Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-03-2011) 23-03-2011, n. 11699

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel corso di un giudizio civile instaurato innanzi alla Corte di appello di Trento da G.V. in Ca. e Ca.

D. nei confronti di B.d.G., coinvolgente un presunto credito dei primi verso il secondo, cui era collegata la sorte di un immobile di quest’ultimo sottoposto a sequestro, il B. eccepiva, relativamente al credito vantato dagli attori, che era stata già corrisposta al loro legale, avv. Mu., la somma complessiva di L. 39.000.000, con versamenti effettuati per conto della sig.ra Ma.Fr., attuale proprietaria dell’immobile. Nell’istruttoria furono sentiti come testimoni il sig. C.S., il quale dichiarò di avere personalmente, in data 22.03.2000, provveduto al versamento predetto a mani dell’avv. Mu., consegnandogli due assegni, rispettivamente di L. 11.000.000 di L. 18.000.000 e una somma in contanti di L. 10.000.000, e il sig. M.G., il quale dichiarò di aver assistito al versamento da parte del C. di una somma in contanti all’avv. Mu.. Tali testimonianze furono considerate credibili dalla Corte d’appello. A seguito di denuncia per falsa testimonianza in ordine al predetto versamento della somma in contanti, il C. e il M. furono tratti a giudizio innanzi al Tribunale di Trento, che, con sentenza del 19.05.2005, li assolveva per insussistenza del fatto, rilevando che:

– nella situazione data l’avv. Mu. aveva un interesse anche personale a sistemare la questione delle spese inerenti a un procedimento ancora pendente in cassazione e dall’esito incerto;

– la mancata menzione del versamento in contanti nella quietanza rilasciata dall’avv. Mu., così come la precisazione che rimaneva ferma l’annotazione al tavolare di un atto di citazione relativo ad annullamento di una donazione, ben potevano essere sfuggite al profano C., che non aveva motivo di dubitare di un avvocato;

– non era certo nè comunque decisivo il mancato riscontro del contestuale prelievo bancario della somma versata in contanti;

– la deposizione del M. proveniva da soggetto privo di un proprio interesse.

Su appello della parte civile Mu.Ar., con sentenza in data 04.12.2009 la Corte di appello di Trento, in riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava il C. e il M. responsabili, ai fini civili, del reato loro ascritto e li condannava al risarcimento del danno in favore del Mu..

Avverso tale sentenza propone ricorso il C. a mezzo dei difensori, deducendo:

1.- l’inammissibilità dell’appello proposto dalla parte civile, non rivestente la qualità nè di persona offesa nè di persona direttamente danneggiata dal reato, con esclusione, quindi, in ogni caso, di qualsiasi risarcimento;

2.- il vizio della motivazione, in relazione: a.- all’apodittica valutazione di inattendibilità della versione resa dall’imputato di contro a quella, ritenuta invece attendibile, dell’avv. Mu.; b.- all’erronea ricostruzione dell’incontro e della relativa trattativa fra il C. e il Mu.; c.- alla non adeguata valutazione della complessiva situazione del contenzioso esistente fra le parti alla data del predetto incontro; d.- alla mancata considerazione del comportamento del B. che, eccependo la soddisfazione del credito vantato dai Ca., presupponeva l’informazione del versamento a saldo effettuato dal C.;

e.- alla singolarità della quietanza rilasciata dal Mu., che avrebbe riportato come versata anche la somma di L. 11.000.000 oggetto di un assegna bancario di cui non era ancora certo il buon fine. Resiste con memoria la difesa della parte civile.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

In ordine al primo motivo, deve anzitutto rilevarsi che la relativa deduzione non è mai stata formulata in precedenza.

Nel merito della medesima si osserva che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice di cui all’art. 372 c.p. è il normale svolgimento dell’attività giudiziaria che "può essere fuorviata" da deposizioni false e reticenti.

Per la sua configurabilità è perciò sufficiente che il fatto prospettato con la deposizione sia pertinente in relazione all’oggetto della prova ed alla situazione processuale esistente al momento di consumazione del reato e sia rilevante, suscettibile cioè di portare, anche in astratto, un contributo alla decisione mentre resta ininfluente che, in concreto, la deposizione possa o meno essere utilizzata dal giudice o che la prova del fatto possa essere acquisita anche aliunde. Naturalmente la qualificazione del reato di falsa testimonianza come reato di pericolo e la sua conseguente punibilità anche nelle ipotesi nelle quali il giudice abbia negato attendibilità alla falsa deposizione non escludono che, in concreto, il mendacio possa aver esercitato una decisiva influenza nell’ambito del procedimento nel quale è stato posto in essere e che perciò l’attività giudiziaria sia stata "effettivamente fuorviata".

I relativi danni riguardano evidentemente il soggetto che sia risultato soccombente nella causa civile in conseguenza di deposizioni poi riconosciute come false. Ciò non toglie che il reato di falsa testimonianza possa cagionare anche a soggetti terzi direttamente coinvolti dal contenuto mendace della deposizione, i quali quindi potranno agire per ottenere da coloro che hanno reso le false testimonianze il risarcimento del danno morale derivante dal reato.

Questo è quanto appunto si è verificato nel caso di specie, in cui il contenuto della dichiarazione ritenuta mendace risulta certamente lesivo della onorabilità morale e professionale del Mu., accusato di essersi ricevuto in nero e in modo occultabile ai propri clienti una ingente somma in contanti dalla loro controparte. In punto responsabilità il collegio rileva che non è ravvisabile nel caso in esame la violazione dei criteri di valutazione della prova denunciata dal ricorrente. Infatti la Corte di appello ha esaminato in modo logico e accurato le risultanze processuali, evidenziando, in puntuale confutazione dei rilievi svolti dal primo giudice, da un lato, l’inverosimiglianza della versione dei fatti resa dal C., in riferimento alla singolarità del suo possesso di una così ingente somma in contanti e della accettazione, a fronte di una simile operazione e della sua esperienza e avvedutezza derivanti dall’attività di commerciante, di una quietanza che non solo non faceva alcuna menzione del presunto versamento della detta somma ma addirittura esprimeva riserva di residua coltivazione di un contenzioso fra le parti, e, dall’altro, il significativo e sospetto carattere generico e sfuggente della deposizione del M., soggetto portatore anch’egli di un interesse all’operazione relativa all’immobile.

Nella motivazione della sentenza impugnata si è dunque dato ampiamente conto, in conformità a quanto prescrive l’art. 192 c.p.p., dei risultati acquisiti e della loro valutazione.

La decisione impugnata si sottrae quindi alle censure che le sono state mosse perchè il giudice del merito – con motivazione esente da vizi logici ed interne contraddizioni – ha rappresentato le ragioni che l’hanno indotto a ritenere la responsabilità del ricorrente per il reato di falsa testimonianza mentre nel ricorso non si indicano punti o passaggi della motivazione viziati da evidenti illogicità, ma si pretende in sostanza di offrire una valutazione alternativa delle risultanze processuali, attraverso una loro lettura diversamente orientata e l’attribuzione di un maggior peso a determinate circostanze, ritenute invece implicitamente (ma non illogicamente) dalla Corte distrettuale inidonee a sminuire la valenza degli elementi probatori a carico dell’imputato.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna altresì il ricorrente a rimborsare alla parte civile le spese del grado, che liquida in complessivi Euro 3000,00, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 15 marzo 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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