Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-12-2010) 22-03-2011, n. 11323 aziende di credito

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Pallara il quale chiede l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 2.7.2010 il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Lecce disponeva la misura cautelare della Custodia in carcere nei confronti di D.L.C. siccome indagato per i reati di cui all’art. 416 c.p., artt. 110 e 629 c.p., art. 110 c.p., art. 644 c.p., comma 1 e comma 5, nn. 3 e 4 art. 81 cpv. c.p., D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 132, fatti commessi in (OMISSIS) tra il secondo semestre del (OMISSIS) e la fine del (OMISSIS).

La difesa dell’indagato proponeva istanza di riesame, che il Tribunale respingeva con ordinanza 20.7.2010.

Ricorre la difesa art. 311 c.p.p. richiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata, e con la precisazione che oggetto del gravame è la univocità e la sufficienza degli indizi a carico dell’indagato, lamenta con un primo motivo: 1) la nullità della ordinanza per inosservanza della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione agli artt. 416 e 110 c.p.; 2) il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) e art. 125 c.p.p., comma 3; 3) nullità della ordinanza ex art. 606 c.p.p., comma 2, per violazione dell’art. 273 c.p.p..

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta il vizio di inosservanza della legge penale ( artt. 56 e 629 c.p.) nonchè la mancanza la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, per mancanza di motivazione con particolare riferimento al concorso nei delitti di estorsione. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta il vizio di violazione e di erronea applicazione della legge penale in riferimento alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 152 del 2001, art. 7, nonchè il vizio di carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione sul punto. Con riferimento al primo motivo la difesa dell’indagato deduce la equivocità degli elementi indizianti in ordine alla prova della partecipazione alla contestata associazione per delinquere rappresentati: a) dalle modalità di erogazione di somme di denaro al F.F. e allo S.L.; b) dalle dichiarazioni testimoniali dello D.P.S.; c) dalle intercettazioni telefoniche relative alla vicenda del protesto di uno dei titoli di credito emessi da tale D.P.D., non sono dotati di una univoca efficacia dimostrativa. La difesa pone in evidenza che il rapporto di finanziamento emergente dalle indagini attiene alla sola relazione intercorrente fra la FIN.CO srl (amministrata dall’indagato) e i clienti F. e S., i quali pacificamente hanno ricevuto somme di denaro a titolo di finanziamento, circostanza per altro da sola non dimostrativa della consapevolezza e del coinvolgimento dell’indagato nel successivo utilizzo (usurario) del denaro così conseguito dai due clienti. In tale ambito, sostiene la difesa che le dichiarazioni testimoniali del D.P. sono meramente indicative della circostanza (in sè non contestata) che il denaro procurato dal F. veniva reperito presso la Finanziaria dell’indagato medesimo. Deduce ancora la difesa che il complesso delle conversazioni intercorse tra l’indagato e il F. attengono esclusivamente alla vicenda di un titolo di credito (assegno) emesso dal D.P., consegnato al F. e da questi alla Finanziaria a ristoro di un proprio debito finanziario; la accertata scopertura del titolo di credito comunicata dalla Banca MEDIOLANUM al ricorrente e le successive telefonate di questi al F. rientrerebbero in un normale rapporto finanziario teso ad evitare l’insolvenza del finanziato diretto, cioè il F., senza che per altro il fatto di per sè sia dimostrativo della consapevolezza e della susseguente compartecipazione del D. all’attività usuraria posta in essere, in modo autonomo da altri. A conforto della propria tesi difensiva, il ricorrente pone in evidenza che non vi sono prove di un diretto rapporto intercorrente tra il medesimo e le singole vittime delle usure, nè documentazione è stata reperita in tal senso nel corso della perquisizione effettuata presso la società finanziaria.

Con riferimento al secondo motivo di ricorso la difesa, riprendendo i medesimi argomenti già sviluppati nell’ambito del primo pone in evidenza la assoluta assenza di elementi di prova della partecipazione del D. alle singole vicende estorsive commesse in danno delle vittime dei rapporti usurari.

Con il terzo motivo la difesa pone infine in evidenza che manca qualsivoglia prova della esistenza della contestata aggravante di cui alla L. n. 152 del 2001, art. 7, essendo irrilevante la circostanza che talora le minacce siano state poste in essere da soggetto già pregiudicato per il reato di associazione di tipo mafioso quale il L. e difettando nel materiale probatorio mosso a disposizione dalla pubblica accusa che la azione di intimidazione sia stata caratterizzata nell’instillare il convincimento della provenienza di essa da un sodalizio criminoso di tipo mafioso.

