Cons. Stato Sez. V, Sent., 21-03-2011, n. 1728 decisione amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso, in epigrafe indicato, al T.A.R. Piemonte le Associazioni Confcommercio, F.I.P.E. e A.N.G.E.M. hanno impugnato l’art. 19, commi 2 e 5, del capitolato generale d’oneri per la fornitura di beni e servizi e l’art. 19, penultimo comma, del capitolato speciale d’appalto, richiamati dal bando della "GARA 2", procedura aperta di appalto pubblico di servizi, indetta il 31.8.2009 dalla Regione Piemonte – Azienda OspedalieroUniversitaria "San Giovanni Battista di Torino", per la gestione globale del servizio di ristorazione e nutrizione collettiva per degenti, dipendenti e altri utenti dell’Azienda stessa per un periodo di anni quattro, così come rettificati con avvisi inviati alla GUCE il 10.12.2009; inoltre i capitolati generali d’oneri per la fornitura di beni e servizi e speciale d’appalto, il bando che li richiama, e ogni qualsivoglia altro atto presupposto, consequenziale e connesso.

Con altro ricorso, pure in epigrafe indicato, la E.S.- S. s.p.a. ha impugnato presso detto T.A.R. la determinazione del 10.12.2009 con cui stono stati modificati l’art. 19 del Capitolato Generale e l’art. 19 del Capitolato Speciale di Appalto relativo a detta procedura aperta.

Il citato T.A.R., riuniti i due ricorsi, li ha accolti in parte e per l’effetto ha accertato e dichiarato l’iniquità della clausola impugnata, come modificata nell’avviso di rettifica 10/12/2009, nella parte in cui non esplicitava che, in mancanza di accordo derogatorio, si applicavano comunque i termini di legge e (nei sensi di cui in motivazione) nella parte in cui prevedeva quali parametri di possibile deroga concordata i "flussi finanziari di cassa in entrata a disposizione di questa azienda" e "i tempi tecnici strettamente necessari alle verifiche dell’esistenza del debito".

Con il ricorso in appello in epigrafe indicato le Associazioni Confcommercio, F.I.P.E. e A.N.G.E.M. hanno chiesto la riforma di detta sentenza, deducendo i seguenti motivi:

1.- Violazione di legge e grave contraddittorietà della motivazione.

Con atto depositato il 7.6.2010 si è costituita in giudizio la Azienda OspedalieroUniversitaria "San Giovanni Battista di Torino", che ha chiesto che l’appello sia dichiarato inammissibile o improcedibile, ovvero che sia respinto.

Con memoria depositata il 9.6.2010 le parti ricorrenti hanno ribadito tesi e richieste.

Con memoria depositata l’1.7.2010 l’Azienda resistente ha eccepito la improcedibilità del ricorso per carenza di interesse delle parti appellanti (per essere state modificate, sulla base del dispositivo n. 30 del 2010 relativo alla sentenza in questa sede impugnata, le clausole di cui agli artt. 19 del Capitolato Generale e del Capitolato Speciale di Appalto con determinazione del 27.4.2010) e per inattualità dell’interesse stesso (essendo il pregiudizio lamentato eventuale, futuro ed incerto); inoltre ha dedotto la infondatezza del ricorso, concludendo per la reiezione.

Con ordinanza 7 luglio 2010 n. 3165 la Sezione ha respinto la istanza di emanazione di misure cautelari.

Con memoria depositata il 16.11.2010 l’Azienda resistente ha ribadito tesi e richieste.

Con memoria di replica depositata il 19.11.2010 le parti appellanti hanno affermato la sussistenza e l’attualità dell’interesse all’accoglimento dell’appello ed hanno ribadito tesi e richieste.

Alla pubblica udienza del 3.12.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.
Motivi della decisione

1.- Con il ricorso in appello, in epigrafe specificato, le Associazioni Confcommercio, F.I.P.E. e A.N.G.E.M. hanno chiesto l’annullamento della sentenza del T.A.R. Piemonte – Torino, Sezione I, n. 02346/2010, con la quale, dopo essere stati riuniti i ricorsi proposti da esse Associazioni e dalla E.S.- S. s.p.a. in relazione ad una clausola della procedura aperta di appalto pubblico di servizi, indetta dalla Regione Piemonte – Azienda OspedalieroUniversitaria "San Giovanni Battista di Torino", per la gestione globale del servizio di ristorazione e nutrizione collettiva per degenti, dipendenti e altri utenti dell’Azienda, sono stati accolti in parte e, per l’effetto, è stata accertata e dichiarata l’iniquità della clausola impugnata, come modificata nell’avviso di rettifica 10/12/2009, nella parte in cui non esplicitava che, in mancanza di accordo derogatorio, si applicavano comunque i termini di legge e, nei sensi di cui in motivazione, nella parte in cui prevedeva quali parametri di possibile deroga concordata i "flussi finanziari di cassa in entrata a disposizione di questa azienda" e "i tempi tecnici strettamente necessari alle verifiche dell’esistenza del debito".

