T.A.R. Lazio Roma Sez. II, 01-07-2010, n. 22056 TRASPORTO PUBBLICO E IN GENERE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

A seguito di accordi intercorsi tra il Sindaco di Roma ed alcune organizzazioni sindacali degli esercenti i servizi pubblici di trasporto non di linea, il Comune di Roma, con le determinazioni dirigenziali n. 1391 del 4 agosto 2005 e n. 1395 del 5 agosto 2005, approvò i bandi dei concorsi pubblici per il conferimento, rispettivamente, di 300 e di 150 licenze taxi.

I predetti bandi previdero, in entrambi i casi, regole d’ammissione e categorie di titoli valutabili sostanzialmente simili, tranne quello di cui alla determinazione n. 1395/2005. In virtù di questo, fu stabilita l’assegnazione d’un punteggio per lo stato di disoccupazione dal 1° gennaio 1993 fino alla data di pubblicazione del bando stesso, alcuni altri punteggi per titoli vari e, soprattutto, l’effettuazione d’una prova d’esame, consistente nella risoluzione d’un quiz a risposta multipla su alcune materie colà indicate.

Al riguardo, i sigg. C.B. e consorti, che assumono d’esser stati in varia guisa penalizzati dalla disciplina dei concorsi de quibus, ne affermano pure l’illegittimità in quanto, a loro dire, il primo concorso sarebbe stato di fatto riservato ai c.d. "sostituti" alla guida, mentre il secondo sarebbe stato aperto a tutti i soggetti in possesso dei requisiti indicati. Sicché i sigg. B. e consorti adiscono questo Giudice, con il ricorso in epigrafe, impugnando entrambi i bandi e deducendo in punto di diritto cinque mezzi di censura. Con motivi aggiunti depositati il 5 maggio 2006, i ricorrenti sigg. B., P., R. e S. impugnano la loro esclusione dai concorsi de quibus per assenza in capo ad essi dei rispettivi requisiti d’ammissione, all’uopo deducendo uno actu profili di censura differenziati per le proprie personali vicende. Resiste nel presente giudizio l’intimato Comune di Roma, che conclude per l’inammissibilità e l’infondatezza della pretesa attorea.

Alla pubblica udienza del 28 aprile 2010, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

Motivi della decisione

Come già evidenziato nelle premesse in fatto, i ventitrè odierni ricorrenti hanno insieme adito questo Giudice, con un gravame introduttivo e con i motivi aggiunti depositati il 5 maggio 2006, per l’annullamento delle determinazioni dirigenziali n. 1391 del 4 agosto 2005 e n. 1395 del 5 agosto 2005, con cui il Comune di Roma ha approvato i bandi dei concorsi pubblici per il conferimento, rispettivamente, di 300 e 150 licenze taxi.

Ora, è jus receptum che più soggetti abbiano eccezionalmente la facoltà d’impugnare insieme (ricorso collettivo) un provvedimento amministrativo, ma sempre che gli interessi fatti valere non siano divergenti e contrastanti tra loro al momento del gravame, in modo tale che l’eventuale accoglimento del ricorso, pur fondato sugli stessi motivi, non torni a vantaggio di uno e a danno di altro (cfr. Cons. St., V, 15 ottobre 2009 n. 6323). È parimenti fermo in giurisprudenza il principio per cui, nel processo amministrativo, ai fini dell’ammissibilità del ricorso collettivo occorre, oltre al requisito negativo dell’assenza di conflitti di interessi, che vi sia identità di situazioni sostanziali e processuali, cioè che le domande giurisdizionali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per i medesimi motivi (cfr., per tutti, Cons. St., V, 10 settembre 2009 n. 5425).

Non a diversa conclusione si deve pervenire ove si valuti la res controversa soltanto come ricorso cumulativo, il quale è comunque inammissibile quando tra gli atti impugnati non sussista alcuna connessione procedimentale, oppure non sia identificabile alcun rapporto di presupposizione giuridica (ossia, sulla base di uno schema normativo) o quantomeno di carattere logico, in quanto i diversi atti non incidono sulla medesima vicenda (arg. ex Cons. St., V, 29 dicembre 2009 n. 8914), pur se originati, come nella specie, da una comune esigenza. In altri termini, una pluralità di procedimenti, con differente morfologia, può originare dall’apprezzamento d’un comune interesse pubblico da curare in concreto, senza necessità, se questa non è predefinita dalla norma attributiva della funzione, che ciascuno di essi debba replicare puntigliosamente il precedente. Nella specie, il Comune di Roma ha inteso curare l’interesse pubblico all’incremento del trasporto pubblico locale non di linea, attraverso un fascio di statuizioni differenziate, miranti a loro volta a coordinare detto interesse, secondo gli ovvi principi di proporzionalità e ragionevolezza, con altrettanto diversi interessi secondari non confliggenti con il primo e concretatesi, p.es. (per la determinazione n. 1391/2005), nella tutela "… di forme di precariato documentate entro la data del 31.12.2001…", piuttosto che (per la determinazione n. 1395/2005) lo "… scopo… di creare nuove opportunità di lavoro…". Se, dunque, il principio secondo cui il ricorso va rivolto, a pena d’inammissibilità, contro un solo atto ovvero contro atti diversi, purché collegati va inteso senza formalismi, in termini di ragionevolezza e di giustizia sostanziale, allora è già ex se inammissibile, nella specie, il ricorso cumulativo in epigrafe proprio perché, già nella ratio di essi, NON sussistono oggettivi elementi di connessione tra i diversi atti impugnati, né tampoco una loro sicura riconducibilità nell’ambito del medesimo rapporto o di un’unica sequenza procedimentale (arg. ex Cons. St., IV, 18 marzo 2010 n. 1617).