Passando in esame le singole doglianze il Collegio osserva quanto segue. Il ricorso della difesa denuncia la manifesta illogicità della motivazione perchè la valutazione degli elementi oggettivi (esistenza di un rapporto di finanziamento intercorrente tra la FIN.CO srl e il F. da un lato e lo S. dall’altro) è viziata da un "salto logico": il Giudice delle indagini preliminari prima e il Tribunale, poi, hanno desunto la prova del concorso del D. nell’attività illecita dal complesso dei rapporti intercorsi fra questi, lo S. e il F., senza prendere atto che questi ultimi, più semplicemente erano clienti della FIN.CO srl. A tal proposito la difesa, lamenta che il Tribunale non avrebbe considerato la documentazione prodotta e la memoria esplicativa della detta documentazione depositata nel corso del giudizio di riesame. In questa sede la difesa pone nuovamente l’accento sull’esistenza agli atti, del fascicolo contenente le pratiche di finanziamento intestate a F.F. e ad S.A.; la stessa difesa, nell’illustrare il contenuto del dossier mette in evidenza che le domande di finanziamento sono accompagnate dall’indicazione delle fidejussioni prestate dai due clienti ( F. e S.), fatto di per sè dimostrativo (secondo la prospettazione del ricorrente) della assenza della necessità che il D. si premunisse di ulteriori garanzie rappresentate da titoli di soggetti terzi. Sottolinea altresì il ricorrente il carattere neutro (a livello indiziario) del fatto che una serie di titoli emessi dalle c.d. "parti offese" fossero stati versati sui conti correnti della FIN.CO s.r.l., perchè la circostanza non sarebbe univocamente dimostrativa della consapevolezza del prevenuto circa la causa reale sottostante al rapporto cartolare, mancando la prova della conoscenza dell’impiego (usurario) delle somme erogate a titolo di finanziamento allo S. e al F.. Nè, secondo la difesa, avrebbero contenuto di prova risolutiva i contenuti delle conversazioni telefoniche (intercettate) intercorse tra il prevenuto e il F. a cagione della paventata insolvenza del D. P. in occasione della negoziazione di un assegno da questi emesso e versato su un conto della FIN.CO srl presso la Banca Mediolanum.

Il motivo è infondato. Il Tribunale analizzando la posizione del D., in primo luogo, ha esaminato le prove della esistenza dell’articolata associazione per delinquere di cui al capo A) della imputazione, individuandone altresì i soggetti partecipanti, i ruoli e i livelli operativi; la mancanza di censure su questa parte della motivazione rende del tutto ultronea qualsiasi valutazione della correttezza del provvedimento circa la prova della esistenza dell’associazione per delinquere e del suo operare, venendo in evidenza la sola questione della correttezza della motivazione del provvedimento con riferimento all’esclusivo profilo della logicità della stessa nella lettura dei dati storici sui quali si fonda il giudizio relativo alla particolare posizione del D..

Dalla lettura del provvedimento impugnato, come dal ricorso proposto in questa sede, si evince che il D. ha contestato l’esistenza di una prova della propria consapevole partecipazione all’attività usuraria da ricondursi ai soli F. e S. ricorrendo a due distinte e convergenti argomentazioni: a) la FIN.CO srl ha intrattenuto per molti anni rapporti di finanziamento con i due clienti che si sono sempre dimostrati pienamente solvibili e sostenuti da adeguate garanzie; b) la FIN.CO srl e, per essa il suo amministratore D., è sempre stata estranea ai rapporti intercorrenti tra il F. e lo S. con terze persone datrici di titoli di credito consegnati ai due e da costoro trasferiti alla FIN.CO srl.

Il Tribunale sul punto (pp. 26 e 27 della ordinanza impugnata) ha contrapposto alle argomentazioni difensive (richiamando sia il contenuto delle dichiarazioni rese dal D. nel corso dell’interrogatorio di garanzia, sia il contenuto della memoria difensiva) cinque distinte argomentazioni, delle quali una sola risulta essere stata contestata in questa sede dalla difesa. In particolare il Tribunale ha posto in evidenza i seguenti elementi di convincimento:

1) il complesso delle telefonate intercorse tra il D. e il F. in data 22.4.2009 circa lo "scoperto" di un assegno negoziato (a firma T. e consegnato dal D.P.) su un conto della società acceso presso la banca MEDIOLANUM, dimostra che l’odierno ricorrente era a conoscenza della esistenza e dello sviluppo di rapporti economici del F. e dello S. con terzi che regolavano le relative pendenze con assegni che venivano negoziati presso la FIN.CO srl. Trattasi di valutazione di merito che non presenta, alla luce dei successivi elementi di prova, aspetti di manifesta illogicità nella ricostruzione del fatto, alla quale la difesa contrappone una diversa ipotesi, alternativa, che, in quanto attinente ad aspetti di fatto, non può essere presa in considerazione nella presente sede.