2.- Innanzi tutto la Sezione esclude la condivisibilità della eccezione di improcedibilità del ricorso formulata dalla difesa della resistente Azienda per carenza di interesse delle parti appellanti (per essere state modificate, sulla base del dispositivo n. 30 del 2010 relativo alla sentenza in questa sede impugnata, le clausole di cui agli artt. 19 del Capitolato Generale e del Capitolato Speciale di Appalto con determinazione del 27.4.2010).

La spontanea esecuzione della pronuncia di primo grado, immediatamente esecutiva, non determina infatti acquiescenza e pertanto non si configura come comportamento idoneo ad escludere la persistenza dell’interesse dell’originario ricorrente alla declaratoria di illegittimità degli atti oggetto del giudizio, che potranno dirsi definitivamente superati dai nuovi atti adottati dall’Amministrazione in esecuzione della sentenza di primo grado solo allorché le statuizioni di questa siano confermate dal giudice di appello (Consiglio Stato, sez. V, 26 febbraio 2010, n. 1148).

3.- In secondo luogo il Collegio valuta insuscettibile di positiva valutazione la ulteriore eccezione formulata dalla difesa della Azienda de qua per inattualità dell’interesse stesso (essendo il pregiudizio lamentato eventuale, futuro ed incerto).

Le Associazioni di categoria appellanti tutelano, in base all’art. 8 del D. Lgs. n. 231/2002, le imprese rappresentate dalla iniquità delle condizioni generali di contratti ai sensi del precedente art. 7 ed in particolare, con l’appello in esame, l’interesse di esse imprese a che, nel contrattare con quella aggiudicataria le condizioni dell’accordo derogatorio, l’Azienda resistente possa limitarsi, in violazione del D. Lgs. n. 163/2006, a precisare che, in caso di mancato accordo, saranno applicati i termini di legge, non indicando ex ante i termini dell’accordo stesso sui tempi di pagamento e sulla decorrenza e misura degli interessi.

Il pregiudizio derivante dalla impugnata sentenza non è, invero, meramente eventuale, nei confronti delle parti appellanti, perché essa di per sé è direttamente in grado di arrecare una lesione concreta ed attuale alla sfera giuridica di dette Associazioni, nella loro qualità di Organi posti a tutela dell’interesse delle imprese rappresentate a conoscere ex ante i termini dell’accordo derogatorio relativo alla gara de qua.

4.- Nel merito va osservato che con l’unico, complesso, motivo di appello le Associazioni di categoria in epigrafe indicate hanno censurato la impugnata sentenza laddove ha ritenuto di poter procedere ad una riduzione ad equità della impugnata clausola, mediante una sua parziale modifica nel senso che, nel rispetto degli intenti dichiarati dalla stessa Amministrazione in giudizio, espliciti che, in mancanza di successivo accordo, troveranno applicazione i termini di legge.

4.1.- Con una prima censura è stato posto in dubbio che il T.A.R., che ha sostituito l’art. 19 dei due capitolati e che ha in proposito giurisdizione esclusiva, potesse di fatto sostituirsi all’Amministrazione nella formulazione di una clausola di capitolato.

4.1.1.- Il Collegio, a prescindere dalla verifica di concreto interesse delle parti appellanti alla proposizione del motivo in esame, osserva in proposito che, ai sensi dell’art. 7, comma 3, del D. Lgs. n. 231/2002, è consentito al Giudice di dichiarare nullo, anche d’ufficio, l’accordo gravemente iniquo in danno del creditore e di applicare i termini legali o ricondurre ad equità i termini dell’accordo stesso.

Il primo Giudice ha premesso che la tutela demandata alle Associazioni di categoria dall’art. 8 di detto D.Lgs. porta ad inibire l’uso di condizioni generali di contratto qualora prefigurino clausole derogatorie della disciplina protettiva inique dal punto di vista commerciale; tale tutela è stato ritenuto che debba essere coordinata con le regole di svolgimento delle gare di appalto, che, sotto un profilo un profilo squisitamente contrattuale, per la loro naturale complessità ben possano prefigurare la specifica regolamentazione contrattuale, ovvero sollecitare l’offerta del concorrente: l’Amministrazione potrà limitarsi a individuare una regolamentazione dei tempi e modi di pagamento (in questo modo costruendo una sorta di condizione generale di contratto cui la controparte partecipando aderisce) ovvero potrà, proprio sullo specifico profilo dei tempi e modi di pagamento, ed esattamente come normalmente avviene per il prezzo, invitare il concorrente a formulare, sulla base di individuati e legittimi parametri, un’offerta secondo lo schema dell’invito ad offrire.

