T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, 01-07-2010, n. 2422 COMUNE E PROVINCIA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

F.C. è ospite della Casa Beato Luigi Guanella di Verdello dal 13/9/2009.

La domanda della tutrice per ottenere l’integrazione della retta è stata riscontrata negativamente dal Comune il quale, con la nota impugnata, ha verificato la capacità di intervenire del padre e dei fratelli e dunque "la compartecipazione alla spesa per la copertura della retta risulta a carico dei nuclei familiari della rete di sostegno come da calcoli in calce alla presente".

In particolare la retta mensile per il ricovero nella struttura residenziale è di 1.581 Euro, mentre la capacità economica dell’utente è di 637 Euro (pensione di invalidità ed indennità di accompagnamento, dedotti i 90 Euro per le spese personali). I residui 944 Euro sono ripartiti dal Comune tra il padre, i fratelli e le sorelle dell’assistita in conformità all’art. 7 del regolamento, approvato con deliberazione consiliare n. 27/2009:

o la ricorrente G. (sorella) agisce come tutrice di F. dal 15/12/2000, ed il suo nucleo comprende il marito e la figlia, con un ISEE 16.633,88 Euro;

o il padre è inserito nel nucleo familiare con l’assistita (doc. 9), per un ISEE pari a 7.532,38 Euro;

o Eugenio, fratello non convivente, fa parte di un nucleo di 4 persone con un ISEE di 17.479,28 Euro;

o Annamaria, sorella non convivente e religiosa, ha un ISEE di 7.053 Euro;

o Laura Rosa, sorella non convivente, partecipa ad un nucleo con il marito e la figlia minore, per un I.S.E.E. di 26.079,336 Euro.

Con ricorso ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione i ricorrenti impugnano i provvedimenti in epigrafe, esponendo i seguenti profili di censura:

a) Violazione degli artt. 1 e 2 tab. 1 e 2 del D. Lgs. 109/98, degli artt. 2, 3, 4 e 5 del D.P.C.M. 221/99, degli artt. 25 e 8 comma 3 del D. Lgs. 328/2000, dell’art. 6 del D.P.C.M. 14/2/2001, degli artt. 433 e 438 del c.c., falsa applicazione dell’art. 1 della L. 328/2000 e dell’art. 8 della L.r. 3/2008, eccesso di potere per sviamento in quanto lo strumento ISEE – che dovrebbe evidenziare la situazione economica del soggetto che ha richiesto la prestazione – viene indebitamente utilizzato dall’amministrazione per esaminare la posizione reddituale e patrimoniale dei parenti tenuti agli alimenti, moltiplicando indebitamente i nuclei familiari;

b) Violazione degli artt. 2, 3, 10, 23, 32, 38 e 53 della Costituzione, degli artt. 3 e 12 comma 1 della convenzione di New York sui diritti dei disabili e dell’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. 109/98, recanti il principio – immediatamente precettivo – che impone di valorizzare unicamente la situazione economica dell’assistito;

c) Violazione della L. 328/2000, dell’art. 3 della convenzione di New York sui diritti dei disabili, eccesso di potere per illogicità, sviamento e difetto di istruttoria, in quanto non è stato rispettato il principio di indipendenza del disabile, poiché si incamerano tutti i suoi redditi anche esenti e l’intero patrimonio;

d) Violazione del principio di proporzionalità e difetto di istruttoria, poiché l’amministrazione avanza pretese anche nei confronti dei familiari, in assenza di una valutazione di sopportabilità in concreto, con rette che possono incidere su risorse essenziali dei parenti.

In conclusione i ricorrenti sollevano la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. 109/98 e dell’art. 8 della L.r. 3/2008 – laddove interpretati nel senso di consentire agli Enti erogatori di derogare all’applicazione del principio di evidenziazione della situazione economica del solo utente – per contrasto con gli artt. 2, 3, 23 e 53 della Costituzione anche in relazione agli artt. 3 e 12 della convenzione di New York sui diritti dei disabili; inoltre sollevano la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 del D. Lgs. 109/98, laddove consentono agli enti erogatori di determinare fasce di contribuzione non collegate ad un’effettiva capacità contributiva, accertate mediante idonea istruttoria, per contrasto con gli artt. 2, 3, 53 e 97 della Costituzione. Infine ulteriori questioni sono sollevate con riguardo all’art. 8 della L.r. 3/2008, laddove interpretato nel senso di incidere sulla disciplina dell’obbligo alimentare, per contrasto con gli artt. 3, 27, 53, 117 comma 2 lett. g) ed m) della Costituzione. Identica questione è sollevata con riguardo all’art. 8 della L.r. 3/2008 laddove interpretato nel senso di consentire alle Regioni di derogare alla disciplina nazionale in materia di compartecipazione al costo dei servizi sociosanitari integrati per contrasto con gli artt. 3, 32, 38 e 117 comma 2 lett. l) e m) della Costituzione.

Si sono costituite in giudizio l’amministrazione comunale, l’Azienda Speciale e l’Assemblea dei Sindaci, chiedendo la reiezione del gravame in quanto infondato.

Rappresentano gli Enti intimati in punto di fatto che:

o l’istanza di integrazione della retta del 14/9/2009 è stata riscontrata in pari data, dando applicazione al regolamento comunale e tenendo conto dell’art. 8 comma 1 della L.r. 3/2008;

o il DPCM previsto dall’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. non è mai stato emanato, e in ogni caso esso privilegia la permanenza dell’assistito nel nucleo familiare e non la soluzione residenziale;

o non tener conto della situazione economica del nucleo familiare dell’assistito significa prendere in esame un reddito più basso di quello del nucleo di appartenenza effettiva, con perdita di risorse da destinare ad altri soggetti deboli e in difficoltà;

o Medolago ha 2.300 abitanti, ed è chiamato ad assistere altri soggetti disabili e minori in difficoltà.

Alla pubblica udienza del 27/5/2010 il gravame è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

I ricorrenti, fratelli sorelle e padre di un soggetto affetto da disabilità grave inserito in una Residenza Sanitaria per Disabili, censurano le decisioni assunte dal Comune di Medolago con le quali è stata determinata la compartecipazione dell’utente, della sua famiglia e dei suoi parenti al costo per il mantenimento nella struttura.

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 1 e 2 tab. 1 e 2 del D. Lgs. 109/98, degli artt. 2, 3, 4 e 5 del D.P.C.M. 221/99, degli artt. 25 e 8 comma 3 del D. Lgs. 328/2000, dell’art. 6 del D.P.C.M. 14/2/2001, degli artt. 433 e 438 del c.c., la falsa applicazione dell’art. 1 della L. 328/2000 e dell’art. 8 della L.r. 3/2008, l’eccesso di potere per sviamento in quanto lo strumento ISEE – che dovrebbe evidenziare la situazione economica del soggetto che ha richiesto la prestazione – viene indebitamente utilizzato dall’amministrazione per esaminare la posizione reddituale e patrimoniale dei parenti tenuti agli alimenti, moltiplicando indebitamente i nuclei familiari. Rilevano i ricorrenti che la decisione del Comune di prendere in considerazione l’ISEE di una pluralità di nuclei familiari è incompatibile con la disciplina vigente, dato che ciascun soggetto può appartenere ad una sola aggregazione costituita dalla famiglia anagrafica; aggiungono che i precedenti di questo Tribunale affermano che la posizione di familiare tenuto agli alimenti non fa emergere un diritto di rivalsa a favore dei Comuni, tenuto conto che la disciplina è di competenza esclusiva del legislatore statale.

La doglianza è fondata nel senso di seguito precisato.

1.1 Nella pronuncia 13/7/2009 n. 1470 il Tribunale ha puntualizzato che "Nel caso di specie è anzitutto evidente che la trattenuta dell’intera pensione (salva la franchigia per le piccole spese) è direttamente e coerentemente collegata alla frequenza a tempo pieno della struttura, chiamata ad ospitare l’utente in via stabile.

Parimenti logico è il concorso del nucleo d’origine alla spesa, purchè tuttavia il soggetto diversamente abile sia considerato parte integrante di esso. In altri termini la pretesa dell’Ente locale è condizionata alla sussunzione del ricoverato nell’ambito della famiglia anagrafica, circostanza che permette tra l’altro di evitare l’elusione del divieto di cui all’art. 2 comma 6 del D. Lgs. 109/98: infatti il reddito del nucleo viene valorizzato ai fini del concorso alla spesa complessiva sul presupposto di una relazione attiva con il soggetto diversamente abile.

In buona sostanza si assume in via prioritaria il reddito del soggetto ricoverato – autonomo e separato – il quale è recuperato per intero qualora l’importo della retta sia superiore. In proposito la pensione di invalidità e l’eventuale indennità accompagnamento sono correttamente incamerati dall’istituto ospitante, trattandosi di struttura residenziale nella quale gli operatori prestano direttamente e in via continuativa l’assistenza necessaria. L’allargamento della valutazione al reddito e al patrimonio dei prossimi congiunti presuppone che la persona svantaggiata sia considerata all’interno del nucleo, qualificando in tal modo correttamente la dimora continuativa nella struttura come circostanza obbligata dalla condizione psicofisica dell’individuo, che prescinde dalla volontà sua e dei familiari.

Tale soluzione risponde ai già menzionati canoni di correttezza, logicità e proporzionalità, che impongono di vagliare le concrete condizioni di vita di una famiglia che continua a farsi carico di oneri non indifferenti (visite specialistiche, vestiario, etc.). Al contempo non è violato il principio che vieta di far parte di più di un nucleo familiare poiché in realtà l’utente, ai fini ISEE, costituisce parte integrante del nucleo e come tale deve essere preso in considerazione dagli Uffici comunali, senza che assuma rilievo la stabile permanenza in una struttura residenziale dovuta alla propria condizione di grave disabilità. In tal modo si realizza un equo bilanciamento tra le esigenze del Comune di stabilire congrui parametri di concorso alla spese e l’interesse del soggetto interessato e della sua famiglia a vedere tradotti in concreto i principi di tutela espressi dalla Costituzione e dalla Convenzione di New York: come ha messo in evidenza il ricorrente, l’inclusione del soggetto diversamente abile determina in definitiva una sensibile riduzione dell’ISEE familiare e del concorso alla spesa".

1.2 Nella fattispecie esaminata il Comune di Medolago ha dunque correttamente recuperato l’intera pensione e l’indennità di accompagnamento dell’utente diversamente abile stabilmente ricoverato in struttura, salvo quanto si preciserà in seguito sui frequenti rientri a casa propria.

Diventa a questo punto necessario verificare la legittimità della valorizzazione dei redditi dei parenti tenuti agli alimenti, componenti di diversi ed autonomi nuclei familiari.

Questo Tribunale ha già rilevato (sentenza 8/7/2009 n. 1457; sentenza sez. II – 14/1/2010 n. 18) come non appaia condivisibile l’estensione del concetto di nucleo familiare dell’assistito ai soggetti tenuti agli alimenti, in quanto "… Si tratta in realtà di fattispecie diverse e non sovrapponibili. L’art. 1bis del D.P.C.M. 221/1999 stabilisce che del nucleo familiare fanno parte solo i componenti della famiglia anagrafica (definita dall’art. 4 del D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223). Solo nel caso di soggetti a carico ai fini IRPEF si supera il riferimento alla famiglia anagrafica e si fa ricorso all’elenco dell’art. 433 c.c. in via sussidiaria per scegliere tra più obbligati. Cosicché dalla sola posizione di familiare tenuto agli alimenti non deriva l’obbligo di provvedere al pagamento parziale o totale delle rette o/e un diritto di rivalsa a favore dei comuni che abbiano già pagato. Del resto l’art. 2 comma 6 del Dlgs. 109/1998 precisa che le disposizioni sull’ISEE non attribuiscono agli enti erogatori la facoltà ex art. 438 comma 1 c.c. nemmeno nei confronti dei componenti il nucleo familiare dell’assistito. Le norme di legge 3 dicembre 1931 n. 1580 sulla rivalsa per le spese di spedalità o manicomiali dovevano quindi intendersi come non applicabili al caso in esame. La legge 1580/1931 risulta ora espressamente abrogata dall’art. 24 del D.L. 25 giugno 2008 n. 112; è perciò fuori luogo anche la prassi di far sottoscrivere ai familiari dell’assistito un impegno al pagamento dell’intera retta al momento dell’ammissione nelle residenze del tipo de qua (cfr. sentenza Sezione 22/9/2008 n. 1102). Sulla disciplina della rivalsa non ha, inoltre, inciso l’art. 8 comma 1 della LR 12 marzo 2008 n. 3, che contiene un generico riferimento non cogente ai soggetti civilmente obbligati secondo le normative vigenti. Questa appare del resto l’unica interpretazione costituzionalmente orientata, in quanto diversamente la legge regionale avrebbe invaso la potestà legislativa statale sui rapporti di diritto privato".

In conclusione è illegittima la pretesa comunale di ripartire il costo della retta tra i parenti tenuti agli alimenti, non compresi nel nucleo costituente la famiglia anagrafica.

2. Con ulteriore censura i ricorrenti contestano la violazione degli artt. 2, 3, 10, 23, 32, 38 e 53 della Costituzione, degli artt. 3 e 12 comma 1 della convenzione di New York sui diritti dei disabili e dell’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. 109/98, recanti il principio – immediatamente precettivo – che impone di valorizzare unicamente la situazione economica dell’assistito.

La censura è priva di pregio.

2.1 L’invocato art. 3 comma 2ter dispone testualmente che "Limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave,… le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la solidarietà sociale e della sanità. Il suddetto decreto è adottato, previa intesa con la Conferenza unificata…, al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione, e sulla base delle indicazioni contenute nell’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 3septies, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni".

2.2 Il Tribunale ha già statuito (sentenza 2/4/2008 n. 350, condivisa dalle successive pronunce 13/7/2009 n. 1470 e 18/1/2010 n. 18) che la norma in esame introduce un principio giuridico sufficientemente preciso, tale da vincolare le competenti autorità amministrative anche in assenza del decreto di attuazione del Presidente del Consiglio. Nelle situazioni di maggiore difficoltà come quelle che investono i soggetti diversamente abili le regole ordinarie dell’ISEE incontrano una deroga necessaria, dovendo obbedire alla prioritaria esigenza di facilitare il protrarsi della loro permanenza nel nucleo familiare ospitante: tale obiettivo è perseguito attraverso l’evidenziazione della situazione economica del solo assistito, anche in relazione al concorso alle spese dovute per i servizi fruiti.

Dette conclusioni non vengono depotenziate nell’ipotesi di soggetti usciti dalla famiglia d’origine in quanto ospitati in strutture residenziali: la norma citata infatti contempla espressamente le prestazioni erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo, e d’altra parte la finalità di favorire la convivenza con i prossimi congiunti ben può costituire un traguardo da conseguire nel futuro ovvero può essere riletta nel senso del mantenimento e dello sviluppo di legami e contatti, in modo da evitare fenomeni di istituzionalizzazione con chiusura definitiva dei rapporti con i parenti più vicini.

In definitiva gli Enti locali coinvolti non debbono attendere l’emanazione della normativa statale di dettaglio, ma sono tenuti ad applicare una disposizione immediatamente precettiva introdotta a tutela di una fascia di popolazione particolarmente debole.