2) il contenuto della deposizione del D.P.D. del 20.2.2009 dalla quale sono tratti due indizi: a) il F. e lo S. esibiscono al D.P. documentazione della finanziaria di (OMISSIS) (FIN.CO srl); b) il F. e lo S. operano di conserva sui medesimi debitori, segno di evidente comune interesse nell’erogazione dei prestiti usurari;

3) il tenore delle conversazioni telefoniche intercettate (non negate dal prevenuto) con le quali lo S. od altri sodali assicurano costantemente in merito al buon esito del loro attivarsi per il recupero dei debiti dalle vittime;

4) la non credibilità dell’affermazione del D. circa la solvibilità del F. alla luce degli accadimenti sub 1). A tal proposito il Tribunale rileva la contraddittorietà della suddetta affermazione dell’indagato rispetto alla profilata Scopertura del titolo emesso dal T. e consegnato dal F. alla stessa FIN.CO srl, fatta salva, invece una diversa e più adeguata ricostruzione del rapporto sostanzialmente intercorrente fra i soggetti interessati e per il quale il "terzo" ( D.P.) e non già il F. era il reale soggetto finanziato, la cui solvibilità doveva ovviamente destare preoccupazione;

5) la documentazione sequestrata al D. che evidenzia l’esistenza (per il periodo 2.10.2007 – 24.6.2010) di 243 contratti fiduciari stipulati tra la FIN.CO srl e lo S.A. e 277 contratti di finanziamento tra la suddetta società e il F.; dalla medesima documentazione contabile (schede di mastro di contabilità tenuta con il sistema della c.d. partita doppia) il Tribunale deduce che tanto il rapporto con lo S., quanto quello del F. presentano una posizione a debito verso la società finanziaria, per importi rispettivamente di Euro 94.200,00 e Euro 93.000,00. Il Tribunale sul punto sottolinea: a) il fatto che il D. non ha fornito spiegazioni in merito alla suddetta documentazione; b) la contraddittorietà della affermazione del D. circa la solvibilità del F. e dello S., desumendo così, con logico ragionamento contrario, che il rapporto D. – F. – S. deve essere letto e valutato nell’ottica proprio della accusa, cioè nel senso che il D., tramite la FIN.CO srl, forniva consapevolmente al F. e allo S. la provvista a questi ultimi necessaria all’erogazione di successivi prestiti a tasso usurario a soggetti terzi, ricevendo in cambio titoli di credito che venivano riversati sui conti della società a ristoro e rimborso del finanziamento effettuato. La complessiva lettura di tutti i suddetti elementi, fatta dal Tribunale appare corretta sul piano metodologico e logico ed è immune da vizi, perchè è stata data una adeguata spiegazione delle ragioni che hanno condotto all’affermazione della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato (Cass. pen., sez. 4, 3.5.2007 in Ced Cass., rv. 237012). Esaminando la motivazione del provvedimento ai fini della verifica della sua legittimità alla luce delle censure mosse, il Collegio deve preliminarmente richiamare i seguenti principi: a) "In tema di misure cautelari, la previsione di cui alla L. n. 63 del 2001, art. 11, comma 1, che ha introdotto nell’art. 273, comma 1 bis – per il quale "nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza si applicano le disposizioni dell’art. 192, commi 3 e 4, art. 195, comma 9, art. 203 e art. 271, comma 1" – esige che l’accertamento del giudice sia in grado attraverso l’uso di criteri di inferenza puntualmente indicati, di collocare la condotta del chiamato in quello specifico fatto che forma oggetto della imputazione provvisoriamente elevata, considerato il peculiare momento della fase delle indagini in cui il procedimento de libertate si inscrive nonchè le finalità cui risulta preordinato, i quali condizionano il carattere dell’individualizzazione del riscontro, nel senso che essa deve essere piena e totale nella fase dibattimentale, coerentemente con il concetto di prova, indispensabile per l’affermazione della responsabilità, ma non può che essere parziale, in coerenza con il concetto di indizio, ancorchè grave, necessario e sufficiente ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, nella fase delle indagini in cui l’accertamento è, per definizione, sommario e incompleto" (Cass. sez. 6, 17.2.2005 in Ced Cass. Rv. 231180); b) "Ai fini dell’applicazione delle misure cautelari, anche dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 63 del 2001, è ancora sufficiente il requisito della sola gravità degli indizi, posto che l’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, (introdotto dalla legge citata) richiama espressamente l’art. 192, commi 3 e 4, ma non il comma 2 che prescrive la valutazione della precisione e della concordanza, accanto, alla gravità, degli indizi: ne consegue che essi, in sede di giudizio de libertate, non vanno valutati secondo gli stessi criteri richiesti nel giudizio di merito" (Cass. sez. 4, 6.7.2007, n. 37878 in Ced Cass. Rv. 237475).

