stessa destinataria") – l’assoluzione intervenuta in detta sede – "perchè i fatti non costituiscono reato" – assumeva una valenza fortemente indiziaria dell’insussistenza della condotta contestata, soprattutto sotto il profilo dell’elemento intenzionale, con conseguente esclusione dell’applicabilità dell’art. 54 del CCNL, richiamato nella stessa contestazione, che puniva con il licenziamento senza preavviso solo la violazione "dolosa" di leggi, regolamenti o doveri di ufficio.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre Poste Italiane S.p.A. con tre motivi ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

G.G. non si è costituito.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di doglianza, l’appellante censura l’impugnata decisione nella parte in cui, con motivazione succinta e non appagante, esclude la tardività del provvedimento sanzionatone) espulsivo, assumendo che la società datoriale avrebbe avuto contezza della riferibilità dei fatti contestati al proprio dipendente solo all’esito delle indagini penali.

Il motivo è infondato.

Va preliminarmente rammentato che come da consolidato orientamento di questa Corte – nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, proprio perchè la tardività della contestazione e del provvedimento di recesso induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento, ritenendo non grave o, comunque, non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore.

In altri termini, la tempestività della reazione dei datore di lavoro all’inadempimento del lavoratore riveste un particolare rilievo in quanto, quando si tratti di licenziamento per giusta causa, il tempo, più o meno lungo, trascorso tra l’accertamento del fatto attribuibile al lavoratore e la successiva (contestazione ed) intimazione di licenziamento disciplinare può, in concreto, indicare l’assenza di un requisito della fattispecie prevista dall’art. 2119 cod. civ. (incompatibilità del fatto contestato con la prosecuzione del rapporto di lavoro) ed essere, quindi, sintomatico della mancanza d’interesse all’esercizio del diritto potestativo di licenziare; tale considerazione, va, tuttavia, integrata con il rilievo anch’esso rimarcato dalla giurisprudenza di legittimità- secondo cui il requisito della immediatezza deve essere inteso in senso relativo, polendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo, (cfr. Cass. 6 ottobre 2005 n. 19424: Cass. 5 aprile 2003 n. 5396).

Orbene, la Corte di Bari, riportandosi a tale orientamento, dopo avere rilevato che era riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto legittimano o meno il ritardo, ha osservato che, nel caso in esame, non ricorresse alcuna circostanza fattuale giustificativa del lungo periodo di tempo (due anni) intercorso tra l’accertamento del "fatto", da parte di Poste Italiane S.p.A. e l’adozione della contestazione degli addebiti e, quindi, il successivo provvedimento espulsivo.

Ha supportato tale osservazione, considerando che dall’esame della documentazione prodotta emergeva che la società datoriale in data 27.10.1999, ossia ben due anni prima della contestazione degli addebiti (formalizzata con nota del 29.10.2001), era perfettamente a conoscenza non solo del fatto verificatosi il (OMISSIS) nel corso dell’espletamento del servizio di recapito postale in (OMISSIS) ma, anche e soprattutto, della riferibilità dello stesso al portalettere G..

Infatti prosegue la Corte territoriale -, nella nota datata 27 ottobre 1999, diretta all’avv. Monica Bruno (legale che, con il proprio reclamo, aveva denunciato le irregolarità commesse nel recapito di alcuni atti giudiziali) la società datoriale, dopo aver riepilogato i fatti occorsi (e per i quali era in corso una corrispondenza epistolare tra il predetto avv. Bruno e Poste Italiane), riconosceva espressamente la mancata osservanza, da parte del portalettere G., delle disposizioni aziendali, non essendosi, questo, fatto rilasciare dal cliente la dichiarazione del rifiuto del plico raccomandato, previsto dalla normativa, riservandosi per l’inadempienza "di adottare nei confronti del portalettere i provvedimenti del caso". Sulla base di tale accertamento il Giudice a qua ha coerentemente tratto la conseguenza che privo di giustificazioni era il ritardo di due anni nella contestazione dell’addebito e nell’adozione della misura espulsiva, mentre non appariva condivisibile l’assunto difensivo, fondato sulla necessità di "ulteriormente" accertare la riferibilità dei fatti al G., trattandosi di "circostanza" ben nota alle Poste Italiane sin dall’ottobre 1999.

Analogamente, non poteva condividersi la motivazione addotta a base del licenziamento e fondata sulla "sopravvenuta" conoscenza, solo nell’ottobre del 2001, della richiesta di rinvio a giudizio del portalettere, atteso che, essendo stata contestata la (pretesa) violazione dei doveri di cui all’art. 51 dell’allora vigente c.c.n.l., che prescindono non solo dalla commissione di reati ma finanche dall’accertamento giudiziario degli stessi, tale circostanza temporale e fattuale (id est: la ricezione della comunicazione della richiesta di rinvio a giudizio in sede penale) era, nell’economia del procedimento disciplinare, assolutamente irrilevante. Di contro, risultava evidente che, in costanza della conoscenza di tutti gli elementi di valutazione del fatto e della condotta ("… In ogni caso, per l’inadempienza, l’azienda si riserva di adottare nei confronti del portalettere i provvedimenti del caso …"), il considerevole periodo di tempo trascorso e la contestuale regolare prosecuzione, da parte del G., della sua attività di portalettere per oltre due anni dal giugno 1999 rapprentavano elementi univoci dell’iniziale volontà datoriale di proseguire il rapporto di lavoro e di non considerare l’inadempienza tanto grave da interrompere il vincolo fiduciario posto a base dello stesso (laddove il diverso e successivo mutamento di rotta sembrava più connesso agli sviluppi della vicenda ed al riflesso negativo per l’azienda; motivi comprensibili ma non sufficienti al recesso). Del tutto logica e coerente è, dunque, la conclusione del Giudice di appello, secondo cui, trattandosi di licenziamento disciplinare, la violazione del requisito dell’immediatezza della contestazione e della sanzione, rendeva "invalido", già sotto questo profilo, il procedimento disciplinare posto in essere e, quindi, la sanzione finale adottata.

Da quanto esposto discende il rigetto del ricorso, rimanendo assorbiti gli altri motivi, avendo la Corte di Bari ampiamente e correttamente motivato le sue determinazioni, per nulla inficiate dalle argomentazioni adottate dalla società ricorrente, dirette a prospettare una diversa ricostruzione dei fatti ed a fornire di essi una diversa valutazione.

Nulla va disposto in ordine alle spese, non avendo l’intimato, svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso: nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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