Cons. Stato Sez. V, Sent., 21-03-2011, n. 1708 Controversie in materia elettorale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il sig. G.M., agendo in proprio nonché nella qualità di candidato alla carica di sindaco del Comune di Calvi per la lista "Rinascita Democratica Calvese" alle elezioni amministrative del 2728 marzo 2010, in esito alle quali era risultato eletto altro candidato, il sig. Armando Rocco della lista "Per Calvi", impugnava dinanzi al T.A.R. per la Campania, unitamente agli atti di autentica delle firme dei candidati e sottoscrittori delle due liste sue concorrenti ("Per Calvi" e " Insieme per cambiare Calvi"), e all’ammissione delle medesime liste alla competizione elettorale, la proclamazione degli eletti, ed infine la successiva deliberazione consiliare del 15 aprile 2010 di convalida degli eletti.

A sostegno della domanda giudiziale venivano dedotti i seguenti motivi di diritto:

Violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 1, della L. 21.3.1990 n. 53, dell’art. 28 del d.P.R. 16.5.1960 n. 570, degli artt. 21septies e octies della L. 7.8.1990 n.241 – Incompetenza assoluta e relativa – Eccesso di potere per inosservanza della circolare del Ministero dell’Interno circa le "istruzioni per la presentazione e l’ammissione delle candidature per l’elezione diretta del Sindaco e del Consiglio comunale" – Eccesso di potere per illogicità, ingiustizia, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti – Violazione del principio di legalità – Violazione dell’art. 97 della Costituzione.

Si costituivano in giudizio in resistenza all’impugnativa le intimate amministrazioni ed i controinteressati individuati in epigrafe, i quali proponevano anche ricorso incidentale, a loro volta contestando la legittimità della (ri)ammissione della candidatura a sindaco e della lista di parte ricorrente alle elezioni comunali per cui è causa.

Il Tribunale adito con la sentenza n. 17265\2010 in epigrafe dichiarava irricevibile il ricorso.

Contro tale pronuncia veniva proposto dal sig. M. il presente appello.

Resistevano al gravame anche in questa fase il Comune di Calvi, l’Amministrazione dell’Interno (che si limitava ad una produzione documentale) ed i controinteressati, i quali ultimi riproponevano anche il loro ricorso incidentale.

Le parti depositavano memorie difensive, insistendo nelle rispettive argomentazioni e richieste.

All’udienza pubblica del 1° febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

L’appello è infondato.

Il ricorso di primo grado meritava effettivamente di essere dichiarato irricevibile, come da eccezione sollevata dalle parti resistenti.

1 Va infatti osservato, come ha già fatto il primo giudice, che, ai sensi dell’art. 83/11, primo comma, del D.P.R. 16 maggio 1960 n. 570, il ricorso avverso le operazioni elettorali "deve essere depositato nella segreteria entro il termine di giorni trenta dalla proclamazione degli eletti". E si tratta di termine avente natura pacificamente decadenziale, che decorre – come precisato in giurisprudenza (Consiglio di Stato, A.Pl. n. 16 del 31.7.1996; Sezione V, 15.3.2001 n.1521; 28.12.1996 n. 1618) – dalla data di chiusura del relativo verbale, che, quale atto scritto conclusivo del procedimento elettorale, contiene la descrizione di tutte le operazioni compiute e delle determinazioni adottate, ivi compresa appunto la proclamazione degli eletti.

Nella specie, come risulta dalla documentazione versata in giudizio, detto verbale risulta essere stato perfezionato in data 30 marzo 2010: pertanto, da tale data ha preso a decorrere il richiamato termine decadenziale di trenta giorni per la proposizione del ricorso avverso le relative operazioni, scadenza che veniva dunque a spirare il 29 aprile 2010.

Il ricorso di primo grado, invece, è stato depositato soltanto il 14 maggio 2010, ben oltre il richiamato termine decadenziale e, pertanto, non può che essere dichiarato irricevibile per tardività.

Né potrebbe attribuirsi rilevanza, ai fini della decorrenza del termine perentorio per l’impugnativa di cui trattasi, alla successiva pubblicazione del manifesto contenente i risultati elettorali, effettuata ex art. 61 del citato D.P.R. n. 570/1960 (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 3.5.1989 n.256), per la semplice ragione che l’apposito art. 83/11 d.P.R. cit. fa espresso riferimento proprio all’atto di proclamazione degli eletti, e non già alla sua pubblicazione, alla quale deve, pertanto, riconoscersi valore di mera notizia. La proclamazione degli eletti costituisce quindi, inderogabilmente, il momento da cui decorre il termine per la proposizione del ricorso, a nulla rilevando che la conoscenza effettiva dell’atto lesivo, da parte dell’interessato, sia intervenuta in un momento successivo (Consiglio Stato, sez. V, 01 giugno 2001, n. 2976).

