T.A.R. Lazio Roma Sez. II, 01-07-2010, n. 22061 SPESE GIUDIZIALI PENALI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Il Finanziere L., odierno ricorrente, veniva tradotto presso il carcere militare di Peschiera del Garda in data 7 luglio 1998, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli nel procedimento R.G. n. 3615/r/93.

Con decreto di citazione del medesimo G.I.P. in data 22 luglio 1999 era dunque rinviato a giudizio. Con sentenza n. 1689/2003, divenuta irrevocabile il 24 settembre 2004, la prima Sezione Penale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha assolto l’odierno ricorrente con formula piena.

Sulla base dell’assistenza legale prestata all’odierno ricorrente, il difensore di questi in sede penale – avv. Vitiello – emetteva parcella per un totale generale di euro 163.403,00, comprensivo di IVA e di rimborso forfetario del 10% degli onorari. Di qui l’istanza presentata dal ricorrente, sulla base della parcella stilata dal professionista, di rimborso delle spese legali sostenute.

In data 12 agosto 2005 replicava l’amministrazione di appartenenza del ricorrente rappresentando che "l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, con nota n. 26905 in data 5 luglio 2005, si è espressa in merito sia all’istanza di rimborso delle spese legali presentata dal nominato in oggetto che a quelle di altri due militari, difesi dallo stesso legale e coinvolti nella medesima vicenda penale, rilasciando il proprio nulla osta a che venga dato corso al rimborso di euro 60.305,49 per ciascun richiedente".

Avverso la nota della Guardia di Finanza ed il presupposto parere in data 5 luglio 2005 dell’Avvocatura dello Stato è dunque volto il presente ricorso, con il quale è anche chiesto l’accertamento della quantificazione del diritto al rimborso delle spese legali nella misura di euro 133.400,00 oltre IVA e CPA ed euro 28.613,00 per indennità di trasferta e rimborso spese di cui all’art. 4 del tariffario forense, con conseguente condanna delle intimate amministrazioni al pagamento delle somme indicate.

A sostegno del proposto ricorso si deduce violazione e/o erronea applicazione dell’art. 3 del D.M. 5 ottobre 1994 n. 585 ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, errore sul presupposto, illogicità manifesta, carenza e/o insufficienza della motivazione.

Si è costituita in giudizio l’intimata Amministrazione di appartenenza del ricorrente affermando la infondatezza del proposto ricorso e concludendo perché lo stesso venga respinto.

Alla pubblica udienza del 28 aprile 2010 il ricorso viene ritenuto per la decisione in esito alla discussione orale.

Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto nei limiti di seguito meglio chiariti.

Giova preliminarmente ricordare che l’art. 18 del D.L. 25 marzo 1997, n. 67 (convertito con L. 23 maggio 1997, n. 135), in ordine al rimborso delle spese legali da parte della Pubblica amministrazione stabilisce che "le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato… ".

La predetta norma costituisce espressione del principio dell’ordinamento amministrativo secondo cui è consentito all’Amministrazione di intervenire a contribuire alla difesa del suo dipendente imputato in un processo penale.

In sostanza, la suindicata disposizione subordina il rimborso alla sussistenza di due requisiti e precisamente:

– che il giudizio di responsabilità sia stato promosso "in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali";

– che esso si sia concluso con sentenza od altro provvedimento che abbia escluso la responsabilità dell’istante.

Il giudizio di responsabilità si considera promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali solo nei casi in cui l’imputazione riguardi un’attività svolta in diretta connessione con i fini dell’ente (T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 19 maggio 2009, n. 486).

Afferma, difatti, al riguardo la giurisprudenza che il diretto interesse dell’Amministrazione a sopportare gli oneri delle spese di difesa del dipendente va riconosciuto solo nei casi in cui l’imputazione riguardi un’attività svolta in diretta connessione con i fini dell’ente e, come tale, ad esso imputabile (cfr. T.A.R. Trentino Alto Adige Bolzano, 13 marzo 2007, n. 101; T.A.R. Catanzaro, sez. I, 22.12.2004, n. 2463; T.A.R. Milano, sez. I, 27.3.2002, n. 1291; T.A.R. Palermo, sez. I, 27.5.2002, n. 1309).

La finalità della norma risulta essere l’esigenza di sollevare i funzionari pubblici dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all’espletamento del servizio (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, Sez. I, 21 giugno 2006, n. 1475) e tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse dell’Amministrazione, delle spese legali affrontate per i procedimenti giudiziari strettamente connessi all’espletamento dei loro compiti istituzionali, con la conseguenza che il requisito essenziale in questione può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di appartenenza (cfr. Cons. Stato, sez. III, 25.11.2003, parere n. 332/03; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 20.12.2004, nn. 6497 e 6498).

La presente controversia è dunque perfettamente inquadrabile nell’ambito di riferimento normativo e fattuale ora delineato.

