Cass. civ. Sez. I, Sent., 07-06-2011, n. 12372 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- La Corte d’appello di L’Aquila, con decreto del 17.12.2008, ha parzialmente accolto la domanda di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 proposta da M.C. in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tribunale di Ancona il 18.7.1997 e definito in Cassazione il 27.11.2007, liquidando alla parte attrice, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale, per la durata irragionevole determinata in anni 3 e mesi 6, la somma di Euro 3.500,00, oltre interessi legali, condannando il Ministero della Giustizia alle spese del giudizio (Euro 500,00 oltre accessori).

Per la cassazione di questo decreto la parte attrice ha proposto ricorso affidato a due motivi.

Il Ministero intimato ha resistito con controricorso, proponendo, altresì, ricorso incidentale con il quale ripropone l’eccezione di incompetenza per territorio, essendo stato definito il processo in Cassazione e non essendo, quindi, applicabile l’art. 11 c.p.p..

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

1.1.- La presente sentenza è redatta con "motivazione semplificata" ai sensi del provvedimento del Primo Presidente in data 22 marzo 2011. 1.2.- Va preliminarmente evidenziata l’infondatezza del ricorso incidentale perchè le Sezioni unite di questa Corte hanno di recente affermato che in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente in ordine alla relativa domanda, il criterio di collegamento stabilito dall’art. 11 cod. proc. pen., richiamato dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1, va applicato con riferimento al luogo in cui ha sede il giudice di merito, ordinario o speciale, dinanzi al quale ha avuto inizio il giudizio presupposto, anche nel caso in cui un segmento dello stesso si sia concluso dinanzi alla Corte di cassazione, non ostandovi, sul piano lessicale, il termine "distretto" adoperato nell’art. 3 cit., il quale appartiene alla descrizione del criterio di collegamento e vale a delimitare un ambito territoriale in modo identico, quale che sia l’ufficio giudiziario dinanzi al quale il giudizio presupposto è iniziato e l’ordine giudiziario cui appartiene, in quanto ciò che viene in rilievo non è l’ambito territoriale di competenza dell’ufficio giudiziario, ma la sua sede (Sez. U, Ordinanza n. 6306/2010). La Corte di appello di L’Aquila è competente, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3 e 11 c.p.p., per tutti i giudizi iniziati nel distretto di Ancona.

2.- Con il primo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge ( L. n. 89 del 2001, art. 2; art. 6 CEDU) e con il secondo vizio di motivazione. Formula unico quesito con il quale chiede "se in base all’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della L. 4 agosto 1955, n. 848, nonchè della L. n. 89 del 2001, art. 2, per valutare la ingiusta durata del procedimento si debba prendere in considerazione lo stesso procedimento nella sua interezza, rectius cinque anni d’irragionevole durata, così come documentati nel ricorso". 2.1.- I motivi sono infondati perchè la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, dispone che la ragionevole durata di un processo va verificata in concreto, facendo applicazione dei criteri stabiliti da detta norma all’esito di una valutazione degli elementi previsti da detta norma (per tutte, Cass. n. 6039, n. 4572 e n. 4123 del 2009; n. 8497 del 2008) e in tal senso è orientata anche la giurisprudenza della Corte EDU (tra le molte, sentenza 1^ sezione del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98), la quale ha tuttavia stabilito un parametro tendenziale che fissa la durata ragionevole del giudizio, rispettivamente, in anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimità.

Nella concreta fattispecie il processo presupposto si è sviluppato in tre gradi di giudizio e la Corte di merito ha evidenziato il comportamento delle parti (richieste di rinvio) al quale ha ritenuto imputabile il ritardo degli ulteriori sei mesi rispetto ai tre anni e sei mesi imputabili all’Amministrazione.

3. – Con il terzo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge ( L. n. 89 del 2001, art. 2; art. 6 CEDU) e con il quarto vizio di motivazione, lamentando l’esiguità dell’indennizzo liquidato.

3.1.- Le censure sono infondate alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale "In tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. Peraltro, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta che la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo da ultimo indicato comporta un evidente aggravamento del danno" (Sez. 1, Sentenza n. 21840 del 14/10/2009).

Nella concreta fattispecie la Corte di merito si è attenuta ai criteri innanzi indicati, liquidando Euro 1.000,00 per anno di ritardo.

4. – Con il quinto ed il sesto motivo parte ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla liquidazione delle spese di lite con violazione dei minimi tariffari e mancata distinzione dei diritti dagli onorari.

4.1.- Le censure sono fondate perchè risultano violati i minimi tariffari in considerazione degli importi liquidati da questa Corte ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Il decreto impugnato va quindi cassato limitatamente al capo concernente le spese e la causa decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante la liquidazione delle spese dovute per il giudizio di merito, in applicazione delle regole sopra indicate.

Le spese di legittimità vanno compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il limitato e parziale accoglimento del ricorso.
P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso incidentale, accoglie il ricorso principale nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 378,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge; che compensa in misura di 2/3 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/3 e che determina per l’intero in Euro 525,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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