2 La stessa parte appellante ammette l’esattezza di principio delle suesposte argomentazioni. Essa tuttavia assume che il ricorso di prime cure presentava due elementi peculiari, i quali avrebbero dovuto sottrarlo ad un giudizio di tardività: in primis, l’allegazione della radicale nullità dell’autentica delle firme di cui ha fruito la lista dei controinteressati, per essere stata tale autentica compiuta da funzionario di un Comune diverso da quello interessato dalle elezioni (Calvi), e quindi inficiata da una condizione di difetto assoluto di attribuzione, causa di nullità provvedimentale ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990; in secondo luogo, l’avvenuta tempestiva impugnazione, con lo stesso ricorso, della deliberazione del Consiglio comunale di Calvi n. 1 del 15 aprile 2010 recante convalida degli eletti.

Queste argomentazioni non possono trovare adesione.

3 Partendo dalla disamina del secondo dei due rilievi appena esposti, la Sezione deve confermare l’insegnamento giurisprudenziale, rettamente applicato dal primo giudice, per cui ai fini dell’adizione del Giudice amministrativo in materia di operazioni elettorali non può valere a procrastinare il perentorio termine di trenta giorni per l’impugnazione ex art. 83/11, d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570, la circostanza che sia stata impugnata la deliberazione comunale di convalida degli eletti, in quanto trattasi di provvedimento ulteriore e successivo alla proclamazione medesima, laddove l’interesse all’azione sorge proprio con quest’ultimo atto, che sancisce l’esatta e definitiva posizione di ciascun candidato in esito alla consultazione, e non certo con la convalida, che attiene invece al concreto esercizio della carica elettiva (Consiglio Stato, sez. V, 20 dicembre 1996, n. 1578).

Si insiste con il presente atto di appello nel senso che la convalida degli eletti non sarebbe circoscritta alla verifica della mancanza di cause di ineleggibilità, ma costituirebbe, nel contempo, anche un vero e proprio provvedimento (di sanatoria in senso lato) riconducibile allo schema tipico dell’istituto generale della convalida di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990.

In altre parole, si assume che la convalida degli eletti sarebbe un atto dalla duplice valenza. Non varrebbe solo quale accertamento delle condizioni di eleggibilità dei singoli consiglieri, ma avrebbe anche, e per definizione, la funzione di sanare le eventuali illegittimità verificatesi durante le operazioni elettorali: e sotto questo profilo essa assumerebbe una valenza giuridica autonoma, una lesività immediata ed un’efficacia novativa, nel senso che il suo annullamento varrebbe a travolgerebbe lo stesso verbale di proclamazione degli eletti.

Questa impostazione è priva di fondamento normativo.

In via generale si rammenta che, ai sensi dell’art. 82, primo comma, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, e dell’art. 70 del d.lgs 267/2000, sono devolute alla cognizione del Giudice ordinario le controversie che abbiano ad oggetto le deliberazioni in materia di eleggibilità adottate dai competenti organi amministrativi e le azioni promosse per la decadenza dalla carica amministrativa locale da qualsiasi cittadino elettore. Per contro, ai sensi del successivo art. 83/11, primo comma, dello stesso d.P.R. n. 570\1960, e dell’art. 6 della legge 1034/1971, sono di competenza del Giudice amministrativo le impugnative concernenti le operazioni elettorali.

Sussiste, dunque, un netto discrimine tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa, spettando alla cognizione della prima le controversie concernenti le ineleggibilità, le decadenze e le incompatibilità, ossia questioni che vertono su diritti soggettivi perfetti, ed alla seconda tutte le controversie relative all’annullamento degli atti amministrativi attinenti alle operazioni elettorali.

Insegnamento altrettanto consolidato è che le operazioni elettorali si intendono concluse con l’atto finale del relativo procedimento, vale a dire l’atto di proclamazione degli eletti, dalla cui adozione decorre, come si è già detto, il termine abbreviato di trenta giorni per la proposizione dell’impugnativa avverso tutti gli atti della fase elettorale (cfr. Ad. Pl. C.d.S. n. 10/2005); per contro, avverso le deliberazioni adottate in materia di eleggibilità è prevista l’adizione del Giudice civile (art. 82 d.P.R. n. 570\1960); né la giurisdizione del G.O. incontra limitazioni o deroghe per il caso in cui la questione di eleggibilità venga introdotta, appunto, mediante impugnazione del provvedimento consiliare sulla convalida degli eletti, perché anche in tale ipotesi la decisione verte non sull’annullamento dell’atto amministrativo, bensì sul diritto soggettivo perfetto inerente all’elettorato attivo o passivo (si veda, tra le tante, Cassazione civile, sez. un., 09 novembre 2009, n. 23682).

Queste coordinate già valgono quale prima conferma del fatto che la c.d. convalida degli eletti è estranea al procedimento elettorale e attiene al periodo successivo, quello del concreto esercizio della carica elettiva (Consiglio di Stato, sezione V, 20.12.1996 n. 1578; cfr. anche 2.10.2009 n. 6003).

E’ però il caso di focalizzare specificamente l’attenzione sul testo dell’art. 41, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000, che recita: "Nella prima seduta il consiglio comunale e provinciale, prima di deliberare su qualsiasi altro oggetto, ancorché non sia stato prodotto alcun reclamo, deve esaminare la condizione degli eletti a norma del capo II titolo III e dichiarare la ineleggibilità di essi quando sussista alcuna delle cause ivi previste, provvedendo secondo la procedura indicata dall’art. 69."

