Cons. Stato Sez. VI, Sent., 18-03-2011, n. 1674 Guardie particolari e istituti di vigilanza privata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R.Liguria accoglieva il ricorso n. 781 del 2006, proposto dal signor S.V., in proprio e in qualità di legale rappresentante della Cooperativa C.D.G., avverso il decreto prot. 110/2005 del 27 luglio 2006, con il quale il Prefetto di Genova aveva respinto l’istanza, presentata il 29 dicembre 2005, volta all’intestazione, in suo favore, dell’autorizzazione di polizia a suo tempo rilasciata al signor Alessandro Alessandrini per la gestione dell’istituto di vigilanza privata denominato "Cooperativa C.D.G. a mutualità prevalente".

Il provvedimento di diniego era stato motivato sul duplice rilievo (i) della presenza di un numero sufficiente di istituti di vigilanza in ambito provinciale, ostativa al rilascio di nuove licenze, e (ii) dell’insussistenza dei requisiti soggettivi di professionalità e di affidabilità in capo al ricorrente, per avere il medesimo in passato gestito di fatto l’istituto senza autorizzazione alcuna, e dunque illegalmente.

2. Il T.A.R. accoglieva, segnatamente, il motivo di ricorso, col quale il ricorrente aveva dedotto la violazione dell’art. 10bis della legge n. 241 del 1990, attesa la divergenza tra le ragioni ostative comunicate col preavviso di rigetto, relative alla sola mancanza dei requisiti soggettivi, e le ragioni di natura oggettiva addotte nel provvedimento di diniego, e riteneva carente di prova l’assunto dell’interposizione fittizia del ricorrente nella gestione effettiva dell’istituto.

Esso annullava di conseguenza il gravato provvedimento, a spese compensate tra le parti, omettendo di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento dei danni, pure proposta dal ricorrente.

3. Avverso tale sentenza, interponeva appello esclusivamente il ricorrente in primo grado, deducendo il vizio di omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni subiti dal provvedimento illegittimo, fatti valere sia sotto il profilo patrimoniale (per l’abbattimento del fatturato conseguente all’impossibilità di continuare a svolgere i servizi di vigilanza), sia sotto il profilo non patrimoniale (per le ripercussioni negative sulla propria immagine professionale).

Egli chiedeva dunque l’accoglimento della domanda risarcitoria proposta in primo grado.

4. Si costituiva l’Amministrazione appellata, resistendo.

5. All’udienza pubblica del 18 gennaio 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.

6. Sebbene l’appello sia fondato in rito, attesa la manifesta sussistenza del vizio di omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria, in violazione dell’art. 112 c.p.c., si osserva che detta domanda è, tuttavia, infondata nel merito.

6.1. In primo luogo, la sentenza del TAR ha annullato il provvedimento di diniego sotto il profilo meramente formaleprocedimentale della violazione dell’art. 10bis l. n. 241/1990 per l’omessa enunciazione, nel preavviso di rigetto del 6 luglio 2006 (in cui è menzionato esclusivamente il mancato "possesso dei requisiti necessari per assumere la titolarità della gestione di un Istituto di vigilanza privata"), delle ragioni oggettive ostative al rilascio della licenza espresse nel provvedimento annullato, con riferimento alla saturazione del mercato degli istituti di vigilanza in ambito provinciale e alla conseguente esigenza di "evitare che una eccessiva concorrenzialità tra gli Istituti operanti sul mercato (con inevitabili ripercussioni su costi e modalità di gestione) determini una competitività esasperata a danno della qualità della sicurezza offerta" (v. così, testualmente, a p. 2 del provvedimento di diniego).

Tale statuizione ha lasciato intatta, in sede di rinnovazione del procedimento, l’ampia discrezionalità dell’autorità prefettizia nel rilascio della licenza agli istituti di vigilanza ai sensi degli artt. 134 ss. r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (v., in particolare l’art. 136, secondo cui la licenza può essere negata "in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti" o "per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico").

