Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-02-2011) 23-03-2011, n. 11561 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 12.3.2010 la Corte d’Appello di Catania decidendo a seguito di annullamento con rinvio della sentenza della Corte di Appello di Catania del 7.6.2007 in riforma della sentenza del GUP presso il Tribunale di Catania del 1 novembre 2005, qualificato il fatto come violazione dell’art. 379 c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, concesse le circostanze attenuanti generiche, determinava nei confronti di S.C. la pena in anni 1 mesi 4 di recl.. La Corte territoriale confermava la sentenza impugnata nella parte relativa alla ricostruzione del fatto e al giudizio di responsabilità dell’imputato, ritenendo però di doverne mutare la qualificazione in diritto, alla luce di quanto evidenziato nella decisione di annullamento della Suprema Corte che aveva affermato che la sentenza della Corte Territoriale del 7.6.2007 non aveva preso in considerazione le censure dedotte nei motivi d’appello con i quali sì adducevano specifici argomenti idonei, in tesi, a dimostrare quale fosse il reale animo di S.C. in tale operazione. In particolare la Corte di Cassazione evidenziava: che il pagamento della residua somma che il C. doveva corrispondere risultava essere già stata accettato dalla vittima, che ne stava soltanto ritardando l’effettuazione; e in secondo luogo che lo S. aveva ottenuto un risultato favorevole al C., dato che quest’ultimo non consegnò l’intera somma di L. 10 milioni definita nella precedente attività estorsiva, scomputando da questa l’importo di un assegno (pari a L. 3.380.000) datogli dal P. per l’acquisto di elettrodomestici, risultato privo di fondi, tanto da suscitare la collera del L..

Sulla scorta di tali indicazioni la Corte Territoriale affermava che l’imputato, fuori da un concorso nell’illecito estorsivo, con la sua condotta aveva favorito gli estorsori, i quali erano stati i soli a commettere l’illecito nell’ambito delle attività delinquenziali da ricondurre ad un gruppo specifico della malavita organizzata di stampo mafioso (quello URSO/BOTTARO), nell’ottenimento di quella ulteriore parte del profitto illecito (la somma di L. 10 milioni da cui era stata defalcata, ad iniziativa dello S. quella di L. 3.380.000 che il P. doveva a C.A. per un debito pregresso) già determinato nel quantum di quella estorsione che era già stata perfezionata e delineata nei suoi momenti esecutivi senza alcun intervento dell’imputato. Lo condannava pertanto per favoreggiamento reale per avere con la propria condotta aiutato gli autori dell’estorsione in corso ai danni del C. a conseguire l’intero profitto economico dell’illecito, così modificando l’originaria imputazione.

La Corte concludeva per la sussistenza dell’aggravante sottolineando come l’attività svolta dallo S. veniva, nella di lui piena consapevolezza e determinazione volitiva, ad avvantaggiare le finalità perseguite dai componenti di una specifica associazione delinquenziale di stampo mafioso (il gruppo URSO/BOTTARO), consentendo loro di conseguire il profitto patrimoniale dell’illecito commesso.

Ricorre per Cassazione il difensore di S.C. deducendo che la sentenza impugnata:

1. è affetta da mancanza di motivazione. Sostiene il ricorrente che la Corte di Cassazione aveva ritenuto la sentenza di merito viziata da mancanza di motivazione sul punto inerente la valutazione del reale animus dell’imputato. I giudici in sede di rinvio, pur in presenza di una precisa statuizione nella sentenza di annullamento, che imponeva loro la verifica del dolo della fattispecie, hanno arrestato il loro sindacato di merito esclusivamente sull’evento della riscossione senza motivare in punto di elemento psicologico, omettendo in tal modo di uniformarsi alla sentenza della Suprema Corte. In particolare sottolineava il ricorrente come la Corte territoriale nel giudizio di rinvio aveva omesso di valutare, se l’intento dell’imputato fosse stato quello di ottenere un vantaggio in via esclusiva per il clan ovvero se fosse stato mosso dalla necessità di tutelare i propri interessi di imprenditore che opera in un territorio controllato dalla cosca e al contempo aiutare un amico cadutone vittima. Sottolinea come tale valutazione fosse necessaria anche con riguardo al dolo di favoreggiamento.

2. è affetta da mancanza di motivazione anche con riguardo al dolo specifico della ritenuta aggravante.

3. incorsa in violazione di legge per mancata riduzione per la scelta del rito.

I primi due motivi sono infondati. L’atto di impugnativa è anzitutto volto a censurare la mancata osservanza, da parte del giudice a quo, del principio di diritto asseritamente affermato con la pronuncia di questa Corte con la quale venne annullata la sentenza della Corte d’Appello di Catania del 7.6.2007.

Giova premettere che secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, "in tema di sindacato del vizio della motivazione il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre." (Cass. SS.UU., 29.1.96 n. 930, Clarke, RV. 203428). Conseguentemente, il giudice del rinvio, avuto riguardo ai limiti propri del giudice di legittimità, conserva nel merito piena autonomia di giudizio nella ricostruzione dei dati di fatto e nella valutazione di essi, ed è vincolato solo dall’obbligo di motivare, colmando i vuoti motivazionali additati ed evitando le incongruenze logiche rilevate nella sentenza annullata, senza essere vincolato da valutazioni di merito eventualmente sfuggite al giudice di legittimità nelle proprie argomentazioni (in senso conforme Cass., Sez. 1, 7.7.97 n. 1066, Ursini; Cass. Sez. 1 n. 803/98; Cass. Sez. 1 n. 8242/99; n. 42990/08 Rv 241823).