La finalità della convalida degli eletti è quindi, testualmente, semplicemente quella di verificare la condizione degli eletti alla luce degli artt. 55 e segg. del T.U. del 2000, racchiusi nel capo che si occupa, appunto, di "Incandidabilità, ineleggibilità, incompatibilità" (analogo spettro connotava l’istituto, del resto, nel contesto del d.P.R. n. 570\1960: l’art. 75 faceva riferimento alla "condizionedegli eletti a norma degli articoli 14, 15, 16 e 17" della stessa fonte).

Nessuna indicazione normativa corrobora, di contro, l’idea, proposta dall’appellante, che la c.d. convalida abbia anche la ulteriore funzione di sanare le eventuali illegittimità verificatesi durante le operazioni elettorali.

L’assunto, oltre ad essere completamente privo di supporto normativo (il che già sarebbe decisivo), è smentito anche dal fatto che il Consiglio rinnovato attraverso le operazioni di voto non è un organo del procedimento elettorale, ma ne costituisce semmai il risultato. Ché, infine, ove davvero si trattasse di dover compiere una convalida in senso tecnico, ossia di valutare discrezionalmente l’opportunità di sanare, o meno, le operazioni elettorali, la relativa competenza non potrebbe certo essere assegnata proprio ai soggetti dichiarati eletti all’esito delle stesse operazioni, soggetti i quali sarebbero per definizione manifestamente privi di imparzialità ad occuparsi del tema.

Si può quindi concludere, sul punto, nel senso che la circostanza dell’essere stata tempestivamente gravata dall’odierno appellante la deliberazione del Consiglio Comunale di Calvi n. 1\2010 di convalida degli eletti non giova a riscattare l’impugnativa dalla tardività che la inficia rispetto alla proclamazione degli eletti.

4 Né merita adesione l’argomento della pretesa nullità delle autenticazioni accedenti alla presentazione della lista dei controinteressati, nullità da cui si pretenderebbe di fare discendere la conseguenza che l’intera consultazione elettorale ne sarebbe per ciò stesso travolta.

Parte ricorrente assume che nessuna attribuzione o potere amministrativo di autenticazione poteva riconoscersi ai funzionari dei Comuni di San Giorgio del Sannio e di San Nazzaro ai fini delle consultazioni amministrative presso il Comune di Calvi. Da qui la radicale nullità dell’autentica delle firme di cui ha fruito la lista dei controinteressati, siccome inficiata da una condizione di difetto assoluto di attribuzione, e, di riflesso, la nullità dell’intero complesso delle operazioni, onde la relativa impugnazione sarebbe stata affrancata dall’ordinario termine decadenziale (per casi simili varrebbe il termine di 180 giorni posto dall’art. 31 del nuovo CPA).

Come esattamente osserva la resistente difesa, tuttavia, il breve termine perentorio previsto in materia elettorale assolve la funzione, di preminente interesse pubblico, di pervenire alla definizione delle controversie elettorali in tempi certi e solleciti, così salvaguardando la esigenza di certezza dei risultati elettorali e di stabilità degli organi elettivi, e quindi il corretto funzionamento dei medesimi organi e, in ultima analisi, la stessa governabilità della collettività.

Ebbene, appare evidente come con tali essenziali valori confligga frontalmente l’impostazione proposta dall’appellante, che, al fine di sottrarsi al rigore del termine perentorio più volte detto, si spinge a predicare la nullità delle elezioni in contestazione.

L’itinerario argomentativo proposto dal ricorrente, peraltro, oltre a collidere nei suoi risultati con preminenti valori ordinamentali (la cui considerazione non potrebbe non spiegare influenza orientando l’interpretazione delle norme in vigore), è anche intrinsecamente incongruo.

Anche ad ammettere per un attimo, infatti, che le autentiche di cui si discute possano essere davvero nulle, e non semplicemente affette, al più, da un comune vizio di incompetenza (territoriale), comunque si imporrebbe la confutazione delle tesi dell’appellante.

La mancanza delle attestazioni, invero, alla stessa stregua di una loro comune illegittimità, si tradurrebbe nel risultato della illegittimità dell’ammissione della relativa lista alla consultazione: e tale illegittimità dovrebbe comunque essere dedotta, quale che fosse la tipologia del vizio che l’ha determinata, mediante ricorso da proporre avverso la proclamazione degli eletti nel rispetto dello speciale termine perentorio previsto dalla legge.

5 Per le considerazioni che precedono l’appello principale deve essere respinto, siccome infondato.

Dalla corretta declaratoria di irricevibilità della domanda principale è stato fatto infine rettamente discendere dal T.A.R. il corollario che i controinteressati perdevano l’interesse ad una pronuncia sul merito del proprio ricorso incidentale, in quanto questo, pur veicolando doglianze autonome, era processualmente dipendente dal ricorso principale. La sentenza appellata merita quindi conferma anche per la parte in cui il ricorso incidentale è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Sussistono ragioni tali da giustificare la compensazione delle spese processuali di questo grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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