Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-12-2010) 22-03-2011, n. 11293

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 4.12.2007, il Tribunale di Lucca, in composizione monocratica, dichiarò C.F. responsabile del reato di cui all’art. 648 cpv c.p. e – concesse le attenuanti generiche equivalenti – lo condannò alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 200,00 di multa.

Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 12.3.2010, confermava la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo: 1) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) per erronea applicazione della legge penale, in quanto il possesso della refurtiva unitamente al fine di profitto poteva integrare unicamente il reato di furto e non quello di ricettazione; 2) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, che non ha dato alcuna contezza sia dell’elemento oggettivo che dell’elemento soggettivo della ricettazione.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Questa Corte ha più volte evidenziato come, in tema di cosiddetto smarrimento di assegno, o di altra cosa che mantenga "chiari e intatti i segni esteriori pubblicitari di un possesso legittimo altrui", non appare configurabile il presupposto dello smarrimento obiettivo vero e proprio, tale che il bene possa ritenersi del tutto uscito dalla sfera di disponibilità del possessore, nel senso che egli non abbia alcuna possibilità di ripristinare il suo potere di fatto sullo stesso e debba quindi considerarsi come venuto meno anche l’elemento psicologico del possesso. In questa prospettiva il venir meno della relazione materiale del titolare con la cosa posseduta, al di fuori dei casi in cui il medesimo ne abbia volontariamente dismesso il possesso, postula che il potere di fatto non sia cessato, in quanto esso è suscettibile di essere ripristinato attraverso i segni esteriori della cosa, i quali costituiscono l’espressione inequivocabile del possesso altrui, mai venuto meno nella sua essenza psicologica (v. Cass. Sez. 2^, n. 25756/2008). Pertanto, colui che fa proprio un simile bene, uscito dalla custodia del suo titolare, senza provvedere – avendone la possibilità – alla materiale restituzione, pone in essere una condotta riconducibile sotto il profilo materiale e psicologico, o alla previsione della fattispecie criminosa del furto qualora l’impossessamento sia avvenuto senza intermediario, con sottrazione vera e propria al legittimo titolare dello "ius possidenti", ovvero a quella concretantesi nella ricettazione, laddove, come nel caso di specie, non risulti provato che sia stato l’imputato ad appropriarsi per primo dei documenti smarriti. Infatti, dall’istruttoria dibattimentale non è emerso nessun elemento circa l’avvenuto impossessamento da parte del C., non avendo l’imputato fornito alcuna giustificazione o indicazione in ordine alla provenienza dell’assegno (v. sentenza di primo grado pag. 4).

La Corte territoriale, facendo corretta applicazione dei principi sopra esposti, nel ritenere la sussistenza del contestato reato di ricettazione, ha logicamente rilevato sia il dato fattuale della certa disponibilità da parte del C. dell’assegno bancario facente parte di un libretto di cui il titolare aveva denunciato lo smarrimento, sia quello processuale della mancata indicazione da parte dell’imputato delle circostanze in cui è venuto in possesso dell’assegno (v. pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata).

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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