Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-01-2011) 22-03-2011, n. 11314 Prova penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

do Domenico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ha proposto ricorso per Cassazione D.L.A.R., per mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli dell’11.2.2010, che in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Nola l’11.3.2008, lo aveva dichiarato colpevole del delitto di rapina ascrittogli, condannandolo alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 1000 di multa previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle aggravanti e alla recidiva.

La Corte disponeva inoltre la trasmissione al competente ufficio del PM, per le eventuali ulteriori iniziative del requirente, dei verbali delle deposizioni rese in giudizio dai testi I.V., V.M., I.R., B.M. e V.E..

La difesa deduce il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione del provvedimento impugnato sia in ordine alla valorizzazione della testimonianza della persona offesa, con particolare riferimento alla individuazione dell’imputato come uno degli autori della rapina che con riguardo alla opposta svalutazione della prova d’alibi fornita dal D.L. attraverso numerosi testimoni.

In sintesi, sotto il primo profilo la ricognizione fotografica effettuata dal S. nel corso delle indagini preliminari, anche perchè condizionata dalle circostanze del riconoscimento, e ancora più a monte dalla limitata possibilità di osservazione, durante l’esecuzione del crimine, dell’aspetto del rapinatore poi identificato nel D.L.,non potrebbe da sola sorreggere l’accusa;

nè varrebbe all’uopo il riferimento alla ricognizione effettuata dal teste in dibattimento, ma senza l’osservanza delle formalità dettate dall’art. 213 c.p.p. Del pari, del tutto ingiustificatamente la Corte di merito avrebbe disatteso le indicazioni testimoniali sulla presenza dell’imputato in ore coincidenti con la rapina, in un luogo diverso, sulla base di considerazioni manifestamente illogiche, come ad es., i sospetti criteri di scelta dei testimoni.

Il ricorso è inammissibile.

La Corte di merito ha dato conto del proprio convincimento con argomentazioni ampie e condivisibili, alle quali la difesa oppone alternative valutazioni di merito fondate su una ricostruzione dei fatti nemmeno incompatibile con la possibilità dell’identificazione dell’imputato (come ad es. riguardo alla considerazione che il rapinatore identificato dal S. nel D.L. indossasse un berretto con visiera e si fosse posto frontalmente davanti alla persona offesa solo per pochi attimi; o come per la vaga affermazione delle condizioni di scarsa visibilità del luogo della rapina).

La Corte di merito oppone a tali considerazioni, la costante certezza dell’identificazione dell’imputato da parte del S., avvalorata dalle qualità professionali del teste, ispettore di polizia e quindi naturalmente "attivo" nell’osservazione di fatti di reato, alla stregua di atti ricognitivi che non possono affatto ritenersi inutilizzabili. Ed invero, l’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica – è, infatti, una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione; pertanto, la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Corte di Cassazione SEZ. 6, 05/12/2007, Major e altri).

Naturale corollario di tale principio, è poi l’assoggettabilità dell’individuazione alle regole processuali che consentono l’utilizzazione in dibattimento di dichiarazioni rese da un teste nella fase delle indagini preliminari. L’affermazione è peraltro coerente con l’ammissibilità, nel nostro ordinamento processuale, di prove non espressamente disciplinate dalla legge ( art. 189 c.p.p.), alle quali deve essere assimilata anche l’individuazione dell’autore del reato con modalità diverse da quelle regolate dall’art. 213 c.p.p. (cass. 15.1.2002, Deda). E in tema di ricognizione personale deve ammettersi anzi che il giudice possa ritenere maggiormente attendibile l’esito positivo dell’individuazione effettuata dalla persona offesa nel corso delle indagini preliminari, in prossimità temporale rispetto al fatto, rispetto a quello incerto della ricognizione effettuata in dibattimento, valorizzando, a fondamento del proprio convincimento, il decorso del tempo (Cassazione pen., SEZ. 4,22/01/2008 Distinto).

Nel caso di specie va poi rilevata piuttosto la coerenza dell’identificazione fotografica effettuata dal S. nel corso delle indagini preliminari, con la ricognizione personale effettuata dal teste in dibattimento, l’utilizzabilità della quale non è inficiata dalla mancata osservanza delle regole di cui all’art. 213 c.p.p..

Il riconoscimento dell’imputato presente, operato in udienza, nel corso della deposizione da parte del testimone, deve essere infatti tenuto distinto dalla ricognizione personale, disciplinata dall’art. 213 c.p.p., ed è inquadrarle tra le prove non disciplinate dalla legge di cui all’art. 189 c.p.p., costituendo in sostanza un momento della prova testimoniale, un passaggio dichiarativo relativo all’accertamento diretto dell’identità personale dell’imputato da parte del teste Corte di Cassazione nr. SENT. 34110 27/04/2006 Valdo Iosi).

Gli atti di individuazione del S., alla luce di tali principi, non possono quindi affatto considerarsi "meri atti di indagine" privi di autonomo rilievo probatorio, ma costituiscono parte integrante delle dichiarazioni del teste, soggette al normale scrutinio di attendibilità che deve in generale presiedere alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa dal reato, senza però la necessità di riscontri estrinseci.

Quanto alla esclusione dell’attendibilità dei testimoni addotti dall’imputato a conferma del suo alibi, la Corte di merito, a parte alcune considerazioni non del tutto pertinenti, ha colto però significativamente un aspetto di reale perplessità nella corale indicazione, da parte di tutti i testi, di un orario di "avvistamento" dell’imputato nei pressi della sua abitazione, che presenta margini di oscillazione incredibilmente ristretti rispetto alla normale capacità di memorizzazione "umana" di certi particolari, soprattutto a distanza di tempo.

I verbali di prova prodotti dalla difesa non smentiscono affatto le perplessità segnalate dalla Corte territoriale; basti considerare, a mò di esempio, la testimonianza della I., che collocò l’incontro con l’imputato tra le ore 11,20 e le ore 11,30, con una precisione del ricordo in effetti inverosimile rispetto ad un contatto ormai alquanto datato all’epoca della testimonianza, ma anche assolutamente casuale e fuggevole, e che la teste non aveva alcuna esigenza di fissare particolarmente nella memoria.

Il sospetto che questa insolita precisione fosse artatamente mirata sulle specifiche esigenze d’alibi dell’imputato, considerata la breve distanza della sua abitazione dal luogo della rapina, che gli avrebbe consentito di coprire il tragitto in pochi minuti, non illogicamente è stato espresso dalla Corte territoriale, soprattutto a confronto delle incrollabile certezza del riconoscimento dell’imputato da parte del S..

Del tutto irrilevante, nelle valutazioni del caso, è poi la circostanza che l’imputato fosse impegnato in una lecita attività lavorativa.

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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