Cons. Stato Sez. III, Sent., 19-03-2011, n. 1698 Sanità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con deliberazione in data 1.9.2004, n. 272, il Direttore generale dell’AUSL di Forlì ha indetto, in forma accelerata, una procedura per l’assegnazione (col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa) del servizio di Assistenza ortodontica per l’intero territorio dell’AUSL (importo a base d’asta Euro 659.568,00 annui), con durata triennale, eventualmente rinnovabile (di anno in anno) per ulteriori cinque anni (il servizio era svolto, in allora, su porzione più ristretta del territorio ed in via sperimentale, dal C.D.R. s.r.l.).

All’esito della gara (verbale di aggiudicazione provvisoria del 26.1.2005), è risultato vincitore il raggruppamento capeggiato da C.O.V. (secondo classificato il C.D.R.).

Con deliberazione in data 31.3.2005, n. 92, il Direttore generale dell’AUSL ha disposto l’autoannullamento della procedura de qua, per i seguenti ordini di considerazioni:

a) che un’impresa commerciale non può sottoscrivere un contratto il cui principale oggetto sia quello di rendere prestazioni professionali di tipo medicosanitario;

b) che la prestazione di servizi sanitari essenziali da parte di soggetti privati è ammessa nelle forme di cui agli artt. 8 e ss. del D. Lgs. n. 502/1992.

Avverso il provvedimento di annullamento della gara, nonché avverso gli atti ad esso connessi e conseguenti (in particolare quelli di conferimento, ad opera della medesima A.U.S.L., degli incarichi professionali relativi all’espletamento del servizio di ortodonzia già oggetto della gara annullata), l’odierno appellante ha proposto ricorso avanti al Tribunale Amministrativo Regionale per l’EmiliaRomagna, sede di Bologna, chiedendone, anche con successivi motivi aggiunti, l’annullamento per articolati motivi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.

Ha formulato, altresì, domanda di risarcimento del danno sofferto per l’asseritamente illegittima "revoca".

Con la sentenza indicata in epigrafe il T.A.R. adìto ha respinto il ricorso.

Il Giudice di primo grado, in particolare – qualificata la posizione del ricorrente come "di (mero) aggiudicatario provvisorio" nella gara annullata – ha posto in rilievo come "laddove la rimozione dell’atto avvenga nel corso del procedimento e prima della sua conclusione non occorre una specifica ed articolata motivazione", sì che "costituendo… l’aggiudicazione provvisoria di un appalto atto endoprocedimentale, per sua natura inidoneo a radicare una situazione di stabile affidamento nel suo destinatario, l’annullamento d’ufficio di tale aggiudicazione provvisoria non necessita certamente di una particolare ed approfondita motivazione, oltre alla indicazione dei vizi di legittimità che hanno inficiato la gara" (pag. 8 sent.); ha concluso poi il T.A.R. che, nell’adottare l’impugnata deliberazione n. 92/2005, il Direttore Generale dell’AUSL si era mantenuto nei limiti "del corretto esercizio dello specifico potere di autotutela" (pag. 10 sent.).

Contro detta decisione ha proposto appello l’originario ricorrente, confutando la rilevanza delle nuove giustificazioni dell’atto impugnato formulate dalla resistente in corso di causa, insistendo nei motivi articolati in primo grado con specifico riferimento alle motivazioni risultanti dall’atto stesso e concludendo per la riforma della sentenza impugnata, anche quanto alla domanda risarcitoria.

Si è costituita in giudizio l’Azienda U.S.L. di Forlì, opponendosi all’accoglimento del ricorso, di cui eccepisce preliminarmente l’inammissibilità in relazione alla mancata impugnazione di alcuni capi della sentenza di primo grado.

Non si sono costituite in giudizio le controinteressate evocate.

Con memorie conclusive rispettivamente in data 31 gennaio e 1° febbraio 2011 l’appellata e l’appellante hanno formulato ulteriori osservazioni in fatto ed in diritto, a sostegno delle rispettive tesi.

Con memoria in data 4 febbraio 2011 l’Azienda USL ha replicato alla memoria difensiva avversaria.

Quest’ultima ha a sua volta replicato con scritto difensivo in data 7 febbraio 2011.

La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 18 febbraio 2011.

2. – L’appello è in parte inammissibile ed in parte infondato.

