Cons. Stato Sez. V, Sent., 21-03-2011, n. 1706 Controversie in materia elettorale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A) – Con il gravame introduttivo del giudizio V.P., elettore iscritto nelle liste elettorali del comune di Genova e candidato alle elezioni per la carica di presidente della Giunta regionale e di consigliere regionale svoltesi in date 28 e 29 marzo 2010, nella circoscrizione genovese, per la lista Il popolo delle libertà, impugnava le risultanze elettorali, richiedendo un nuovo conteggio delle schede recanti voto a favore delle liste Il popolo delle libertà e Liste civiche per Biasotti, con accertamento del suo diritto ad essere proclamato consigliere regionale e parziale annullamento dell’atto di proclamazione degli eletti alle cariche di presidente della Giunta regionale e di consigliere regionale.

All’esito delle elezioni il candidato ricorrente, conseguendo 2824 voti di preferenza, aveva ottenuto la seconda posizione nella graduatoria dei candidati della predetta lista, risultando il primo dei non eletti, di fronte alle 3171 preferenze assegnate al candidato F.R., con un limitato scarto (347 voti) legittimante l’azione proposta tramite un nuovo conteggio delle schede elettorali.

Deduceva, pertanto, le seguenti censure:

– violazione degli artt. 11, legge n. 108/1968, e 2, d.l. n. 29/2010, nonché dei principi di tutela della volontà elettorale, proporzionalità e trasparenza; eccesso di potere per difetto d’istruttoria, contraddittorietà, sviamento e travisamento, in quanto il manifesto contenente l’ordine dei simboli all’interno delle schede elettorali sarebbe stato pubblicato soltanto due giorni prima delle elezioni, creando una situazione di confusione legittimante un nuovo computo delle preferenze;

– violazione degli artt. 1, 11, 13 e 15, legge n. 108/1968, 57, t.u. n. 570/1960, nonché degli analoghi principi e profili di eccesso di potere di cui sopra, in quanto in sede di spoglio i presidenti di seggio avrebbero seguito soluzioni differenti, annullando la preferenza accordata al ricorrente e connessa alla diversa lista Liste civiche per Biasotti e tenendo conto solo del voto di lista sulla scorta del predetto art. 57, non applicabile alle elezioni regionali.

L’amministrazione intimata ed il controinteressato R., costituitisi in giudizio, chiedevano la declaratoria di inammissibilità ed il rigetto del gravame proposto dal P., che si sarebbe visto annullare numerosi voti, in quanto il nome sarebbe stato abbinato ad altra lista, cui i seggi avrebbero riservato il voto in base all’art. 57, t.u. n. 570/1960, cit., per un difforme comportamento fra i diversi seggi.

Il R. depositava pure note di replica illustrative, in cui argomentava circa le proprie tesi difensive.

B) – I primi giudici respingevano il ricorso con sentenza poi impugnata dal P. soccombente in prime cure per errore di giudizio quanto all’onere della prova nei processi elettorali (governati dal principio dispositivo con metodo acquisitivo), travisamento, violazione dell’art. 47, d.P.R. n. 445/2000, ed omessa valutazione di singoli profili di eccesso di potere (contraddittorietà e vizio istruttorio quanto all’indicazione delle sezioni elettorali in esame; carente presupposto, illogicità e sviamento, in rapporto a dichiarazioni giurate del privato ed ai diversificati criteri seguiti dai presidenti dei vari seggi elettorali); violazione dei principi di tutela della volontà elettorale (sovranità popolare e rappresentatività) e degli artt. 1, 11, 13 e 15, legge n. 108/1968, modif. ed integr. artt. 1 e 2, legge n. 43/1995, e dell’art. 57, d.P.R. n. 570/1960, in presenza dell’incontrovertibile volontà espressa mediante l’indicazione del nome e del cognome del candidato, essendo ormai divenuti incompatibili i sistemi elettorali comunale e regionale a preferenza unica; errore di giudizio nell’applicazione dell’art. 11, legge n. 108/1968, modif. art. 2, d.l. n. 2/2010 (c.d. decreto salva liste), non convertito ma i cui effetti sarebbero stati sanati dalla legge n. 60/2010, mancando la prova dell’effettiva pubblicazione del nuovo manifesto in tutti i comuni della provincia di Genova entro le ore 24 del giorno 22 marzo 2010, non bastando a tal fine la comunicazione in pari data della locale Prefettura.

