T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, 01-07-2010, n. 2413 EDILIZIA E URBANISTICA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con il ricorso in esame parte ricorrente espone di aver richiesto, in data 19 gennaio 1995, il rilascio della concessione edilizia in sanatoria relativamente agli abusi realizzati sull’unità immobiliare sita in Cellatica, via Magenta n. 17 e più precisamente in relazione al rustico e agli spogliatoi interrati, consistenti in:

a) cambio di destinazione d’uso del piano terra da non residenziale a civile abitazione;

b) cambio di destinazione di un locale interrato da promiscuo a spogliatoio.

In tale domanda il ricorrente precisava che gli interventi erano stati effettuati prima del 31 dicembre 1993.

Contestando quest’ultimo assunto, il Comune rigettava la domanda con il provvedimento che è stato fatto oggetto di censura, in quanto affetto da eccesso di potere per errore nella formazione della volontà, difetto di motivazione e travisamento dei fatti.

Il Comune avrebbe tratto la propria conclusione circa il momento della realizzazione degli interventi dalla circostanza per cui il ricorrente avrebbe presentato, il 2 giugno 1994, una pratica edilizia nella quale avrebbe dichiarato che il piano terra dell’immobile aveva destinazione non residenziale. Il fatto che le opere oggetto di condono non fossero realizzate prima del 31.12.1993 si desumerebbe, inoltre, dal certificato di collaudo delle opere in cemento armato depositato nella pratica edilizia n. 98/92, relativa alla realizzazione della rimessa interrata, nonché dalla data di inizio lavori ivi dichiarata.

Tale convincimento deriverebbe, secondo parte ricorrente, dall’erronea interpretazione della domanda come se avesse ad oggetto la realizzazione di nuovi locali, mentre si tratta in realtà solo di mutamento di destinazione d’uso di locali già esistenti. L’aumento di superficie di 92 mq deriverebbe, infatti, dal cambio di destinazione d’uso del portico e non anche dalla realizzazione degli spogliatoi.

Risulterebbe intuitivo poi, come, all’atto della richiesta di concessione edilizia del 1994, relativa alla manutenzione straordinaria di un corpo di fabbrica, il proprietario non avesse esplicitato l’intervenuto mutamento di destinazione d’uso delle unità in questione, in quanto ciò avrebbe avuto l’effetto di un’autodenuncia.

Non sarebbe dato comprende, infine, secondo quanto sostenuto da parte ricorrente, come la data di inizio lavori e il collaudo delle opere relative all’autorimessa interrata potrebbero in qualche modo essere rilevanti ai fini di dimostrare la data in cui è intervenuto il mutamento di destinazione d’uso oggetto di condono.

In vista della pubblica udienza parte ricorrente ha ulteriormente ribadito che dallo stesso certificato di collaudo era possibile desumere come in data 1 marzo 1994 già esistessero i locali interrati oggetto di condono.

Il Comune, costituitosi in giudizio, ha eccepito la, almeno parziale, carenza di interesse sopravvenuta alla pronuncia, atteso che quasi tutte le opere oggetto del condono in questione hanno poi formato oggetto del rilascio di una concessione in sanatoria in forza del successivo condono del 2003, con la sola esclusione dei servizi igienici del piano interrato.

Nel merito esso sostiene l’infondatezza dell’assunto di parte ricorrente in ordine alla data di ultimazione dei lavori e la presenza di uno specifico onere di prova, rispetto a tale profilo, gravante in capo al proprietario.

Alla pubblica udienza del 10 giugno 2010 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Deve preliminarmente trovare accoglimento l’eccezione di improcedibilità introdotta dal Comune.

Parte ricorrente non può, infatti, vantare alcun interesse concreto ed attuale alla pronuncia con riferimento ai mutamenti di destinazione d’uso che sono già stati sanati grazie ad un successivo condono edilizio conclusosi con esito positivo per il proprietario.

L’interesse continua, però, a permanere con riferimento ai locali interrati adiacenti all’autorimessa, i quali non sono stati successivamente condonati.

Ciò precisato, ai fini della decisione della controversia occorre prendere le mosse dalla considerazione del fatto che il provvedimento di diniego impugnato appare essere stato determinato dalla mera presa d’atto della data in cui è avvenuto il rilascio del certificato di collaudo relativo all’autorimessa (1 marzo 1994).

Invero appare condivisibile la tesi di parte ricorrente secondo cui la rilevata ed incontestata presenza dei locali a tale data sembrerebbe deporre per la logica deduzione che essi non siano stati realizzati dopo il suddetto sopralluogo.

Al contrario, un semplice ragionamento logico conduce a ritenere che il locale interrato adibito a spogliatoio sia stato realizzato contestualmente all’autorimessa. Poiché la denuncia relativa ai lavori dell’autorimessa indica come data di inizio il 26 novembre 1993 e considerato il periodo invernale che certamente avrà indotto ad un tempestivo completamento dei lavori (in effetti già riscontrato in febbraio del 1994) appare plausibile ritenere che i lavori siano stati terminati, nella sostanza, prima del 31 dicembre 1993.

Del tutto irrilevante appare la destinazione d’uso evidenziata nella richiesta di concessione del 1994, essendo evidente che la dichiarazione della reale destinazione d’uso sarebbe equivalsa ad un’autodenuncia dell’abuso edilizio commesso.

Sia il preteso collegamento tra l’autorimessa regolarmente autorizzata e le opere abusive in questione, che la descrizione degli immobili rinvenibile nell’istanza di concessione edilizia del 1994 non possono, quindi, costituire un’adeguata motivazione del provvedimento di diniego impugnato, non costituendo nemmeno un principio di prova del fatto che la realizzazione dell’intervento oggetto di condono non fosse intervenuta entro il 31 dicembre 1993.

Il Collegio, pertanto, pur non ignorando, né contraddicendo i precedenti di questo Tribunale secondo cui "l’onere di provare l’esistenza del manufatto oggetto di abuso alla data ultima per beneficiare del condono spetti al privato che chiede di condonarlo, privato che riesce a far transitare tale onere in capo all’amministrazione soltanto se fornisce elementi concreti in ordine all’esistenza dello stesso" (T.A.R. Brescia, sez. I, 8 aprile 2010, n. 1506), ritiene che, nel caso di specie, l’Amministrazione non abbia adeguatamente motivato il proprio provvedimento di diniego del condono edilizio, avendo dedotto degli argomenti, a sostegno dello stesso, non idonei a mettere in dubbio le asserzioni di parte ricorrente circa il periodo di realizzazione degli interventi privi di idonea autorizzazione (che in effetti parrebbero più corroborate, che smentite, dalle risultanze del certificato di collaudo invocato dal Comune per addivenire ad opposte conclusioni) e, quindi, a far scattare l’ulteriore obbligo di provare la data di completamento dei lavori.

Data la particolarità della fattispecie, che ha portato all’accoglimento del ricorso in ragione di un vizio meramente formale e non anche dell’intervenuta prova di quanto asserito da parte del ricorrente, sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, sezione seconda di Brescia, accoglie il ricorso in epigrafe indicato e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Dispone la compensazione delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2010 con l’intervento dei Magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Stefano Tenca, Primo Referendario

Mara Bertagnolli, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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