Quanto al ruolo dell’Avvocatura dello Stato, in ordine al profilo inerente all’oggetto del potere, il Collegio non ravvisa dalla normativa di riferimento elementi per affermare la necessità che la valutazione dell’Avvocatura dello Stato sia strettamente limitata all’aspetto relativo al quantum affermato da parte ricorrente, risultando ragionevole che la valutazione tecnica da parte della citata avvocatura possa riguardare l’intera vicenda inerente al rimborso (cfr. T.A.R. Napoli, IV Sezione, 23 marzo 2010 n. 1572). Ma proprio il riconoscimento di un potere valutativo allargato all’intera vicenda inerente al rimborso impone adeguatezza della motivazione della valutazione resa e logicità e congruenza di questa con riguardo ai mutevoli presupposti di fatto oggetto della valutazione medesima.

Va anche ricordato, poichè utile ai fini della presente decisione, che la posizione dell’impiegato dello Stato che chiede il rimborso delle spese legali sostenute per difendersi in un giudizio, in cui è stata esclusa la sua responsabilità, è di diritto soggettivo quanto all’an, dal momento che esse, per espressa disposizione di legge " sono rimborsate " all’impiegato stesso, mentre è di interesse legittimo per quanto concerne il quantum, posto che l’art. 18 d.l. n. 67 del 1997 dispone che il rimborso avviene " nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato ", che esercita quindi un potere discrezionale, con la conseguenza che il ricorso per il riconoscimento del diritto può essere proposto nei termini di prescrizione, mentre quello che contesti l’ammontare della somma riconosciuta va proposto nel termine di decadenza (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia Trieste, 11 gennaio 2007, n. 43). In altri termini, il testo dell’art. 18 citato impedisce al giudice amministrativo una determinazione diretta dell’ammontare del relativo credito del dipendente interessato, in quanto il riconoscimento del rimborso è appunto subordinato al ricordato discrezionale vaglio tecnico di congruità dell’Avvocatura dello Stato: di conseguenza, in materia non è consentita l’adozione di sentenze di accertamento e di condanna, ma solo un sindacato giurisdizionale sul giudizio amministrativo di incongruità degli importi dei quali l’amministrazione abbia denegato il rimborso (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 07 ottobre 2004, n. 10451).

Nella specie, non vi è dubbio che l’attività professionale prestata dall’avv. Vitiello in favore dell’odierno ricorrente presenta profili di differenziazione rispetto a quella prestata in favore degli altri due Finanzieri anch’essi imputati nel medesimo procedimento, e ciò in ragione delle peculiarità caratterizzanti la posizione del primo. Depongono, in tal senso, il diverso arco di tempo dell’assistenza professionale prestata, per essere stato il ricorrente il primo e con largo anticipo rispetto agli altri ad aver conferito mandato professionale all’avv. Vitiello e la diversità della posizione processuale del ricorrente (al quale solo fu applicata la misura della custodia cautelare in carcere). In altri termini, non appare al Collegio destituita di fondamento l’affermazione di parte ricorrente per cui, non essendovi identità di posizione processuale tra i tre clienti dell’avv. Vitiello, non avrebbe dovuto applicarsi la riduzione percentuale della tariffa prevista dal D.M. n. 585 del 1994 per la ipotesi dell’assistenza a più clienti che appunto abbiano identità di posizione processuale. In questo senso, la contestata azione amministrativa è, per come fondatamente rilevato da parte ricorrente, illegittima per travisamento e/o erroneo apprezzamento dei presupposti di fatto. Del resto, l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli ha preso le mosse, in sede di parere reso, dalla diretta ed immediata indicazione di un importo (pari a 133.480,00 euro) complessivo, a valere per le prestazioni professionali rese dall’avv. Vitiello per tutti e tre i suoi assistiti, prestazioni dunque paritariamente considerate. Tant’è che è stata individuata prioritariamente la prestazione resa in favore del Sig. Sanna, dunque utilizzata quale base di calcolo per gli altri due assistiti, con ricorso peraltro al meccanismo della riduzione prevista per l’ipotesi della identità di posizione processuale. La stessa individuazione dell’importo di euro 45.040,00 in riferimento all’attività professionale prestata in favore del citato Sig. Sanna, assunta poi quale base di calcolo, risulta supportata dall’apodittica affermazione della sua ritenuta congruità, in difetto quindi di un adeguato e questo sì congruo supporto motivazionale.

In conclusione, gli atti avversati vanno annullati poiché illegittimi, per quanto innanzi considerato, salvi ovviamente gli ulteriori provvedimenti che le competenti Amministrazioni adotteranno con riguardo all’istanza di rimborso spese legali a suo tempo avanzata dall’odierno ricorrente.

Il ricorso va invece dichiarato inammissibile nella parte in cui è con lo stesso richiesto l’accertamento del diritto del ricorrente medesimo all’importo richiesto di euro 133,499,00 oltre IVA e CPA.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, II Sezione accoglie, ai sensi e nei limiti di cui motivazione, il ricorso di cui in epigrafe nella parte in cui è chiesto l’annullamento degli atti impugnati, che vanno conseguentemente annullati e lo dichiara inammissibile per il resto.

Spese compensate

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2010 con l’intervento dei Magistrati:

Luigi Tosti, Presidente

Salvatore Mezzacapo, Consigliere, Estensore

Giampiero Lo Presti, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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