Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-12-2010) 22-03-2011, n. 11324

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Pollara in sostituzione dell’avv. De Jaco, insiste per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 2.7.2010 il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Lecce disponeva la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di P.S. siccome indagato per i reati di cui agli artt. 416, 110 e 629 c.p..

Avverso la suddetta ordinanza la difesa dello indagato proponeva istanza di riesame che il Tribunale, con ordinanza 20.7.2010, respingeva confermando il provvedimento del giudice delle indagini preliminari.

Avverso quest’ultimo provvedimento, la difesa del P.S. propone ricorso in questa sede ex art. 311 c.p.p. lamentando, con un unico motivo la violazione dell’art. 273 c.p.p. in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per manifesta illogicità della motivazione. In particolare la difesa afferma che: a) nel provvedimento manca una motivazione adeguata; b) il Tribunale ha accolto le accuse formulate dall’Ufficio del Pubblico Ministero fondate sulle dichiarazioni rese da F.M.L. e D. P.D. che risultano essere prive di riscontri; c) ricorrono dubbi sulla attendibilità del F. e del D.P. alla luce della considerazione che le loro dichiarazioni solo labili, imprecise, contrastanti; d) la lettura del materiale su cui si è basato il giudizio consente di verificare come i singoli elementi indizianti siano stati considerati in modo atomistico e non nel loro più pregnante significato derivante da una visione organica del complesso degli elementi.

Il ricorso è inammissibile.

Le censure mosse dalla difesa appaiono del tutto generiche e non indicano in modo specifico i punti della motivazione viziati da contraddittorietà.

Il suddetto vizio consiste infatti in aspetti della motivazione che si pongano fra loro in un rapporto di inconciliabilità con la conseguenza che non appare più chiaro il pensiero del giudicante.

Parimenti non sono stati posti in evidenza aspetti di manifesta illogicità che deve essere desunta dalla motivazione del provvedimento. Tale vizio deve tradursi in affermazioni che si pongano ex sè, in contrasto con le regole della logica e la difesa non ha indicato alcun punto concreto ove si sia manifestato detto vizio.

Se è vero altresì che stando al tenore letterale dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), i vizi di motivazione possono essere desunti tanto dalla motivazione in sè e per sè considerata, quanto dal contrasto con gli atti processuali sui quali si è fondato il giudizio (v. in tal senso Cass. pen., sez. 1,10.6.2002, Franzoni, ove: "Nella materia cautelare – dove la cognizione del giudice del riesame si attua con la stessa pienezza di quella effettuata dal giudice che ha emesso il provvedimento coercitivo spaziando sulla totalità degli atti conosciuti dal primo giudice che devono essergli trasmessi nella loro interezza ( art. 309 c.p.p., comma 5), ed è diretta ad individuare il quantum probatorio che integra il minimo costituzionalmente legittimante l’esercizio del potere cautelare – è indispensabile, ai fini di un persuasivo e completo giudizio di legittimità, rilevare il vizio di manifesta illogicità della motivazione non solo dal testo del provvedimento coercitivo sottoposto al riesame, soprattutto quando il vizio investe la valutazione del livello di gravità della intera trama indiziaria"), va comunque osservato che è preciso onere della parte, ex art. 581 c.p.p., dare puntuale indicazione dell’atto processuale dal quale emerge l’aspetto di contraddittorietà o di illogicità della motivazione, non rientrando fra i compiti del giudice del gravame la ricerca ex officio, attraverso la consultazione degli atti processuali, di un’eventuale vizio della motivazione dedotto in termini del tutto generici, come nel caso di specie.

Parimenti infondate appaiono le censure mosse con riferimento alle dichiarazioni rese da F.M.L. e D.P.D., persone offese e testimoni nella presente vicenda.

Premesso che la deposizione della persona offesa dal reato (anche se non equiparabile a quella del testimone estraneo) può essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia stata sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non necessitando riscontri esterni, qualora non sussistano situazioni che inducano a dubitare della attendibilità (v. in tal senso Cass. Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003 in Ced Cass. Rv. 225232), va comunque osservato che il Tribunale del riesame, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, ha sottoposto a verifica la credibilità dei testimoni riscontrando la coerenza e la coincidenza del contenuto sostanziale delle loro dichiarazioni sia con la documentazione acquisita, sia con l’esito delle intercettazioni telefoniche. Per tutte le suddette ragioni il ricorso appare manifestamente infondato e come tale deve essere dichiarato inammissibile.

Il ricorrente conseguentemente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, ex art. 616 c.p.p., deve essere condannato al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende attesa la pretestuosità delle ragioni del gravame. Ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., si dispone che il Cancelliere provveda alla comunicazione del presente provvedimento alla Autorità penitenziaria ove trovasi ristretto il ricorrente.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende. Si comunichi ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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