Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-12-2010) 22-03-2011, n. 11297

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 3.6.2004, il Tribunale di Latina, in composizione monocratica, dichiarò D.M.P. responsabile del reato di concorso in ricettazione e ritenuta l’ipotesi di cui al capoverso dell’art. 648 c.p. lo condannò alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 300,00 di multa.

Avverso tale pronunzia propose gravame il difensore dell’imputata, e la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 2 dicembre 2009, in riforma della decisione di primo grado riduceva la pena a mesi otto di reclusione ed Euro 200,00 di multa, previa applicazione delle attenuanti generiche.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla prova della condotta contestata.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
Motivi della decisione

Il ricorrente, pur avendo formalmente denunciato con l’unico motivo di ricorso il vizio di difetto di motivazione (fondandolo principalmente sulla valutazione delle dichiarazioni della parte offesa, che aveva potuto riferire unicamente ciò che aveva appreso dal suo trasportatore) ha, tuttavia, nella sostanza, svolto ragioni che costituiscono una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di appello con la finalità di ottenere una nuova valutazione delle prove stesse; e ciò non è consentito in questa sede. E’ il caso di aggiungere che la sentenza impugnata va necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, derivandone che i giudici di merito hanno spiegato in maniera adeguata e logica, le risultanze confluenti nella certezza della responsabilità dell’imputata per il reato di ricettazione. In particolare, la Corte ha ritenuto del tutto inattendibile la versione dell’imputata – la quale ha ammesso di aver ricevuto la merce ed ha affermato di averla pagata in contanti – in quanto non solo nettamente smentita dalla parte offesa L., il quale ha ribadito di aver ricevuto gli assegni in pagamento della merce consegnata alla D., ma anche contraria alla normale prassi commerciale, stante l’importo elevato della fornitura.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *