Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-06-2011, n. 12456 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza dell’8 luglio 2006, la Corte d’Appello di Napoli accoglieva il gravame svolto da G.M.L. e Z. L. contro la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con il datore di lavoro interposto, l’ente Opere Pie Riunite.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

– G.M.L. e Z.L., docenti non di ruolo alle dipendenze dell’ente Opere Pie Riunite, presso la scuola materna (OMISSIS), svolgenti attività didattica e di pulizia dei locali fino al 1985, e da tale epoca fino alla risoluzione del rapporto di lavoro solo di insegnamento, deducevano che, sotto la comminatoria di un licenziamento, erano state costrette a costituire una società semplice, per la gestione della scuola materna, alla quale l’ente convenuto aveva erogato nel corso degli anni contributi di diverso ammontare e chiedevano, pertanto, sul presupposto dell’illecita intermediazione di manodopera, l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, del diritto all’inquadramento nel 4^ livello del ccnl del personale direttivo docente e non docente delle scuole materne e la condanna dell’ente OO.PP.RR al pagamento delle spettanze maturate;

il primo giudice rigettava la domanda sul presupposto che nella stessa prospettazione delle ricorrenti non esisteva un rapporto di lavoro alle dipendenze di soggetto interposto in quanto non era dedotta la subordinazione con la società Madre Teresa di Calcutta, ma solo un rapporto societario.

3. Per la Corte di merito, G. e Z. erano, in realtà, dipendenti dell’ente Opere Pie Riunite, che gestiva la scuola (OMISSIS), tramite S.A., membro del consiglio di amministrazione, che esercitava potere gerarchico e organizzativo per conto dell’ente che si occupava della scuola e delle sue insegnanti; la società Madre Teresa di Calcutta non aveva alcuna autonomia, nè mezzi propri, onde la sua creazione era meramente strumentale; l’accordo con l’ente, con la previsione di esclusione di rapporti di subordinazione, era coerente con l’intento elusivo dell’intermediazione, essendo risultato dimostrato che la scuola era gestita dall’ente predetto a cui facevano capo le insegnanti e chi lavorava per la scuola; durata del rapporto e orario di lavoro non erano contestati, ed erano risultati provati dall’istruttoria espletata; infine, il conteggio elaborato dal consulente tecnico alla stregua del ccnl di categoria, quale parametro per la liquidazione equitativa delle spettanze alle lavorataci, era condiviso, per il periodo 1/1/81-30/6/93 ( Z.) e 1/11/76-19/3/89 ( G.).

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale l’ente Opere Pie Riunite, in persona del legale rappresentante pro tempore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi, illustrato con memoria. Si sono costituite, con controricorso, illustrato con memoria, le intimate e hanno eccepito inammissibilità ed improcedibilità del ricorso, ex artt. 366 bis e 369 c.p.c..
Motivi della decisione

5. Con tre articolati motivi di ricorso, parte ricorrente denuncia omessa e insufficiente motivazione sull’insussistenza del rapporto di lavoro; sulla sussistenza dei relativi presupposti, caratteri ed effetti; sul concreto atteggiarsi delle parti; violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e artt. 1321 e 1322 c.c.; illogicità, conteaddittorietà e manifesta ingiustizia della sentenza impugnata (primo motivo); omessa ed insufficiente motivazione della sentenza nella valutazione delle prove; violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c.; illegittimità e nullità della sentenza (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. (terzo motivo).

6. Le censure sono inammissibili per la mancata formulazione del quesito di diritto, ex art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, trattandosi di impugnazione avverso una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006, data dalla quale si applicano le modifiche al processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e in vigore fino al 4 luglio 2009 ( L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d e art. 58, comma 5; ex multis, Cass. 7119/2010; Cass. 20323/2010).

7. Nè l’unico quesito formulato, a corredo del terzo motivo, soddisfa la funzione propria del quesito di diritto, di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (ex multis, Cass. 8463/2009), investendo la ratio decidendi della sentenza impugnata e proponendone una alternativa e di segno opposto (ex multis, Cass. 4044/2009).

8. Inoltre, questa Corte regolatrice, alla stregua della già citata disposizione dell’art. 366 bis c.p.c., è fermissima nel ritenere che, a seguito della novella del 2006, per le censure previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

9. Ciò importa, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. Nè è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo.

10. Conclusivamente, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente rammissibilità del ricorso (in argomento, ex multis, Cass. 27680/2009).

11. Inoltre, ove con un unico articolato motivo d’impugnazione, siano denunziati vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, tale censura è ammissibile solo se corredata da quesiti che contengano un reciproco rinvio, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (v., ex multis, Cass., SU 7770/2009).

12. Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, da distrarsi in favore dell’Avv. Di Gioia dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 20,00 oltre Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. da distrarsi in favore dell’Avv. Di Gioia dichiaratosi antistatario.

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