2.3 La questione da dirimere è tuttavia se la disposizione che impone di evidenziare la situazione economica del solo assistito vada intesa in senso assoluto ed incondizionato ovvero racchiuda un indirizzo – ancorché chiaro e vincolante – rivolto alle amministrazioni locali chiamate a ricercare soluzioni concrete in sede di individuazione dei criteri di compartecipazione ai costi delle strutture frequentate. Il Tribunale – nella pronuncia n. 350/2008 dalla quale il Collegio non ritiene di discostarsi – ha aderito a questa seconda impostazione, rilevando che "il dato letterale di riferimento sembra fornire indicazioni in tal senso quando afferma che l’applicazione dei principi sull’ISEE è limitata ad ipotesi circoscritte, individuate con il decreto che deve (o avrebbe dovuto) riconoscere un rilievo predominante alla situazione economica del solo assistito nell’ottica di facilitare la sua convivenza con il nucleo familiare. Al riguardo non sembra condivisibile una lettura della seconda parte del comma 2ter tesa a riconoscere un principio assoluto ed incondizionato, mentre al D.P.C.M. sarebbe demandata la funzione, esclusiva ed eventuale, di limitarne la portata. Da una lettura complessiva emerge viceversa che la disposizione affida all’autorità statale, in via contestuale, sia il compito di raggiungere il delineato obiettivo a favore dei soggetti tutelati sia la determinazione dei limiti residuali entro i quali l’ISEE familiare può comunque trovare applicazione: spetta in altre parole al Presidente del Consiglio dare attuazione al principio e delimitarne la portata, individuando le ipotesi marginali nelle quali può riespandersi la disciplina generale dell’ISEE familiare". In assenza del suddetto decreto, pare evidente che la proposizione normativa – come già detto immediatamente precettiva – debba essere nella sua globalità tradotta in scelte concrete dalle amministrazioni titolari delle funzioni amministrative in materia di interventi sociali sul territorio.

La delineata ricostruzione è stata ritenuta preferibile anche sotto un profilo logicosistematico, risultando coerente anche con i principi di dignità intrinseca, autonomia individuale e indipendenza della persone disabile affermati dalla Convenzione di New York, sottoscritta dall’Italia e recentemente ratificata dal Parlamento con legge 3/3/2009 n. 18. Nella sentenza n. 350/2008 è stata affrontata una fattispecie nella quale alcuni soggetti erano inseriti nei CDD (ex CSE), ed il Tribunale ha concluso che "… l’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. 109/98 afferma l’obbligo di sviluppare l’indagine sul reddito familiare valorizzando la posizione individuale del soggetto colpito da gravi limitazioni psicofisiche e dunque assumendo in via prioritaria i suoi redditi come autonomi e separati ai fini del calcolo della contribuzione al costo della prestazione resa. Ciò tuttavia non avviene senza limite alcuno, potendosi allargare la valutazione al nucleo di appartenenza ove la capacità contributiva complessiva superi una determinata soglia, determinata secondo canoni di correttezza, logicità e proporzionalità, ossia alla luce delle concrete condizioni di vita di una famiglia che accoglie al suo interno una persona svantaggiata…".

Si è infine rilevato che "… l’impostazione non sembra in contrasto con gli artt. 2, 3 e 53 della Costituzione, che sanciscono i principi di piena espressione della personalità, di uguaglianza formale e sostanziale e di capacità contributiva, in quanto l’opzione per una lettura elastica della norma si accompagna al riconoscimento di un’azione amministrativa teleologicamente orientata in sede di determinazione in concreto dei casi e delle modalità di concorso al costo dei servizi: in buona sostanza se la disposizione non ha inteso precludere "a priori" un coinvolgimento della famiglia, d’altro canto i valori costituzionali richiamati e la finalità dichiarata dall’art. 3 comma 2ter di favorire la permanenza della persona diversamente abile nel nucleo di appartenenza costituiscono puntuali ed inderogabili punti di riferimento per le scelte concrete degli Enti locali, nonché parametro di valutazione della loro legittimità".

Né si è ritenuto configurabile un contrasto diretto con l’art. 23 della Costituzione, non avendo l’autorità amministrativa alcun potere abrogativo della disposizione introdotta dal legislatore a tutela dei diritti delle persone svantaggiate, ma al contrario il dovere di introdurre un meccanismo equo ed altresì coerente con l’obiettivo di promuovere le condizioni per una convivenza stabile e serena del portatore di handicap nella sua famiglia.

2.4 Il Collegio ritiene di riaffermare il proprio indirizzo, anche se è consapevole che sull’argomento si sono sviluppati altri due orientamenti che giungono a conclusioni diametralmente opposte.

