Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-11-2010) 22-03-2011, n. 11318

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rso venga dichiarato inammissibile.
Svolgimento del processo

Con ordinanza del 18.2.2010, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lamezia Terme dispose la custodia cautelare in carcere di B.M.Y., indagato per i reati di associazione a delinquere, ricettazione, favoreggiamento e tentata estorsione.

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, chiedendo in via principale l’annullamento del titolo coercitivo per carenza dei gravi indizi di colpevolezza e, in subordine, la riforma con l’applicazione di una misura meno affittiva, e il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 18 marzo 2010, in parziale accoglimento dell’istanza ed in riforma dell’impugnata ordinanza revocava la misura con riferimento ai capi 5) 6) e 7) della provvisoria imputazione. Confermava l’ordinanza e la misura in atto applicata in riferimento ai capi 1) associazione a delinquere, 4) ricettazione e 46) favoreggiamento.

Ricorre per Cassazione l’indagato deducendo la mancanza di motivazione in riferimento ai gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato in riferimento a tutte le ipotesi per le quali è stata confermata l’ordinanza cautelare, e alle esigenze cautelari, avendo il Tribunale omesso di considerare il lasso di tempo intercorso tra i contestati episodi delittuosi e l’applicazione della misura restrittiva della libertà personale.

Chiede pertanto l’annullamento dell’ordinanza.
Motivi della decisione

Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la motivazione dell’ordinanza del Tribunale del Riesame di Catanzaro del 18.3.2010 è esaustiva, logica, per nulla contraddittoria e spiega appieno le ragioni della conferma dell’ordinanza del Gip del Tribunale di Lamezia Terme in data 18.2.2010 relativamente ai reati di cui ai capi 1), 4) e 46) in considerazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (intercettazioni telefoniche, e ambientali, dalle quali è emersa l’esistenza di una fitta rete di contatti, sia tra i compartecipi sia tra questi e soggetti esterni al sodalizio attraverso i quali utilizzando un convenzionale linguaggio criptico venivano programmati e monitorati nel loro svolgimento i molteplici episodi delittuosi susseguitisi con notevole frequenza in un arco temporale di circa cinque mesi, nonchè l’adesione consapevole e non affatto contingente del B.M. all’associazione; individuazione del capannone ove erano nascoste le macchine provento di furto;

conversazione n.93 in uscita dal telefono cellulare in uso a Be.Lu. e nel corso della quale si riconosceva la voce di B.M.Y. che dava indicazioni per il punto d’incontro proprio nel capannone in questione; conversazioni n. 1221 e 1224 dalle quali si evince la partecipazione del B.M.Y. all’attività di assistenza a Be. e Be. successivamente ad un tentativo di furto e all’arresto di M. S.), e delle esigenze cautelari in considerazione dei caratteri e delle modalità della condotta, della pluralità degli episodi contestati, della consumazione degli stessi in un contesto di tipo organizzato che accentua i profili di disvalore e riprovevolezza della condotta la reiterazione e sistematicità delle operazioni illecite effettuate.

E’ evidente, quindi, che le censure proposte dal ricorrente pur investendo formalmente la motivazione del provvedimento impugnato, in realtà si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito. Tali censure sono pertanto improponibili, perchè superano i limiti cognitivi di questa Suprema Corte, che, quale giudice di legittimità, deve far riferimento solo all’eventuale mancanza della motivazione o alla sua illogicità o contraddittorietà (v., fra le tante: C. S.U. 12/12/1994, De Lorenzo, Riv. 199391; C Sez. 6, 15/05/2003).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal cit. art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Manda in Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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