2.1 – Va, anzitutto, condivisa la prospettazione di parte appellata, secondo cui l’appello è limitato, mediante riproposizione dei primi due motivi del ricorso di primo grado, al solo capo di sentenza, con il quale è stata dichiarata la legittimità della deliberazione D.G. n. 92/2005 sotto il profilo dell’adeguatezza della motivazione, nonché al capo consequenziale relativo alla reiezione della domanda risarcitoria.

Limiti all’effetto devolutivo dell’appello, per effetto del giudicato interno che così viene a formarsi, derivano poi, rileva il Collegio, dalla mancata proposizione, con l’atto introduttivo del secondo grado di giudizio, di qualsivoglia censura relativamente alle statuizioni della sentenza impugnata concernenti:

– la posizione del ricorrente come di "mero aggiudicatario provvisorio" della gara oggetto del contestato atto di annullamento (che non sono certo sufficienti a ritualmente contrastare le affermazioni contenute nell’atto di appello circa il valore di vincolo convenzionale attribuibile nella fattispecie al verbale di gara, che, già svolte col ricorso di primo grado, sono state disattese dal T.A.R. con articolata motivazione, nient’affatto sottoposta a pertinenti e puntuali critiche, limitandosi l’appellante alla mera riproposizione del tema difensivo);

– la non necessità "di una particolare ed approfondita motivazione" in sede di annullamento dell’atto di aggiudicazione provvisoria, in quanto "atto endoprocedimentale, per sua natura inidoneo a radicare una situazione di stabile affidamento nel suo destinatario" (pag. 8 sent.);

– la correttezza, nella fattispecie, dell’esercizio dello specifico potere di autotutela, in relazione al "meno rigoroso onere motivazionale che ne consegue" (pag. 10 sent.);

– l’insindacabile discrezionalità amministrativa, che caratterizza "la scelta tra le possibili modalità gestionali di un servizio pubblico", in concreto operata dall’Amministrazione con la discussa deliberazione laddove essa, con la seconda delle argomentazioni poste a base della stessa, "ha esplicitato la propria intenzione di voler gestire il servizio di cui si tratta non a mezzo di un rapporto contrattuale d’appalto, bensì avvalendosi di soggetti accreditati ai sensi delle norme citate" (pag. 10 sent.).

Né all’assenza nell’atto di appello di qualsivoglia critica alla sentenza impugnata sotto i veduti profili possono supplire le precisazioni svolte dall’appellante "in merito al momento di annullamento della procedura" e "sulla corretta facoltà di ritiro degli atti di gara" con la memoria in data 1 febbraio 2011 (nonché con la successiva memoria di replica del 7 febbraio 2011), atteso che le censure dalle stesse risultanti non sono state ritualmente e tempestivamente spiegate né con il ricorso in appello, né con eventuali successivi motivi aggiunti debitamente notificati; né, d’altra parte, esse, in assenza nell’atto di appello di qualsiasi prospettazione in tale direzione, possono essere considerate una mera (questa sì ammissibile) esplicazione delle critiche alla sentenza impugnata formulate con l’atto di appello medesimo.

2.2 – Ciò posto, le predette statuizioni devono intendersi, come già detto, passate in giudicato e non sono più controvertibili in questa sede, con effetti non solo di delimitazione dell’àmbito di cognizione affidato a questo Giudice di appello, ma anche di inammissibilità della riproposizione dei vizii motivazionali della deliberazione oggetto del giudizio denunciati sin dal primo grado, nella misura in cui l’esame degli stessi presuppone il superamento dei paletti di ordine motivazionale posti dalla sentenza di primo grado nella parte facente ormai stato tra le parti.