Tanto evidenzia la correttezza, sotto l’esaminato aspetto, dell’operato del T.A.R. che, in applicazione della giurisdizione di merito prevista da detto art. 7 del D. Lgs. n. 231/2002, ha inteso ricondurre ad equità il contenuto della regolamentazione contrattuale prevista per l’appalto de quo.

4.2.- Con una seconda censura è stata evidenziata contraddittorietà della motivazione della impugnata sentenza, laddove afferma che sarebbero le imprese concorrenti a dover formulare una offerta contenente una modulazione dei termini di pagamento delle fatture e della decorrenza e misura degli interessi moratori, per contrasto con la ratio legis della direttiva comunitaria di cui il D.Lgs. n. 231/2002 costituisce recepimento.

Gli accordi in deroga sono minuziosamente disciplinati da essa direttiva e dal citato D. Lgs. di recepimento, che ne precisano anche il contenuto di merito e ne indicano le concrete applicazioni di carattere oggettivo e non soggettivo (nel senso che non devono essere connesse a particolari esigenze della parte committente).

Le circostanze che inducono la P.A. ad optare per l’accordo in deroga devono essere rese pubbliche già con il bando e i collegati documenti contrattuali, in base al tenore del codice degli appalti, e non in un momento successivo, perché possa essere subito consentita la verifica della sua legittimità.

Pertanto la posposizione al momento della stipula del contratto della conoscenza della natura dell’accordo derogatorio è contraria alla legge (dovendo l’accordo derogatorio non solo essere conforme alla direttiva comunitaria ed al Codice degli appalti – artt. 11, 63 e 64 – ma anche immediatamente verificabile, sia dalle parti interessate che dal Giudice) ed espressione di comportamento non trasparente (in violazione dell’art. 2 del Codice degli appalti), ma, sostanzialmente, anche inutile (anche se integrata da quanto stabilito nella impugnata sentenza circa l’applicazione dei termini di legge nell’ipotesi di mancato raggiungimento di accordo in deroga) atteso che l’aggiudicatario non può avere interesse ad accettare un accordo in deroga con condizioni peggiorative rispetto a quelle di legge.

Comporterebbero quindi violazione di legge le soluzioni adottate dall’Azienda e dal T.A.R., in violazione delle prescrizioni del Codice degli appalti, laddove non è prevista la indicazione ex ante dei termini dell’accordo derogatorio sui tempi di pagamento e sulla decorrenza e misura degli interessi (da specificare in concreto), con vanificazione del diritto attribuito alle Associazioni di impugnare le condizioni generali dell’accordo derogatorio.

Non sarebbe infatti consentita la stipula tra P.A. ed il privato di accordi derogatori (per mancanza della fase precontrattuale) e comunque è all’Amministrazione che dovrebbe competere la loro proposizione e non al concorrente, pena la violazione delle norme sulla concorrenza che deve esplicitarsi sul solo prezzo e non sulle condizioni di pagamento in deroga.

4.2.- Osserva al riguardo il Collegio che con la impugnata sentenza il T.A.R. ha ritenuto che l’Amministrazione può individuare una regolamentazione dei tempi e modi di pagamento (costruendo una sorta di condizione generale di contratto cui la controparte partecipando aderisce) oppure può, con riguardo al profilo dei tempi e modi di pagamento e come normalmente avviene per il prezzo, invitare il concorrente a formulare, sulla base di individuati e legittimi parametri, un’offerta secondo lo schema dell’invito ad offrire. Ciò fermo restando che, ai sensi dell’art. 64 e dell’allegato IX A del D.Lgs. n. 163/2006, l’individuazione delle modalità di pagamento o dei parametri per determinarli nel contesto della gara costituisce un elemento che il bando deve prendere in espressa considerazione in attuazione della normativa comunitaria.

Ha aggiunto il Tribunale che da un punto di vista negoziale è evidente, nel complesso della disciplina di cui al D Lgs. n. 231/2002, che non vi sia assoluta incompatibilità tra la predefinizione unilaterale di clausole contrattuali e la loro strutturazione in deroga ai tempi e modi di pagamento previsti dal D Lgs. stesso, purché in aderenza al dettato dell’art. 7 del medesimo. Ciò è stato ritenuto dimostrato dall’art. 8 del citato D. Lgs., che, nell’approntare una tutela collettiva avanzata avverso le condizioni generali unilateralmente predisposte ( art. 1341 c.c.) in deroga ai parametri di legge, prevede che le stesse possano essere sindacate preventivamente rispetto alla conclusione del contratto, su impulso delle associazioni di categoria. Il sindacato si svolge ex lege in applicazione dei parametri dell’art. 7, cui l’art. 8 rinvia, ed il combinatodisposto normativo ha senso solo se si ammette che anche la condizione generale di contratto può astrattamente contenere una legittima deroga ai parametri legali, salva la sua sindacabilità preventiva alla luce dell’art. 7 del D. Lgs. in questione.