Ebbene, già in sede cautelare il Supremo Consesso, nel confermare il rigetto della domanda di sospensiva, ebbe modo di stigmatizzare la problematica ammissibilità di un’impugnazione cumulativa di due distinte e non omogenee procedure concorsuali da parte di soggetti, come gli odierni ricorrenti, i quali, per stessa loro ammissione in sede di memoria conclusionale e come evincesi dall’elenco delle loro personali vicende, versano tutti in posizioni tra loro non comuni. In tal caso essi, già di primo acchito -a cagione, cioè, dell’evidente non comunione di posizioni, anzi addirittura per aver partecipato all’uno o all’altro procedimento, non appaiono legittimati a proporre collettivamente un’impugnazione cumulativa di procedimenti concorsuali che erano e restano differenti. Costoro, quindi, non solo non si rivolgono verso provvedimenti tra loro connessi -appunto per l’evidente assenza di connessione giuridica tra le due procedure, ma soprattutto non possono ritrarre un’unica e paritaria utilità giuridica dall’eventuale accoglimento delle loro, per vero, assai variegate domande giudiziali. Tanto non volendo considerare l’esito di ciascun concorso per il quale i singoli ricorrenti hanno in effetti presentato istanza di partecipazione, perché, se è vero che parecchi di essi, come s’evince dalla memoria conclusionale del Comune di Roma in data 16 aprile 2010, hanno poi ottenuto l’invocata licenza, tal vicenda dimostra non già, o non solo il sopravvenuto esaurimento dell’interesse azionato, quanto, piuttosto, la sostanziale emulatività della impugnazione attorea.

Né l’inammissibilità del gravame introduttivo vien meno ove si voglia inferire l’illegittimità dell’un bando dalle clausole dell’altro, specie se non è data dai ricorrenti idonea contezza a quale delle due procedura in concreto s’è inteso partecipare. Com’è noto, l’interpretazione degli atti amministrativi soggiace alle stesse regole dettate dagli artt. 1362 e ss., c.c., per cui occorre ricostruire l’effettivo intento del Comune intimato ed il potere che esso ha inteso esercitare, in base al complessivo contenuto dell’atto e al comportamento da questo tenuto. Ebbene, il contegno del Comune è sempre stato fermo a tener distinte le due procedure de quibus, appunto perché afferenti a due distinti modi di coordinamento degli interessi nei procedimenti da cui hanno preso le mosse le determinazioni impugnate e di ciò sono consapevoli i ricorrenti, laddove ben comprendono che il primo concorso si è rivolto essenzialmente ai c.d. "sostituti" alla guida, mentre il secondo è aperto a tutti i soggetti in possesso dei requisiti indicati dal relativo bando. Non a caso, il patrono dei ricorrenti, nella citata memoria conclusionale del 17 aprile 2010, invita il Collegio a valutare l’ammissibilità del ricorso in epigrafe dall’eventuale fondatezza del primo mezzo di gravame, il quale, però, muove da un vero e proprio equivoco, quello, cioè, d’applicare tout court i concetti dei concorsi a pubblici impieghi al rilascio di autorizzazioni. In concreto, qui si tratta non di reclutare i più capaci e meritevoli in uffici pubblici ex art. 97 Cost., ma di gestire con iniziative scandite nel tempo l’ammissione, connessa alla libertà d’impresa di cui al precedente art. 41, III c., ad un mercato progressivamente liberalizzato e regolato all’ingresso soltanto per ragioni di sicurezza pubblica e di certezza dell’offerta a favore dell’utenza collettiva del trasporto non di linea.

Come si vede, non solo non v’è alcuna coerenza logica tra i "concorsi" de quibus e quelli a pubblici impieghi, ma soprattutto l’argomento adoperato dai ricorrenti non elide l’evidente conflitto, tra loro, di posizioni di partenza e di interessi azionati.

Dimostrazione patente di ciò si ha proprio nei motivi aggiunti depositati il 5 maggio 2006, peraltro proposti da solo alcuni (quattro) dei ricorrenti originari, che appunto evidenzia l’assenza di posizioni omogenei con i restanti. Né basta: nemmeno tra loro quattro v’è la benché minima comunione di interessi, giacché la sig. BOSCHI si duole della propria esclusione per il titolo di studio, mentre i sigg. P., R. e S. lamentano la pretesa illegittimità del divieto di trasferimento d’una precedente licenza. Ebbene, mentre gli ultimi tre ricorrenti posseggono il titolo di studio che la sig. BOSCHI contesta, quest’ultima non ha mai avuto una licenza precedente. Sicché non è chi non veda come l’eventuale accoglimento della doglianza della sig. BOSCHI ridonderebbe in danno nei confronti dei sigg. PROIETTI e consorti e viceversa. Tanto non volendo considerare che, anche a predicare l’ammissibilità nel merito della doglianza di tali ricorrenti, nel frattempo erano state pubblicate le graduatorie d’entrambi i concorsi senza che mai, neppure adesso, almeno un controinteressato fosse stato intimato.

In definitiva, il ricorso in epigrafe va dichiarato inammissibile. Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. II, dichiara inammissibile il ricorso n. 11179/2005 RG in epigrafe.

Condanna i ricorrenti, in solido ed in misura uguale tra loro, al pagamento, a favore del Comune resistente e costituito, delle spese del presente giudizio, che sono liquidate nel complesso in Euro 3450,00 (Euro tremilaquattrocentocinquanta/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 28 aprile 2010, con l’intervento dei sigg. Magistrati:

Luigi Tosti, Presidente

Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore

Stefano Toschei, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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