Tenuto conto di siffatto ampio potere discrezionale spendibile in sede di riedizione del potere autorizzatorio, ed attesa la carenza di un quadro probatorio idoneo a suffragare in via inferenziale un giudizio prognostico, munito di ragionevole grado probabilistico, sull’esito positivo del rinnovando procedimento di rilascio della licenza, non sussiste una delle condizioni indefettibili per l’accoglimento della pretesa risarcitoria.

6.2. In secondo luogo, il Collegio – valutate tutte le circostanze – ritiene che vada esclusa la sussistenza dell’elemento soggettivo della rimproverabilità dell’amministrazione, tenuto conto del fatto che il diniego, pur se annullato per difetto di motivazione con una statuizione su cui si è formato il giudicato, ha comunque constatato l’insussistenza dei requisiti soggettivi in capo all’istante per aver lo stesso di fatto gestito l’istituto di vigilanza negli ultimi tempi, in luogo dell’effettivo titolare sig. Alessandrini (dimessosi nel dicembre 2005 per ragioni di età e di salute).

Il provvedimento di diniego si basava, in parte qua, su articolati accertamenti della Questura di Genova (v. doc. 6 e 11 prodotti dall’Amministrazione resistente), secondo cui l’odierno appellante già da diversi anni di fatto avrebbe gestito l’istituto in luogo del titolare (in tal modo dando luogo ad un’illegittima interposizione fittizia, in violazione dell’art. 8 r.d. 18 giugno 1931, n. 773), corroborati dalle dichiarazioni delle guardie giurate operanti per l’istituto, i quali lo avevano considerato alla stregua di gestore effettivo.

Orbene, sebbene il T.A.R. – con una statuizione non impugnata – abbia ritenuto insufficienti gli elementi istruttori a base della valutazione prefettizia di carenza dei requisiti soggettivi, tale valutazione si era comprensibilmente poggiata su una situazione di apparenza ingenerata dallo stesso comportamento dell’odierno appellante, il quale persino in capo ai soci e ai dipendenti della Cooperativa aveva ingenerato l’impressione di gestire, di fatto, l’istituto (v. anche le osservazioni scritte del ricorrente dd. 18 luglio 2006, in cui il medesimo dichiarava di essersi assunto da oltre 13 anni, su incarico del titolare, "il gravoso compito di riorganizzare e rilanciare una struttura che, in allora, si trovava in uno stato…preagonico").

Essendosi l’Amministrazione nella propria determinazione basata su siffatta situazione di apparenza, riconducibile alla stessa condotta del ricorrente, deve escludersi la sussistenza di qualunque profilo di rimproverabilità nell’adozione dell’atto di diniego.

6.3. Va, da ultimo, rilevato che dalla documentazione contabile prodotta in giudizio emerge che già nell’anno 2005 (ossia, quando la licenza era ancora intestata al signor Alessandrini, dimessosi nel mese di dicembre di quell’anno, mentre la domanda di intestazione della licenza al nome del ricorrente risulta essere stata presentata il 29 dicembre 2005) la quota preponderante del fatturato (ossia, l’84%) della Cooperativa era imputabile ai servizi di portierato, e non ai servizi di vigilanza presupponenti l’operatività della licenza, sicché manca anche la prova del nesso causale tra la lamentata riduzione del fatturato relativo ai servizi da ultimo menzionati e il provvedimento prefettizio di diniego, e dunque tra i dedotti danni patrimoniali e l’annullato provvedimento.

7. Per le ragioni sopra esposte, ciascuna autonomamente sufficiente a sorreggere la pronuncia di rigetto, la domanda risarcitoria deve essere disattesa per carenza dei relativi fatti costitutivi.

In applicazione del criterio della soccombenza, le spese di causa, liquidate in parte dispositiva, vanno poste a carico dell’appellante.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 530 del 2008, come in epigrafe proposto, in accoglimento del motivo d’appello di omessa pronuncia e in correlativa parziale riforma dell’impugnata sentenza, respinge la domanda risarcitoria proposta col ricorso in primo grado n. 781 del 2006, perché infondata; condanna l’appellante a rifondere all’Amministrazione resistente le spese di causa, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 3.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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