Alla luce dei suddetti principi si deve affermare che il Tribunale ha indicato: 1) gli elementi indizianti relativi alla sussistenza delle singole fattispecie di reato contestate; 2) gli elementi indizianti che consentono di inferire, allo stato delle indagini in corso, la riferibilità del fatto reato al prevenuto; 3) le argomentazioni difensive indicando gli elementi di prova e le considerazioni a confutazione della difesa; nell’indicare gli elementi di prova a carico del prevenuto il Tribunale ha seguito i principi metodologici già indicati in sede di legittimità e da ultimo ancora ribaditi da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16548 del 14.3.2010 (in Ced Cass. Rv.

246935) ove si è affermato che: "….il procedimento logico di valutazione degli indizi si articola in due distinti momenti. Il primo è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente, tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza. Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità, posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio (notoriamente) si somma e, di più, si integra con gli altri, talchè il limite della valenza di ognuno risulta superato e l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria, sicchè l’insieme può assumere il pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica del fatto… che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metolodogica che giustifica e sostanzia il principio del c.d. libero convincimento del giudice (cfr. in tal senso Cass., Sez. Un. 4 febbraio 1992, n. 6682, rv. 191231). A ciò si aggiunga ancora che le linee dei paradigmi valutativi della prova indiziaria sono state recentemente ribadite dalle Sezioni Unite le quali hanno affermato che il metodo di lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può, perciò, prescindere dall’operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa, tendente a porre in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Cass. Sez. Un. 12 luglio 2005, n. 33748, rv. 231678)". La motivazione del Tribunale del riesame è adeguata e osservante dei detti principi. Se infatti può apparire vero, a prima vista, che i singoli elementi indizianti (peraltro non contestati nella loro ontologica esistenza), separatamente considerati, secondo la prospettiva difensiva, siano non univocamente significativi circa la compartecipazione del D. alla commissione del reato associativo e dei relativi reati satelliti, la lettura coordinata degli stessi elementi di fatto, secondo la metodologia seguita dal Tribunale, porta ad un diverso giudizio di valenza dei medesimi, secondo una valutazione che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, apparendo del tutto immune da illogicità o contraddittorietà desumibili dal testo del provvedimento impugnato, è dotata di una efficacia dimostrativa dell’ipotesi accusatoria perfettamente legittima e non sindacabile nel merito. La pluralità (numericamente consistente) dei rapporti di finanziamento erogati dal D.L. tramite la FIN.CO srl al F. e allo S., l’impiego sistematico delle somme da parte di costoro in successivi prestiti usurari, il riversamento sui conti della FIN.CO srl degli assegni provenienti dai terzi usurati, il tenore delle conversazioni telefoniche intercettate, l’attività congiunta dello S. e del F. (desumibile dalle intercettazioni telefoniche, dalle deposizioni testimoniali e dalla stessa contabilità della FIN.CO srl messa in evidenza anche della difesa che, nel proprio ricorso, ha rilevato come la documentazione attinente ai rapporti finanziari riferibili allo S. sia contenuta nel medesimo fascicolo del F. (v. pag. 3 del ricorso sub 1.3.)) portano ragionevolmente a ritenere che, allo stato delle indagini, sia pienamente fondata la ricostruzione accusatoria. Parimenti non appare manifestamente illogico ritenere, come ha fatto il Tribunale, che la redazione di documentazione contabile (contratti di finanziamento, mastri di conto, acquisizione di fideiussioni) inerente a rapporti di finanziamento intercorrenti tra la FIN.CO srl e il duo F. – S. rispondesse da un lato alla esigenza di fornire una prova di apparente liceità e regolarità del rapporto finanziario e dall’altro, attraverso i "mastri di conto" a permettere di tenere un controllo sulla reale movimentazione economica in essere. A tal proposito si deve porre in evidenza ancora, come il Tribunale del riesame, riportando il testo della deposizione resa dal D.P. (all. 7 nel vol. A) ha messo in evidenza che verso i mesi di aprile/maggio del 2009 il D. non era più disposto ad erogare ulteriore finanza se non fossero state portate delle "fatture" che in qualche modo giustificassero l’operazione di cambio degli assegni, segno questo che fino a quel momento e per molto tempo, il D. aveva agito nella consapevolezza dell’assenza di qualsivoglia giustificazione giuridico-economica delle operazioni poste in essere per il tramite del F. o dello S., decidendo solo successivamente di giustificare le operazioni per il tramite della acquisizione di fatture che in un qualche modo potessero dare una "causa" (in senso civile – negoziale) alle operazioni di scambio degli assegni nel tentativo di ricondurle ad una operazione di "sconto" di carta commerciale prodotta dal F. e dallo S..