2.5 Il primo afferma la natura di mero indirizzo dell’art. 3 comma 2ter, laddove rimette espressamente al decreto governativo di attuazione non solo l’individuazione dei limiti di applicabilità del D. Lgs. 109/98 alle prestazioni di natura assistenziale integrata, ma anche "il perseguimento del duplice obiettivo di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, obiettivo che lo stesso legislatore mostrerebbe, dunque, di non aver voluto realizzare direttamente" (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II – 3/3/2010 n. 588; si veda anche T.A.R. Veneto, sez. III – 25/2/2009 n. 477). Osserva questo Tribunale che è condivisibile il rilievo che i due obiettivi di fondo perseguiti dal legislatore – riferimento alla situazione economica del solo utente e promozione della permanenza dell’assistito medesimo presso il nucleo familiare di origine – sono tra loro collegati in una più ampia prospettiva di residualità della prestazione resa in ambiente residenziale assistito. Ciò tuttavia non preclude la loro diretta applicazione in assenza del decreto ministeriale: essi sono nitidamente definiti dal legislatore, per cui la norma di rango secondario non si rivela indispensabile per la loro attuazione, che verrebbe irragionevolmente rinviata pur in presenza di elementi sufficienti a tradurla in azioni amministrative concrete.

2.6 Il secondo filone interpretativo (cfr. per tutte T.A.R. Lombardia Milano, sez. III – 14/5/2010 n. 1482) propende per l’applicazione diretta della disposizione ma anche per una lettura che non lascia spazio normativo alle amministrazioni locali. Dopo aver premesso che nella materia in esame (i servizi sociali) la competenza legislativa esclusiva delle Regioni incontra comunque il limite della disciplina dettata dal legislatore statale nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che anche in tale ambito devono essere assicurati, il T.A.R. Milano ha precisato "che la determinazione di siffatti livelli non comprende solo la specificazione delle attività e dei servizi da erogare, in quanto è del tutto coerente ritenere che anche la definizione dei criteri di accesso a questi benefici integri un livello essenziale di prestazioni da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale".

In particolare, "se la legge considera una certa attività o un determinato servizio di natura essenziale, imponendone l’erogazione in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, la realizzazione di questo obiettivo postula che tutti gli interessati possano accedere in condizioni di parità a simili prestazioni. Pertanto, è necessario che il criterio in forza del quale vengono selezionati i soggetti destinatari di prestazioni ritenute essenziali dal legislatore statale sia definito una volta per tutte proprio dal legislatore statale, in quanto esprime, a sua volta, un livello essenziale di prestazione da garantire in modo uniforme sul territorio nazionale".

2.7 Il Collegio ritiene di non discostarsi dalle proprie precedenti conclusioni, mettendo in luce i profili di criticità della ricostruzione – pur minuziosa ed articolata – del quadro normativo in materia.

Anzitutto la stessa pronuncia richiamata ammette, in conformità al chiaro dato normativo di riferimento, che "spetta al legislatore statale stabilire anche il limite entro il quale l’individuazione di un criterio selettivo integra un livello essenziale delle prestazioni, nel senso che non è da escludere che il legislatore nazionale, una volta fissato il criterio fondamentale, riconosca alle Regioni uno spazio di intervento destinato a rendere coerente l’uniformità del criterio con le specificità delle singole realtà territoriali". Aggiunge poi che "E’ evidente che eventuali regole di accesso ai servizi lasciate al legislatore regionale, o alla potestà amministrativa degli enti locali, nei termini ora precisati, non integrano livelli essenziali delle prestazioni, ma sono solo strumenti di adeguamento locale del criterio fissato in modo omogeneo ed uniforme dal legislatore statale". Ad avviso del Collegio detto rilievo ridimensiona le conclusioni raggiunte in precedenza sulla riconduzione delle modalità di accesso al servizio tra i livelli essenziali di assistenza, e conferma in realtà che il sistema di compartecipazione al costo per il mantenimento in struttura non costituisce un elemento attratto all’esclusiva competenza statale. L’emanazione del D.P.C.M. contemplato dal comma 2ter deve essere preceduta dall’intesa da raggiungere in sede di conferenza unificata, in ossequio al principio di leale collaborazione tra Stato e Regione. Se dunque la mancata adozione del decreto – che come più volte osservato ha il compito non soltanto di determinare i limiti residuali entro i quali l’ISEE familiare può comunque trovare applicazione, ma anche di facilitare la permanenza dei soggetti diversamente abili presso il nucleo originario di appartenenza – non impedisce l’attuazione dei delineati obiettivi, quest’ultima non può essere parziale e limitata all’evidenziazione del reddito dell’assistito, ma deve contemplare entrambi gli scopi nel quadro di una strategia complessiva.