Ha quindi aggiunto il T.A.R. che diverso trattamento non può essere riservato alla condizioni generali di contratto solo perché predisposte da una Amministrazione in sede di gara, a patto che la clausola unilateralmente predisposta deroghi alla normativa restando tuttavia aderente al dettato normativo che la legittima e purché sia giustificata da ragioni oggettive che contemplino la "corretta prassi commerciale", ovvero la "natura della merce o dei servizi" la "condizione dei contraenti e i rapporti commerciali tra i medesimi". Ciò anche in ipotesi di aggiudicazione secondo la schema del prezzo più basso, considerato che il mero valore economico di un credito può essere complessivamente quantificato anche alla luce dei suoi tempi di scadenza e connessi interessi moratori, come normalmente avviene nelle operazioni di sconto dei crediti.

Ha quindi proceduto il Giudice di prime cure alla riduzione ad equità della clausola (ritenendo tale soluzione rispettosa dell’esigenza di non censurare l’Amministrazione ricorrente per il semplice fatto di avere preso una iniziativa astrattamente legittima, dall’altra della necessità, per le parti ricorrenti, di evitare squilibri contrattuali concretamente possibili a proprio danno), parzialmente modificandola nel senso che, nel rispetto degli intenti dichiarati dalla stessa amministrazione in giudizio, espliciti che, in mancanza di successivo accordo, avrebbero trovato applicazione i termini di legge.

Il T.A.R. ha ritenuto di eliminare così "l’ambiguità della legge di gara stigmatizzata dalla società ricorrente" e "di fare salva la volontà dell’amministrazione, concretamente espressa in termini di intenti, di provocare una successiva contrattazione sui termini di pagamento e sul saggio di interesse" procedendo "in modo più aderente possibile a quanto statuito dalla stazione appaltante" e "salvaguardando la scelta di prefigurare una possibile successiva contrattazione nei limiti in cui questa non crei un vuoto nella disciplina contrattuale."

4.3.- La Sezione non condivide tutte le argomentazioni e le conclusioni cui è giunto il Giudice di prime cure.

Invero i soggetti pubblici non possono essere completamente equiparati, ai fini che interessano, agli operatori privati, e la disposta parziale modifica della clausola che espliciti che, in mancanza di successivo accordo, troveranno applicazione i termini di legge, appare in contrasto sia con la ratio della direttiva comunitaria recepita dal D.Lgs. n. 231/2002 che con i principi di cui al D. Lgs. n. 163/2006, in particolare con quelli fissati dagli artt. 2, 11, 63 e 64 del medesimo D.Lgs., in base ai quali l’intento della P.A. di proporre un accordo in deroga deve essere reso pubblico già con il bando e la lex specialis, e non successivamente, al momento della stipula del contratto, perché possa essere subito consentita alle parti, alle Associazioni di cui all’art. 8 del D. Lgs. n. 231/2002 ed al Giudice la verifica della sua legittimità.

A nulla vale che la clausola, richiamando il D. Lgs. n. 231/2002, rinvii ai parametri previsti dall’art. 7 del D. Lgs. stesso, perché le disposizioni ivi contenute, laddove sono individuate le caratteristiche dell’accordo iniquo, configurano mere prospettazioni di massima (ingiustificato obiettivo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore e tempi di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto a quelli concessi) inidonee a consentire "ex ante", all’atto della emanazione della "lex specialis" della gara, come dovuto in base ai principi fissati dal D.Lgs. n. 163/2006, la equità delle clausole previste.

5.- L’appello deve essere conclusivamente accolto e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, va accolto il ricorso originario proposto dinanzi al T.A.R. Piemonte dalle Associazioni di cui trattasi e va annullata la determinazione della intimata Azienda ospedaliera di rinviare solo in sede di successiva stipulazione del contratto, e non all’atto della predisposizione della "lex specialis", la contrattazione dei termini di pagamento e del saggio degli interessi di mora, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura del servizio oggetto del contratto, ai flussi finanziari di cassa in entrata a disposizione dell’azienda e ai tempi tecnici necessari alle verifiche dell’esistenza del debito (liquidazione fatture).

6.- La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, accoglie l’appello in esame e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso originario proposto dalle Associazioni Confcommercio, F.I.P.E. e A.N.G.E.M. dinanzi al T.A.R. Piemonte nei termini e nei sensi di cui in motivazione.

Compensa integralmente le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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