Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-02-2011) 23-03-2011, n. 11631

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 25 marzo 2010 il Tribunale di Sorveglianza di Roma revocava, a far tempo dal 3 marzo 1990 e sino al termine del decorso della pena inflitta, la liberazione condizionale concessa a G.S. con provvedimento reso dal Tribunale di sorveglianza di Torino il 25.1.1988.

A sostegno della decisione il Tribunale argomentava che:

– il G., collaboratore di giustizia ed in espiazione della pena di anni 8 e giorni 25 di reclusione in regime di detenzione domiciliare, era stato ammesso nel 1988 al beneficio della liberazione condizionale con riferimento alla pena inflitta dalla Corte di Appello di Milano il 24.11.1983, pena ricompresa, nella misura di anni due, mesi quattro e giorni tredici di reclusione, nel cumulo in esecuzione;

– prima del decorso della pena inflitta in relazione alla quale al G. era stato appunto concessa la liberazione anticipata, l’interessato è stato condannato: a) con sentenza del 10.10.2003 del GIP del Tribunale di Milano, alla pena di anni 8 per i reati di rapina aggravata, violazione della legge sulle armi, ricettazione, reati questi consumati il 3.3.1990; b) con sentenza del 23.12.2004 del Tribunale di Milano, alla pena di anni 1, mesi 2 e giorni 20 di reclusione, per violazioni della legge sugli stupefacenti consumate tra il 1990 ed il 20.4.1993; c) con sentenza del 17.54.2004 della Corte di Assise si Appello di Milano, alla pena di anni 6 e giorni 20 di reclusione per due reati di omicidio, con la riconosciuta attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8, commessi il (OMISSIS);

– ricorrono pertanto le condizioni di cui all’art. 177 c.p. per la revoca del beneficio, giacchè il G. ha commesso i delitti di cui innanzi prima del decorso della pena inflitta (16 giugno 1990);

– va peraltro considerata la sentenza C. Cost. 25.5.1989 n. 282, la quale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 177 c.p., comma 1 ed in base ad essa apprezzata la condotta del G. dopo la consumazione delle predette condotte delittuose, condotta unanimemente riconosciuta di radicale trasformazione verso la normalità e caratterizzata dalla convinta e continua collaborazione con gli organi giudiziari;

– su tale premessa si riteneva di giustizia limitare la revoca al tempo decorrente dal 3 marzo 1990. 2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il G., con l’assistenza del difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento perchè viziato, a suo avviso, da violazione dell’art. 177 c.p. e da difetto di motivazione sul punto.

Denuncia, in particolare, la difesa ricorrente, che il Tribunale di sorveglianza di Milano, in data 5.6.1991, ha dichiarato espiata la pena inflitta dalla Corte di Appello di Milano per la trascorsa liberazione condizionale pari ad anni due, mesi quattro e giorni tredici e che tale statuizione, in quanto di natura giurisdizionale ed in quanto incidente su diritti di libertà, era ed è, allo stato, irrevocabile, con la conseguenza ulteriore che il provvedimento di revoca impugnato ha violato la regola del ne bis in idem, invocabile anche nel caso di specie.

3. Con motivata requisitoria scritta il P.G. in sede ha concluso per il rigetto del ricorso, perchè corrette le argomentazioni illustrate dal tribunale a sostegno della decisione.

4. Il ricorso è fondato.

La difesa ricorrente fonda le sue doglianze su due argomenti, il primo riferito al giudicato che si assume consolidatosi sulla pronuncia del Tribunale di sorveglianza che il 5.6.1991 dichiarò espiata la pena inflitta nel 1983 a carico del G., il secondo relativo alla parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla pronuncia del giudice della L. n. 418 del 1998. La prima censura è infondata. E’ infatti interpretazione ampiamente consolidata quella secondo cui anche nel procedimento di sorveglianza trova applicazione il principio generale della revocabilità dei provvedimenti giurisdizionali quando risulti, successivamente alla loro adozione, che la situazione fenomenica che li aveva giustificati era in realtà diversa. Pertanto, anche in mancanza di una espressa previsione, è consentito rivalutare i presupposti per la concessione di un beneficio già concesso quando si alleghi la sussistenza di una situazione di fatto diversa rispetto a quella presa in esame dai primi giudici, sulla cui decisione, qualora l’assunto risulti dimostrato, non può operare alcuna preclusione. Diversa valutazione merita invece la seconda censura.

L’art. 177 c.p. deve essere infatti letto ed interpretato alla luce della richiamata pronuncia del giudice delle leggi, il quale ha solennemente affermato che "è costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost. e art. 27 Cost., comma 3, l’art. 177 c.p., comma 1, nella parte in cui prevede la revoca della liberazione condizionale nel caso di condanna per qualsiasi delitto o contravvenzione della stessa indole, anzichè stabilire che la liberazione condizionale è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio, in quanto – posto che l’istituto della liberazione condizionale s’inserisce decisamente nell’ambito della finalità rieducativa della pena – il carattere automatico di quello che è il primo gruppo d’ipotesi in cui per legge deve darsi luogo alla revoca ("delitti" e "contravvenzioni della stessa indole") è in contrasto con una ragionevole applicazione del principio rieducativo tenuto conto che, anche se non può dirsi preclusa in senso assoluto al legislatore la potestà di assumere determinate condanne come criterio per escludere l’ammissione del condannato a determinati benefici e per sancire la revoca di benefici già ottenuti, occorre tuttavia che tali criteri siano sufficientemente circoscritti, in modo da non dar luogo a irragionevoli parificazioni e da non precludere, nelle ipotesi meno gravi, la funzione rieducativa della pena; sicchè, la parificazione operata dall’art. 177 c.p.p., comma 1, di tutti i delitti, senza alcuna selezione nell’ambito di questa vastissima categoria, è criterio che, collegato con l’automatica derivazione della revoca dalla condanna rende tale disposizione manifestamente illegittima, risultando da essa congiuntamente violati il principio rieducativo e quello di ragionevolezza".

Ai fini del presente giudizio deve pertanto osservarsi che ha omesso il Tribunale di valutare se ed in quale misura la consumazione dei reati richiamati nell’ordinanza abbiano inciso sul beneficio, ponendosi con esso in termini di incompatibilità ed in quale misura, altresì, si appalesi frustrato il principio rieducativo. L’ordinanza impugnata infatti ha fatto uso di un automatismo (se consumato un delitto della stessa indole il beneficio viene revocato) sconfessato dal giudice delle leggi e per questo espunto dal sistema, di guida che, in costanza delle condizioni portate dall’art. 177 c.p., comma 1, la revoca deve essere disposta soltanto se desumibili nella concreta fattispecie delibata l’incompatibilità di esse (condizioni) con il mantenimento del beneficio ovvero il motivato venir meno, a cagione dei commessi reati, delle finalità rieducative dell’istituto.

4. L’ordinanza impugnata va pertanto cassata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Milano, affinchè rivaluti la fattispecie dedotta in giudizio alla luce dei principi innanzi indicati ed illustrati.
P.Q.M.

la Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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