2.8 Sottolinea poi il Collegio che il decreto il quale fissa i livelli essenziali delle prestazioni non detta – per il recupero del costo del servizio socioassistenziale a favore dei diversamente abili – regole diverse rispetto agli altri servizi. Infatti la tabella 1 C del D.P.C.M. 29/11/2001, che individua le attività di assistenza territoriale semiresidenziale e residenziale a favore di persone anziane e persone diversamente abili, stabilisce una percentuale variabile di costi (non ricompresi tra i servizi propriamente sanitari), ed indica espressamente che la stessa è posta "a carico dell’utente o del Comune" come per tutte le altre prestazioni, in tal modo rimettendo le determinazioni successive agli Enti territoriali competenti.

La ragionevolezza dell’opzione interpretativa è confermata dalla mutevolezza delle situazioni collegate all’entità del reddito delle famiglie di provenienza degli assistiti. L’invocata uniformità delle regole di accesso, infatti, potrebbe in realtà urtare contro il principio di uguaglianza sostanziale, il quale esige un più robusto concorso alla spesa da parte dei titolari di redditi molto elevati. In definitiva, l’attribuzione a Regioni ed Enti locali di margini di autonomia in proposito non si sostanzia nell’introduzione di criteri disomogenei per ottenere le prestazioni, ma nella possibilità di realizzare un’autentica parità di trattamento adeguando l’onere di compartecipazione alla reale capacità contributiva dei nuclei di appartenenza degli utenti.

2.9 Detta soluzione peraltro risponde all’esigenza, sollevata in maniera sempre più pressante dalle amministrazioni locali, di reperire le risorse sufficienti ad erogare ai cittadini i servizi essenziali in una fase storica connotata da ristrettezze economiche e dalla progressiva e costante riduzione dei trasferimenti statali. La fondamentale necessità di affrontare l’impatto negativo della povertà sulle persone con disabilità (cfr. L. 3/3/2009 n. 18 di ratifica della Convenzione di New York del 13/12/2006 sui "diritti delle persone con disabilità") è peraltro adeguatamente salvaguardata dall’obbligo degli Enti locali di determinare criteri di recupero che tengano conto della realtà di una famiglia che ha cresciuto un soggetto diversamente abile (si veda infra punto 3.3 e 3.4).

In conclusione il profilo è infondato e deve essere respinto.

3. Con ulteriore articolata doglianza – esposta ai punti c) e d) dell’esposizione in fatto – i ricorrenti lamentano la violazione della L. 328/2000, dell’art. 3 della convenzione di New York sui diritti dei disabili, l’eccesso di potere per illogicità, sviamento e difetto di istruttoria, in quanto non è stato rispettato il principio di indipendenza del disabile, poiché si incamerano tutti i suoi redditi anche esenti e l’intero patrimonio; affermano i ricorrenti che non è garantito all’assistito il reddito minimo di inserimento ed è leso il principio di pari opportunità, e lamentano la violazione del principio di proporzionalità ed il difetto di istruttoria, poiché l’amministrazione avanza pretese anche nei confronti dei familiari, in assenza di una valutazione di sopportabilità in concreto.

L’articolata censura è fondata nel senso di seguito esposto.

3.1 Il Collegio ha già sostenuto al precedente punto 1.1. che si assume in via prioritaria il reddito del soggetto ricoverato – autonomo e separato – il quale è recuperato per intero qualora l’importo della retta sia superiore, ed in proposito la pensione di invalidità e l’eventuale indennità accompagnamento sono correttamente incamerati dall’istituto ospitante, trattandosi di struttura residenziale nella quale gli operatori prestano direttamente e in via continuativa l’assistenza necessaria.

