T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, 01-07-2010, n. 2408 EDILIZIA E URBANISTICA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 23.7.2007 e depositato presso la Segreteria della Sezione il successivo giorno 31, F. SPA si grava avverso il provvedimento del Responsabile dell’Area Gestione del Territorio del Comune di Calvenzano, con cui è stata rigettata la domanda di condono edilizio relativa alla realizzazione di spogliatoi, guardiola e uffici al servizio del complesso produttivo esistente sull’area sita in via Milano n. 2, distinta in mappa al n. 2063 sub 707.

La ricorrente articola le seguenti doglianze:

1) Violazione dell’art. 10bis della l. 7.8.1990 n. 241; per essere mancata la comunicazione dei motivi ostativi al condono prima della assunzione del provvedimento finale, impedendo alla società di poter presentare osservazioni al riguardo.

2) Violazione per falsa applicazione dell’art.2 della L.R. 3.11.2004 n. 31; Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di ponderazione, per travisamento nonché difetto dei presupposti e di motivazione; affermandosi che l’art. 2 della L.R. non pone nessun limite dimensionale per le strutture pertinenziali suscettibili di sanatoria; in ogni caso, se valutata rispetto alla struttura principale, l’opera oggetto di condono rappresenta solo l’1,02% di questa sicché può considerarsi di piccola entità, sotto altro aspetto si contesta che l’opera possa essere considerata suscettibile di funzionalità autonoma e distinta rispetto al capannone.

Si è costituito in giudizio l’intimato Comune di Calvenzano, chiedendo il rigetto del gravame.

Alla pubblica udienza del 26.5.2010 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

Motivi della decisione

Con il ricorso all’esame, F. SPA impugna il provvedimento del Comune di Calvenzano con cui è stata rigettata la domanda di condono edilizio da essa presentata per la realizzazione spogliatoi, guardiola e uffici al servizio di complesso produttivo esistente sull’area sita in via Milano n. 2.

Preliminarmente va rigettata l’eccezione di irricevibilità del gravame per tardività, sollevata dalla difesa della resistente amministrazione comunale con la memoria depositata in data 6.5.2010.

Infatti, se è pur vero che il ricorso risulta essere stato notificato in data 23.7.2007, vale a dire il 61° giorno dalla data di comunicazione del provvedimento, effettuata il 23.5.2007, va rilevato che il giorno 22.7.2007, ultimo giorno utile per la notificazione cadeva di domenica, sicchè il termine andava prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo ex art. 155 c.p.c. quarto comma:

Nel merito, il ricorso non risulta fondato.

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 10bis della L. 7.8.1990 n. 241 essendo mancata, prima della assunzione del provvedimento finale, la comunicazione dei motivi ostativi al rilascio del richiesto condono, in tal modo impedendo alla società di poter presentare osservazioni al riguardo.

La doglianza va disattesa.

Invero, in accoglimento della richiesta formulata dalla difesa dell’amministrazione resistente, deve farsi applicazione, trattandosi di atto vincolato, del disposto dell’art. 21octies della L. n. 241, secondo il quale "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato". Deve quindi condividersi l’orientamento giurisprudenziale (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. I, 14 giugno 2006 n. 2487) ilquale afferma che, in tema di diniego di condono edilizio, l’omissione del "preavviso di rigetto" non determina l’annullabilità del provvedimento, trattandosi di attività del tutto vincolata.

Con il secondo motivo, la ricorrente contesta la fondatezza delle ragioni poste dal Comune a base del diniego, sostenendo che l’art. 2 della L.R. 3.11.2004 n. 31 non porrebbe nessun limite dimensionale per le strutture pertinenziali suscettibili di sanatoria, ed evidenziando che, ove valutata rispetto alla struttura principale, l’opera oggetto di condono rappresenta solo l’1,02% di questa, sicché può considerarsi di piccola entità. Infine, F. contesta che l’opera possa essere considerata suscettibile di funzionalità autonoma e distinta rispetto al capannone.

