Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-02-2011) 23-03-2011, n. 11564 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.R. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza, in data 1.10.2009, della Corte di Appello di Trieste che, in parziale riforma della sentenza 20.7.2005 del Tribunale di Udine, sez. dist. di Palmanova, riqualificava il reato originariamente contestatogli, ai sensi dell’art. 640 c.p. e art. 61 c.p., n. 7, quale reato di cui all’art. 646 c.p. e art. 61 c.p., n. 11 (perchè, quale collaboratore della società MIAL s.r.l., effettuava una fornitura di mobili in favore di società in realtà inesistente, facendo depositare la merce presso altra società di cui era socio al fine di appropriarsene), confermando la condanna alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 200,00 di multa, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e riducendo ad Euro 3.000,00 l’importo liquidato in favore della parte civile, a titolo di risarcimento del danno. Il ricorrente deduceva:

1) mancata assunzione di prova decisiva; la revoca dell’ordinanza ammissiva della testimonianza di tale S.E., aveva impedito di accertare l’assunto difensivo in ordine al credito vantato dall’imputato nei confronti della società MIAL che gli avrebbe consegnato la fornitura di mobili in questione per compensare il credito stesso;

2) erronea applicazione della legge penale per difetto del dolo relativo al reato di appropriazione indebita e per la mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4; la sussistenza di detto credito del ricorrente escludeva l’ingiusto profitto e l’esiguo valore della merce (pari ad Euro 2.600,00), poi restituita alla società MIAL, comportava l’applicazione di detta attenuante;

3) intervenuta prescrizione del reato di appropriazione indebita, essendo decorsi sei anni ed undici mesi dalla sua commissione nel febbraio del 2003.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha respinto dette doglianze del ricorrente con corretta e logica motivazione, laddove ha evidenziato il difetto di prova e la inverosimiglianza della tesi difensiva, secondo la quale sarebbe intercorso un accordo con l’amministratore della società MIAL per una compensazione dei crediti del C. con merce della società stessa. Legittimamente, quindi, è stata rigettata la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale con l’audizione di detto testimone, avuto riguardo, peraltro, al fatto che non era stata chiesta dalla difesa l’escussione dell’amministratore societario che avrebbe potuto confermare o smentire l’esistenza dell’accordo dedotto.

L’ingiusto profitto è insito nella condotta ascritta all’imputato, posto che, come rilevato nella sentenza impugnata, al responsabile commerciale non è lecito stornare, in proprio favore, merce di cui ha il potere di disporre nell’interesse e per conto della società.

Del tutto generica e, come tale, inammissibile, è la doglianza sulla mancata applicazione dell’art. 62 c.p., n. 4 che, fra l’altro, non risulta richiesta in appello. La inammissibilità dei motivi di ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, di conseguenza, la possibilità di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato maturata successivamente (il 28.8.2010) alla sentenza impugnata. (Cass. S.U. n. 32/2000). Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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