3.2 In ordine al reddito minimo di inserimento si è rilevato (sentenza sez. II – 14/1/2010 n. 18) che lo stesso, seppur previsto dal legislatore nazionale, ha avuto esperienza breve e frammentaria, cosicchè il parametro non si rivela utilizzabile per la corretta determinazione del quantum. La norma può conservare un valore indicativo, ma deve essere raccordata con quanto già elaborato sulla posizione dei soggetti stabilmente ricoverati in struttura.

3.3 Un diverso ragionamento deve essere condotto con riguardo agli oneri assistenziali che permangono in capo alla famiglia, dal momento che F. rientra a casa tutte le domeniche, due settimane a Natale, una a Pasqua e quattro d’estate (cfr. dichiarazione assistente sociale doc. 16). Sul punto i ricorrenti sottolineano che per 5.000 Euro di reddito ISEE si corrisponde il 5% del costo della retta, fino a sopportare l’intero importo oltre la soglia ISEE di 20.000 Euro.

Sotto questo profilo, già si è detto come le linee guida enucleate all’art. 3 comma 2ter della L. 109/98 debbano ispirare l’azione degli Enti pubblici nella determinazione in concreto dei casi e delle modalità del concorso al costo dei servizi.

Ebbene, le previsioni di una compartecipazione alla spesa anche nel caso di redditi molto bassi – con un onere di 80 Euro al mese nel caso di 5.000 Euro di reddito ISEE – e la fissazione del recupero totale per ISEE superiori a 20.000 Euro (per un costo di oltre 900 Euro mensili) risultano icto oculi del tutto irragionevoli, colpendo l’unità familiare del soggetto diversamente abile in maniera del tutto sproporzionata rispetto alla propria capacità contributiva. La scelta è palesemente illogica, poiché trascura in toto l’obiettivo ricavabile dalla normativa vigente: invece di predisporre misure idonee ad alleviare gli sforzi economici della famiglia che ospita o che comunque è legata al disabile, i criteri censurati finiscono per reintrodurre in maniera surrettizia il concorso del nucleo alle spese a prescindere dalla consistenza del reddito complessivo. In presenza di categorie di reddito medie o mediobasse l’impennata dell’attuale costo della vita associata alle condizioni di un portatore di handicap – che impongono oneri non indifferenti, anche di tipo economico, rispetto agli altri nuclei familiari – dovrebbero indurre le amministrazioni ad una particolare prudenza nella previsione dei recuperi a carico degli utenti (cfr. sentenza T.A.R. Brescia 350/2008).

3.4 Dette conclusioni sono valide anche per i congiunti di un soggetto stabilmente ricoverato in struttura, tenuto conto che permangono taluni costi a carico della alla famiglia e che F. rientra a casa per periodi ricorrenti e non brevi.

4. Alla luce dei rilievi ampiamente sviluppati nei punti precedenti, le ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate devono ritenersi manifestamente infondate.

5. In definitiva il ricorso è parzialmente fondato e deve essere accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati, comprese le norme regolamentari viziate.

Le spese di giudizio devono essere poste a carico del Comune di Medolago e sono liquidate come da dispositivo. Possono essere compensate nei confronti delle autorità sovracomunali.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione seconda di Brescia, definitivamente pronunciando accoglie il ricorso in epigrafe nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla la nota del 14/10/2009 e, in parte qua, il regolamento approvato con deliberazione consiliare n. 27/2009.

Condanna il Comune di Medolago a corrispondere ai ricorrenti, in solido tra loro, la somma complessiva di Euro 4.500, oltre ad IVA, CPA e spese generali.

Spese compensate nei confronti degli altri Enti resistenti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 27 maggio 2010 con l’intervento dei Signori:

Giorgio Calderoni, Presidente

Stefano Tenca, Primo Referendario, Estensore

Francesco Gambato Spisani, Primo Referendario

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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