La doglianza non ha fondamento.

La L.R. 3.11.2004 n. 31 (Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi), all’art. 2 "Casi di esclusione e limiti alla sanatoria edilizia", dopo avere stabilito che " Fatti salvi gli ampliamenti entro i limiti massimi del 20 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, di 500 metri cubi, non sono suscettibili di sanatoria le opere abusive relative a nuove costruzioni, residenziali e non, qualora realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e non conformi agli strumenti urbanistici generali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge.", specifica che "L’esclusione non opera per le strutture pertinenziali degli edifici prive di funzionalità autonoma".

Si tratta dunque di determinare quali strutture risultino ascrivibili a tale definizione.

Sotto un primo profilo, va ricordato che la nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile solo a manufatti tali da non alterare in modo significativo l’assetto del territorio, cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono.

La giurisprudenza richiede (cfr. da ultimo Cons. St. Sez. IV, 17 maggio 2010 n. 3127 e precedenti ivi richiamati) che dette opere, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono.

La Sezione (cfr. TAR Brescia 11.1.2006 n. 32) ha sottolineato che la strumentalità non può mai desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario e devono comportare una circoscritta incisione sul cd. "carico urbanistico".

Peraltro, la norma regionale – pur non fornendo una definizione del concetto di pertinenzialità, sicché deve farsi riferimento al concetto, generalmente accettato, di pertinenza in materia edilizia – ha cura di specificare che le strutture pertinenziali debbono essere "prive di funzionalità autonoma".

Come correttamente posto in luce dalla difesa dell’Amministrazione comunale, la proporzionalità del manufatto accessorio rispetto a quello principale non può costituire l’unico criterio di giudizio, dovendo in concomitanza operare anche il criterio oggettivo, dato che, in caso contrario, si perverrebbe a riconoscere carattere pertinenziale a qualsiasi nuova costruzione, in palese contrasto con la ratio sottesa alla norma regionale.

Tanto premesso in punto di diritto, va rilevato che, nella fattispecie all’esame, era stato oggetto di domanda di sanatoria un fabbricato di due piani, con volume di mc. 819,27, avente superficie coperta di mq. 214, s.l.p. di mq. 363,50 e superficie utile di mq. 273,09.

In tale contesto, le argomentazioni svolte dalla ricorrente non possono che considerarsi speciose, risultando invece pienamente condivisibiliin quanto conformi sia alla lettera sia allo spirito della norma – le considerazioni svolte dal Comune, nell’atto impugnato, là dove si pone in luce che:

– la costruzione, "per la sua dimensione di mc. 819,27, non può essere oggettivamente considerata un’opera di piccola entità e, altresì non può essere considerata pertinenza in quanto oggettivamente suscettibile di funzionalità autonoma e distinta rispetto al capannone, infatti essa risulta destinata ad uffici e spogliatoi, dunque ad una funzione diversa, seppur connessa, a quella produttiva";

– richiamato il parere del legale secondo cui "la norma regionale è, su questo punto, in linea con quanto da tempo affermato dalla giurisprudenza amministrativa in materia, la quale sottolinea come la nozione di pertinenza nel diritto urbanistico sia più ristretta rispetto a quella del diritto civile, dovendosi escluderne la ricorrenza ogni qual volta il manufatto che si assume come pertinenziale rivesta un’autonoma funzionalità (cfr. ad es. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 11.2.2005, n. 365; Cons. di St. sez. V, 11.11.2004 n. 7325, ecc.)".

Le spese di giudizio, liquidate come da dispositivo, vanno poste – alla stregua del principio victus victori – a carico della ricorrente.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia – sezione distaccata di Brescia I Sezione – definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio a favore del Comune, che liquida in Euro 3.500 oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2010 con l’intervento dei Magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente

Sergio Conti, Consigliere, Estensore

Carmine Russo, Referendario

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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