In particolare, dalla su riferita inoppugnata qualificazione del provvedimento oggetto del giudizio, operata dal T.A.R. sulla base della seconda delle argomentazioni poste a suo sostegno (quella secondo cui la procedura in oggetto è stata rivolta al reperimento dell’erogatore di un servizio sanitario pubblico e che l’erogazione di un siffatto servizio pubblico sanitario da parte dei privati è ammessa con le forme ed i modi previsti dagli artt. 8 bis e ss. D.Lgs. n. 502/1992 e s.m.i.), come atto di sostanziale "ripensamento" della stazione appaltante a favore di un diverso modello organizzativo del servizio già oggetto della gara (che peraltro, secondo le incontestate affermazioni del T.A.R., costituisce legittimo motivo di autoannullamento dell’aggiudicazione a prescindere dallo stesso "carattere necessitato o meno" dell’opzione compiuta), deriva che la mera riproposizione, da parte dell’appellante, di puntuali riferimenti normativi (in particolare quello all’art. 29 della legge n. 488 del 2001) a sostegno dell’iniziale opzione della gara non risulta utile alla pretesa dell’appellante medesimo di veder dichiarata la legittimità della formula della erogazione di pubblici servizii, anche di natura sanitaria, tramite l’indizione di gare pubbliche e dunque la legittimità della gara originariamente indetta nel caso all’esame e la corrispondente illegittimità del successivo atto di annullamento della stessa; e ciò perché una siffatta legittimità, quand’anche affermata, non potrebbe comunque portare all’annullamento dell’atto oggetto del giudizio, in quanto essa non varrebbe comunque a supplire alla mancata contestazione, già del resto rilevata dal T.A.R., della validità e legittimità in sé della modalità "accreditamento" poi scelta dall’Azienda sanitaria (di cui il T.A.R. ha, come s’è visto, ritenuto irrilevante la stessa questione del suo "carattere necessitato o meno"), così come alla mancata rituale contestazione, in sede di appello, della veduta affermazione della "insindacabile discrezionalità amministrativa" spettante all’Amministrazione, secondo il Giudice di primo grado, in sede di scelta tra le possibili modalità gestionali di un servizio pubblico.

2.3 – Del resto, anche a voler prescindere dalla inammissibilità che per tal verso deriva alle censùre svolte avverso il veduto secondo "corno" motivazionale del provvedimento oggetto del giudizio, le stesse si rivelano infondate.

In sostanza, come ha rilevato il T.A.R., con la seconda delle anzidette argomentazioni l’Azienda ha esplicitato la propria intenzione di voler gestire il servizio di cui si tratta non a mezzo di un rapporto contrattuale d’appalto, bensì avvalendosi di soggetti accreditati ai sensi degli artt. 8bis e ss. del D. Lgs. n. 502/1992.

Rileva anzitutto in proposito il Collegio che il secondo "considerando" della contestata deliberazione, laddove fa riferimento, come unica (e possibile) modalità di erogazione del "pubblico servizio sanitario da parte di privati", alle "forme ed i modi previsti dagli artt. 8 bis e ss. D.Lgs. n. 502/1992 e s.m.i.", non può che intendersi riferito, come correttamente ritenuto dal T.A.R., al rapporto di accreditamento, che rappresenta appunto una delle possibili, specifiche, opzioni previste dal legislatore per soddisfare specifiche esigenze del servizio sanitario nazionale.

Nell’ambito del S.S.N., invero, i livelli essenziali ed uniformi di assistenza sono assicurati dai presidii direttamente gestiti dalle aziende unità sanitarie locali, dalle aziende ospedaliere, dalle aziende universitarie, dagli istituti di ricovero e cura di carattere scientifico (art. 8bis del d.lgs. n. 502/1992), nonché dai "soggetti accreditati ai sensi dell’art. 8, quater" del d.lgs. predetto.

Con il sistema dell’accreditamento, com’è noto, la struttura privata, in possesso di specifici requisiti preventivamente accertati per l’erogazione di prestazioni stabilite in via convenzionale, concorre, in virtù di atto concessorio, nella gestione del servizio pubblico di assistenza e cura, nel rispetto delle scelte e per il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalla programmazione sanitaria a livello nazionale e regionale (Cons. St., VI, 18 gennaio 2010, n. 125).

L’erogazione delle prestazioni, una volta intervenuto l’atto di accreditamento, avviene in posizione paritaria con le strutture pubbliche ed in regime di "libera scelta" da parte dei cittadini "del luogo di cura e dei professionisti nell’ambito dei soggetti accreditati con cui siano stati definiti appositi accordi contrattuali" (cfr., sui principii, Cons. St., Sez. IV, n. 241 del 26.01.2004; Sez. V, n. 1633 del 29.03.2004).

Del resto, nel caso all’esame, il "considerando" in questione fa esplicito ed univoco riferimento alla "erogazione di pubblico servizio sanitario da parte dei privati", ch’è espressione del tutto omogenea con quello "esercizio di attività sanitarie per conto del Servizio sanitario nazionale", che l’art. 8bis, comma 3, del D. Lgs. n. 502/1992 subordina appunto all’accreditamento istituzionale, di cui al successivo art. 8quater.