Pertanto il primo motivo di ricorso deve essere rigettato e con esso anche il secondo posto che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, dalle premesse in fatto riguardanti la prova della partecipazione del D. alla attività di usura svolta dai coimputati, consegue anche la prova, allo stato sufficiente, della partecipazione dello stesso D. alle connesse e collaterali attività estorsive svolte in danno degli usurati con il precipuo scopo di garantirsi il pagamento del capitale erogato e dei relativi interessi usurari, come si desume dalla articolata ed adeguata motivazione resa dal Tribunale nelle pagine 10-25 della ordinanza impugnata.

Passando alla disamina del terzo motivo di ricorso, il Collegio osserva quanto segue. La difesa sostiene che l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari e quella del Tribunale del riesame sono prive di motivazione in riferimento alla circostanza aggravante di cui al D.L. n. 152 del 2001, art. 7, mancando la indicazione del quid pluris che non può ricondursi semplicemente al modo con il quale gli associati procedevano alla riscossione delle somme nei confronti di coloro che ritardavano i pagamenti.

La censura è infondata. Il Tribunale (v. pag. 15 della ordinanza) ha indicato elementi precisi in base ai quali ha affermato la esistenza della aggravante in questione. Infatti è stato posto in evidenza che coloro che procedevano alla riscossione delle somme non solo svolgevano un’attività di intimidazione attraverso forme verbali aggressive e una costante pressione sulle vittime (forme tipiche del reato di estorsione), ma che con tali condotte esteriorizzavano anche il fatto di essere spalleggiati da una organizzazione dotata di mezzi e costituita da persone prive di scrupoli le quali potevano intervenire per la riscossione delle somme. In tale cotesto valutativo è da ascriversi la citazione del contenuto della deposizione del D.P.D. il quale dichiara: "….. R. e P.A. mi intimorivano dicendo che avrei dovuto…..reperire in ogni modi i soldi ….altrimenti si sarebbero recati presso la mia abitazione per portare via l’automobile di mio fratello G. oppure si sarebbero recati da mio suocero dove sapevano di poter recuperare qualcosa. Aggiungevano che, anche se fossi partito facendo perdere le mie tracce, loro sapevano come trovarmi e che la cosa sarebbe poi diventata una questione di principio e non più solo economica. Inoltre mi avvertivano che se la questione debitoria non sarebbe stata risolta da loro, si sarebbero intromessi i loro amici di (OMISSIS) e (OMISSIS) i quali sarebbero venuti a (OMISSIS) e mi avrebbero trascinato dietro la loro macchina per le vie del paese….". La valutazione del Tribunale, basata su siffatta deposizione, della commissione di illeciti (usura ed estorsioni) con "metodi mafiosi" non appare manifestamente illogica, nè irragionevole, posto che le espressioni prese in considerazione dal Tribunale sono manifestazione di atti di intimidazione connotati dalla prospettazione dell’esistenza (in una zona geografica, come annota il Tribunale, notoriamente interessata dalla presenza di criminalità organizzata di tipo mafioso) di una potente associazione criminale composta da più persone pronte alla commissione di azioni particolarmente cruente ed interessata alla vicenda del pagamento del debito contratto dalla vittima.

La collocazione del D. in una posizione di vertice della organizzazione criminale (trattandosi di soggetto che approvvigiona finanziariamente i suoi immediati sottoposti nella organizzazione per lo svolgimento della successiva lucrosa attività) induce a ritenere allo stato prive di pregio le argomentazioni formulate dalla difesa (attraverso il richiamo all’art. 59 c.p.) in ordine alla mancanza di prova di consapevolezza del prevenuto circa i metodi in concreto adoperati dai subordinati, riducendosi esse, a considerazioni di mero fatto non suscettibili di vaglio nella presente sede ed alla luce della complessiva motivazione della ordinanza impugnata.

Pertanto il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali. Ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., si manda alla cancelleria per le relative comunicazioni.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria perchè si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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