Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-11-2010) 22-03-2011, n. 11282

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza dell’11.3.2009, il Tribunale di Catanzaro, in composizione monocratica, dichiarò G.A. responsabile dei reati di rapina aggravata e lesioni, e unificati i reati sotto il vincolo della continuazione – concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva – lo condannò alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione ed Euro 3000,00 di multa.

Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 13.1.2010, confermava la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo: 1) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per errata interpretazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in quanto nelle operazioni di bilanciamento delle circostanze il giudici di primo grado hanno dapprima dato atto di aver operato un giudizio di equivalenza tra le attenuanti generiche e la recidiva, per poi impropriamente apportare un aumento di pena pari ad anni uno e mesi cinque di reclusione in considerazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5, in violazione degli artt. 63 e 69 c.p.; 2) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in ordine all’aggravante dell’utilizzo delle armi, in assenza di prova certa che al momento della rapina la pistola fosse priva di tappo rosso; 3) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) errata interpretazione della legge penale, e mancanza, illogicità e contraddittorietà delle motivazioni in ordine alla determinazione della pena del tutto sproporzionata ai fatti di causa ed al contegno del ricorrente che ha confessato e contribuito all’accertamento dei fatti-reato.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
Motivi della decisione

In ordine al primo motivo, osserva il collegio che sul punto il ricorso è inammissibile, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3, riguardando violazioni di legge non dedotte con i motivi d’appello.

Infatti, nell’atto d’appello depositato dal difensore dell’imputato in data 10.7.2009, il ricorrente si è limitato a censurare la sentenza di primo grado sulla inapplicabilità della continuazione tra il reato di lesioni e quello di rapina, e sulla perseguibilità del reato di lesioni a querela di parte, nonchè sulla insussistenza dell’aggravante dell’arma. Per quanto riguarda, poi, la determinazione della pena. G.A., in sede di appello, si è limitato a lamentare l’eccessività della stessa, il difetto di motivazione, e il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulle circostanze aggravanti (v. pag. 4 dell’atto d’appello), nulla deducendo circa il giudizio di comparazione ex art. 69 c.p., che solo nel ricorso si assume erroneamente effettuato.

Con il secondo e terzo motivo si prospettano esclusivamente valutazioni di elementi di fatto, divergenti da quelli cui è pervenuto il giudice d’appello e vengono riproposte le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame; i motivi pertanto vanno considerati non specifici, per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di specificità, conducente, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), nell’inammissibilità (Cass. Sez. 4^ n. 5191/2000 Rv. 216473). Le valutazioni di merito sono, poi, insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici (Cass. sez. un., 24 novembre 1999, Spina, 214794).

Le motivazioni svolte dal giudice d’appello non risultano viziate da illogicità manifeste e sono infine esaustive, avendo la Corte risposto a tutti i motivi d’appello, ed evidenziato – per quanto riguarda l’uso dell’arma – che "la mancanza del tappo rosso al momento dell’utilizzazione della pistola risulta provata, oltre che dalla mancanza del detto tappo rosso al momento della perquisizione effettuata dai Carabinieri nell’abitazione del M., anche dal fatto che la p.o. ha, in sede di indagini, dichiarato che l’arma a lui mostrata dai Carabinieri era identica a quella usata dal rapinatore", e – per quanto concerne il trattamento sanzionatorio – che andava disattesa la richiesta di riconoscimento con giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, in considerazione della personalità dell’imputato, gravato da numerosi precedenti penali, nonchè dalla gravità delle condotte poste in essere dallo stesso con il volto travisato, con minaccia e violenza attuate con l’uso dell’arma e con approfittamento della condizione di inabilità in cui versava la p.o. (v. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata). Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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