Che poi tale modalità di gestione (che abilita il soggetto pubblico o privato, già autorizzato ad erogare prestazioni sanitarie, a svolgerle con remunerazione a càrico del servizio sanitario regionale: Cons. St., V, 14 settembre 2010, n. 6685) sia l’unica possibile, nella fattispecie all’esame, per l’erogazione delle prestazioni sanitarie rientranti nel pubblico servizio da parte di soggetti privati (i cui interessi corrispondono, com’è noto, a logiche esclusivamente imprenditoriali) e che di conseguenza sia da escludersi, nel caso in questione, la possibilità di scelta del soggetto prestatore con le régole dell’evidenza pubblica, risulta ad avviso del Collegio evidente ove si tenga conto che la possibilità, riconosciuta alle aziende sanitarie, di attivare forme di partnerariato pubblicoprivato (anche di tipo puramente contrattuale) per l’esercizio di compiti strumentali allo svolgimento dei còmpiti di istituto (Cons. St., V, 8 agosto 2003, n. 4594) nonché per l’esercizio delle stesse attività di cura e di assistenza alla persona (Cons. St., V, 23 ottobre 2007, n. 5587) rientra nell’ambito delle Sperimentazioni gestionali disciplinate dall’articolo 9bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, aggiunto dall’art. 11 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, successivamente sostituito dall’art. 10 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 ed ulteriormente modificato dall’art. 3 del D.L. 18 settembre 2001, n. 347; sperimentazioni, queste, della cui intervenuta programmazione da parte della Regione non v’è traccia alcuna né nella documentazione in atti né nelle difese delle parti in causa.

Se è vero, infatti, che la disposizione di cui all’art. 9bis citato non prevede affatto un divieto assoluto di esternalizzazione dell’attività di cura alla persona, essa segna pur sempre, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. St., V, n. 5587/2007, cit.), due chiare regole:

– l’affidamento a terzi deve risultare conforme alle linee del programma di sperimentazione gestionale approvato dalla competente amministrazione sanitaria (condizione che non risulta soddisfatta nel caso all’esame);

– i soggetti terzi, che possono svolgere materialmente i compiti di cura diretta alla persona devono essere parti dell’accordo di sperimentazione e non sono autorizzati a coinvolgere altri soggetti per l’attività direttamente riferibile alla cura alla persona (del che non si discute nella presente controversia).

2.3.1 – Si deve concludere sul punto, pertanto, che, non vertendosi nell’àmbito di sperimentazione delle nuove forme gestionali, nessuna esternalizzazione di alcune attività di cura ed assistenza sanitaria istituzionalmente spettanti alle AA.SS.LL. poteva realizzarsi in favore di privati, salvo il ricorso, come appunto correttamente ritenuto dall’Azienda appellata in sede di adozione del provvedimento oggetto del giudizio, al tradizionale istituto dell’accreditamento, che, nel rispetto degli standards minimi di offerta del servizio sanitario, consente alla sede privata di produzione di prestazioni sanitarie di rivestire concretamente o di acquistare la condizione di contraente per conto o con il servizio pubblico, anche sotto il profilo del prezzo dell’attività resa al sistema pubblico (remunerazione).

Né rileva in senso contrario il pur invocato (da parte appellante) art. 29 della legge n. 448/2001 (che, al comma 1, lett. a) e c), autorizza le pubbliche amministrazioni ad acquistare sul mercato i servizi, originariamente prodotti al proprio interno, a condizione di ottenere conseguenti economie di gestione, ovvero ad attribuire a soggetti di diritto privato già esistenti, attraverso gara pubblica, ovvero con adesione alle convenzioni stipulate ai sensi dell’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e dell’articolo 59 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, lo svolgimento dei servizi svolti in precedenza), giacché, in disparte la stessa dubbia applicabilità di detta disposizione al campo delle attività sanitarie in presenza della disciplina speciale recata dall’art. 9bis citato, resta il fatto che la norma resta, di fatto, inattuabile, in assenza della emanazione del regolamento previsto dal successivo comma 4.