Infatti se è vero che il giudice di rinvio ha un obbligo assoluto ed inderogabile di uniformarsi al principio di diritto affermato nella sentenza della Corte di cassazione, giacchè quel principio, in quanto immodificabile da parte del giudice e sottratto ad ulteriori mezzi di impugnazione, acquista autorità di giudicato interno per il caso di specie (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 3, 29 ottobre 1998, Schiavone, m. 212423), è altrettanto vero che un simile effetto vincolante potrà scaturire soltanto dal "principio di diritto" che, non a caso, a norma dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2, deve essere specificamente enunciato nella sentenza di annullamento con rinvio, e non da qualsiasi affermazione esplicativa della ratio decidenti o, meno ancora, da singoli sviluppi argomentativi che si limitino a scandagliare i vizi del provvedimento annullato ma non forniscano, in sè, le indicazioni riparatorie in punto di legittimità. In tale prospettiva appare quindi evidente che l’indicazione di questa Corte che sottolineava come la sentenza annullata non aveva preso in considerazione le censure dedotte nell’atto d’appello con le quali si adducevano specifici argomenti idonei in tesi a dimostrare quale fosse il reale animus dell’imputato in tale operazione, in particolare evidenziando: che il pagamento della residua somma che il C. doveva corrispondere risultava essere già stata accettato dalla vittima, che ne stava soltanto ritardando l’effettuazione; e in secondo luogo che lo S. aveva ottenuto un risultato favorevole al C., dato che quest’ultimo non consegnò l’intera somma di L. 10 milioni definita nella precedente attività estorsiva, scomputando da questa l’importo di un assegno (pari a L. 3.380.000) datogli dal P. per l’acquisto di elettrodomestici, risultato privo di fondi, tanto da suscitare la collera del L.l. dal profilarsi quale "principio di diritto" vincolante per il giudice del rinvio, finisce per integrare null’altro che un enunciato logico teso ad evidenziare le ragioni per le quali la sentenza annullata non poteva ritenersi legittima.

La Corte d’Appello di Catania in sede di rinvio ha indicato che tutte le modalità della condotta, specificatamente ricostruita, induce ragionevolmente a ritenere che sia stato fuori dalle intenzioni dello S. (il cui ruolo non era stato diverso da quello in precedenza assolto da un dipendente del C., tale PL.) il rendersi partecipe e concorrente nell’estorsione da altri commessa, essendosi solo prestato ad intervenire in un secondo momento al fine di consentire agli estorsori il conseguimento dell’intero profitto economico dell’illecito che è stato lo specifico oggetto dell’incarico allo stesso affidato da L. R. e da P.R.. Perveniva quindi alla condanna dell’imputato per favoreggiamento reale per avere con la propria condotta aiutato gli autori dell’estorsione in corso ai danni del C. a conseguire l’intero profitto economico dell’illecito, così modificando l’originaria imputazione. Ebbene, e contrariamente a quanto deducono i ricorrenti, l’approfondita disamina che la sentenza impugnata ha svolto in ordine alle intenzioni dello S. che ha agito per consentire agli estorsori il conseguimento dell’intero profitto economico dell’illecito e che ha portato ad una modifica dell’imputazione è sostenuta da motivazione più che congrua e del tutto esente da censure sul piano logico argomentativo.

Allo stesso modo la Corte territoriale ha congruamente motivato in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7.

E’ pacifico che l’aggravante in argomento non può essere ravvisata, quasi per automatismo, nel semplice fatto che l’agente, con la condotta posta in essere, ha in qualche modo "agevolato" una persona facente parte di un sodalizio criminoso, ma è necessario che la azione superi il rapporto interpersonale e sia diretta ad agevolare l’attività di questo sodalizio, con piena coscienza da parte dell’agente della prospettiva in cui si muove; se tale coscienza difetta o se non sono acquisiti elementi che conclamino la direzione lesiva della condotta incriminata anche verso l’obiettivo di "agevolare l’attività dell’associazione", deve escludersi la ravvisabilità dell’aggravante in questione.

Nel caso in esame come indicato dalla Corte di merito l’attività svolta dall’imputato veniva, nella di lui piena consapevolezza e determinazione volitiva, ad avvantaggiare le finalità perseguite dai componenti di una specifica associazione delinquenziale di stampo mafioso (il gruppo URSO/BOTTARI) consentendo loro di conseguire il profitto patrimoniale dell’illecito commesso.

Deve essere accolto il terzo motivo di ricorso. La Corte territoriale nella determinazione della pena non ha operato la riduzione per la scelta del rito abbreviato.

La sentenza deve pertanto essere annullata senza rinvio limitatamente alla mancata riduzione per il rito e rideterminata la pena in mesi 10 gg. 20 di recl..
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio, limitatamente alla mancata riduzione per il rito, e determina la pena in mesi 10 gg. 20 di rei. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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