Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-12-2010) 22-03-2011, n. 11332

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del Foro di Roma, difensore di fiducia di R.F., ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Avverso il provvedimento indicato in epigrafe che ha confermato l’ordinanza del GIP del Tribunale di Napoli che, il 26.10.2009,ha applicato a R.F. la misura della custodia cautelare in carcere, in relazione all’accusa di omicidio in danno di G. R., ricorre la difesa del R., chiedendo l’annullamento del provvedimento e deducendo a motivo il vizio di violazione di legge in ordine alle disposizioni di cui all’art. 273 c.p.p., e art. 192 c.p.p., comma 3 e di illogicità della motivazione.

1.1 Lamenta il ricorrente che la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia S.O. non regge la critica di inattendibilità intrinseca,per quanto riguarda la posizione del R., perchè non c’è perfetta coincidenza tra le dichiarazioni del collaboratore rese il 07.10.2008 e quelle rese il 03.02.2009. Nella prima occasione, infatti, lo S. si limitò a parlare dell’incontro avvenuto con i complici implicati nell’omicidio nella masseria del R., attribuendo a quest’ultimo un ruolo del tutto generico e con le seconde dichiarazioni, invece, ha perfettamente dettagliato il ruolo da quest’ultimo avuto nella vicenda. Sempre con riferimento alla valutazione della chiamata in correità effettuata dallo S. lamenta ancora il ricorrente che a pag.11 e 12 dell’ordinanza impugnata si fa riferimento alle dichiarazioni dello stesso S. relative alla contiguità del R. con il clan Setola, per trame valore di riscontro alle dichiarazioni relative alla partecipazione all’omicidio, in ciò violando i criteri di valutazione di cui all’art. 273 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 3, puntualizzati all’inizio del provvedimento impugnato.

1.2 Lamenta ancora il ricorrente che nel provvedimento impugnato manca ogni riferimento ad una valutazione di mancanza di preventiva conoscenza da parte del G. delle dichiarazioni rese dallo S., ipotesi giustificata dalla estrema coincidenza del contenuto delle dichiarazioni dei due collaboratori. Tale omissione renderebbe il provvedimento impugnato viziato per violazione di legge. Ed infine viziata da illogicità sarebbe anche la parte della motivazione che,invece di recepire le tesi difensive relative alla rilevante discrasia tra il narrato e l’effettiva conformazione dell’accesso alla masseria del R., ha ipotizzato, senza elementi di prova in atti, che il cancello della masseria, privo di campanello, fosse stato lasciato aperto.

MOTIVI DELLA DECISIONE 2. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2.1 Infatti il ricorrente , per un verso, pur deducendo censure a specifici punti della sentenza del Tribunale del riesame e alle diffuse argomentazioni fattuali e logico – giuridiche in essa sviluppate, ha omesso di indicare, nell’atto di ricorso, gli specifici atti che pone a sostegno delle proprie deduzioni e che il giudice di merito avrebbe omesso di valutare e per l’altro chiede a questa Corte di legittimità, lamentando la illogicità della motivazione, un diversa valutazione della prova dichiarativa.

Nè dal solo ricorso è dato arguire in cosa si sostanzi l’illogicità dell’argomentare.

2.3 In proposito il Collegio osserva che è ormai consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio della c.d.

"autosufficienza del ricorso" (rv. 237302) e che deve essere recepita ed applicata anche in sede penale la regola della cosiddetta "autosufficienza" del ricorso costantemente affermata, in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.p., n. 5, dalla giurisprudenza civile, con la conseguenza che, quando si lamenti la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi in modo da rendere possibile l’apprezzamento del vizio dedotto, (cfr. da ultimo, Cass. Civ., Sez. 2, 2 dicembre 2005, n. 26234, Tringali c/ Fernandez, rv. 585217) posto che anche in sede penale – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato -deve ritenersi precluso a questa Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso.

2.4 D’altra parte le SS.UU. di questa Corte, con la sentenza n. 42792 del 2001 (rv. 220092), hanno stabilito che in tema di impugnazioni, solo allorchè sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un "error in procedendo" ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo del provvedimento impugnato contenuto nel citato articolo, lett. E), quando risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione. Pertanto, anche a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per effetto della L. n. 46 del 2006, al giudice di legittimità restano precluse la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di diversi parametri di ricostruzione dei fatti e il riferimento, contenuto nel nuovo testo dalla norma citata, agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" non vale a mutare la natura del giudizio di legittimità, al quale rimane estraneo il controllo sulla congruità della motivazione in rapporto ai dati processuali. Rv. 234095. 2.5 In applicazione di questi principi il Collegio ritiene che, nel caso in esame, la censura sia stata genericamente formulata e, in quanto tale, debba essere dichiarata inammissibile (Cass., Sez. 1, 18 marzo 2008, n. 16706, rv. 240123).

3. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, il ricorrente che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

3.1 Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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