2.4 – Una volta così verificata l’inammissibilità (e comunque l’infondatezza) delle censure rivolte avverso il secondo degli argomenti posti a base del provvedimento impugnato, la sentenza oggetto di gravame risulta condivisibile laddove richiama (anche su questo punto senza contestazioni in sede di appello) il principio secondo il quale, a fronte di un atto amministrativo di segno negativo che fondi la decisione reiettiva su una pluralità di ragioni ostative (ciascuna delle quali risulterebbe di per sé idonea a supportarlo), l’impugnativa svolta in sede giurisdizionale avverso tale decisione non possa trovare accoglimento se anche uno solo dei motivi di doglianza resista (come appunto resiste nel caso all’esame) alle censure mosse (Cons. St., VI, 26 luglio 2010, n. 4684); donde l’inammissibilità per carenza di interesse della riproposizione delle doglianze rivolte avverso il veduto primo ordine di motivazioni.

2.5 – Per quanto concerne, invece, la censura con la quale viene eccepita la "totale infondatezza della terza motivazione addotta da parte resistente", svolta con ulteriore motivo di appello con riferimento al programma regionale per l’assistenza odontoiatrica approvato un mese prima della conclusione della gara oggetto di autoannullamento (nemmeno peraltro impugnato con motivi aggiunti in primo grado) e che secondo le difese formulate in giudizio dall’Azienda sanitaria l’avrebbe indotta a cambiare orientamento circa le modalità dello svolgimento del servizio oggetto della gara stessa, essa è inammissibile per carenza di interesse, non risultando detta nuova "giustificazione" dell’atto impugnato (effettivamente introdotta solo in sede contenziosa) in alcun modo presa in considerazione dal T.A.R. ai fini della reiezione del ricorso; né tale nuovo ordine di argomentazione risulta, come s’è visto, in qualche modo rilevante nemmeno nella presente sede di appello.

3. – La pronuncia in epigrafe risulta, in definitiva, meritevole di conferma per la parte in cui ha respinto il ricorso proposto avverso la delibera n. 92/2005, rilevando la insussistenza dei vizi denunciati.

3.1 – Quanto alla riproposizione in appello della domanda risarcitoria, anch’essa va respinta.

Invero, una volta escluso dal T.A.R. con efficacia di giudicato, come s’è visto, che, in ragione della veduta qualificazione della posizione dell’odierno appellante come mero aggiudicatario provvisorio, potesse dirsi insorto tra le parti un vincolo contrattuale (dal quale potesse nascere il diritto soggettivo dell’aggiudicatario alla esecuzione del contratto), non si versa in ipotesi di responsabilità contrattuale per illecito scioglimento del vincolo od inadempimento delle obbligazioni dallo stesso derivanti.

Nemmeno, poi, alla luce della richiamata posizione di aggiudicatario provvisorio, può dirsi ravvisabile nella fattispecie una ipotesi di responsabilità precontrattuale, che, pur configurabile in astratto anche in presenza di una révoca legittima degli atti di gara nel caso di affidamento suscitato nell’impresa (in tal senso la più recente giurisprudenza amministrativa: Cons. Stato, Ad. plen., 5 settembre 2005, n. 6; Id., sez. V, 30 novembre 2007, n. 6137; Id., sez. V, 8 ottobre 2008, n. 4947), secondo un consolidato orientamento, dal quale il Collegio non ritiene di discostarsi (Cass. Civ., Sez. I, 18.6.2005, n. 13164; Cons. St., A.P. 5.9.2005, n. 6; Sez. IV, 11.11.2008, n. 5633; da ultimo, Cons. St., V, 8 settembre 2010, n. 6489), non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente, nella fase, cioè, in cui gli interessati non hanno ancora la qualità di futuri contraenti, ma soltanto quella di partecipanti alla gara e vantano esclusivamente una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione, mentre non sussiste una relazione specifica di svolgimento delle trattative (Cass. S.U. 26.5.1997, n. 4673).

Nel caso di specie, infine, nemmeno l’anzidetta posizione di interesse legittimo può dirsi esser stata illecitamente lesa (e dunque suscettibile di reintegrazione del danno relativo), alla stregua dell’accertamento giurisdizionale, compiuto in primo grado e confermato nella presente sede, che non ha ravvisato i vizi denunciati dal privato nel provvedimento di autotutela lesivo della posizione stessa; il che preclude ogni valutazione in ordine all’azione di risarcimento ascrivibile a responsabilità aquiliana.

4. – La peculiarità della fattispecie, caratterizzata da novità della materia controversa, consente di disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese e degli onorarii del presente grado di giudizio.
P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, in parte lo respinge ed in parte lo dichiara inammissibile nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, conferma, la sentenza impugnata.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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