L’appellato R. si costituiva in giudizio e resisteva al gravame, spiegando pure appello incidentale quanto ai generici motivi del ricorso introduttivo (non correttamente valutati dal T.a.r. ligure come insufficienti a radicare il necessario interesse personale a coltivarlo) ed attinenti alla c.d. prova di resistenza (art. 101, comma 2, c.p.a.), per l’impossibilità di un raggiungimento o superamento dei voti (3.171) ottenuti dal R. da parte del P. (in possesso di 2.824 preferenze), difendendo l’impugnata sentenza (quanto all’onere probatorio, richiamando gli artt. 115 e 116, c.p.c., e l’art. 64, c.p.a.), richiamando giurisprudenza asseritamente conforme alle sue tesi difensive (cfr. C.S., sez. IV, dec. n. 3358/2008, dec. n. 304/2008 e dec. n. 4020/2005; sez. V, dec. n. 3430/2008, dec. 6135/2006, dec. n. 5643/2006 e dec. n. 1210/1991; sez. VI, dec. n. 121/2007) e considerando irrilevante la magari differente collocazione dei contrassegni di lista sui manifesti e sulle schede.

Anche il Ministero dell’interno, l’Ufficio centrale regionale e l’Ufficio centrale circoscrizionale si costituivano in giudizio con la difesa erariale e resistevano all’appello principale del P., che depositava una sua memoria riepilogativa, dopodiché la vertenza passava in decisione all’esito dell’udienza di discussione.
Motivi della decisione

L’appello è infondato e va respinto, dovendosi condividere le corrette argomentazioni espresse dai primi giudici.

I) – In generale, anche rispetto alle eccezioni preliminari formulate in termini di inammissibilità per genericità delle censure, in materia elettorale, sebbene l’onere del ricorrente di specificazione dei motivi debba essere valutato con rigore attenuato, in quanto subisce un necessario temperamento posto che le fasi in cui si svolge il complesso procedimento elettorale non sono tutte immediatamente conoscibili da parte del soggetto legittimato al ricorso, tuttavia detto onere non può essere del tutto dimenticato, consentendo la formulazione di motivi generici estrinsecantisi esplorativamente nella denuncia di vizi coincidenti con mere illazioni o affermazioni apodittiche della parte interessata.

È, infatti, impegno dell’interessato indicare con precisione la contestazione nonché la natura del vizio denunciato e tutto ciò non in termini astratti, ma in rapporto a fattispecie prospettate con sufficiente grado di concretezza.

D’altro canto, proprio l’onere di specificità dei motivi assolve a quello del principio di prova, giacché l’analiticità delle contestazioni è essa stessa indizio dell’attendibilità della ricostruzione che sorregge, in punto di fatto, la formulazione delle doglianze di diritto, volendosi evitare che l’astratta deduzione di vizi si trasformi in un mero espediente per provocare sic et simpliciter un inammissibile riesame complessivo delle operazioni di scrutinio dinanzi al giudice amministrativo.

II) – In tal senso, la precisione dei motivi non può scendere al di sotto di una soglia minima che consenta di filtrare i ricorsi meramente esplorativi, ossia quelli proposti al buio ed unicamente miranti a sollecitare l’effettuazione da parte del giudicante di accertamenti istruttori (verificazioni) diretti ad una rinnovata ed integrale ripetizione, in sede contenziosa, di gran parte delle complesse operazioni del procedimento elettorale, confidando nella possibilità di un’emersione postuma di talune delle irregolarità denunciate (cfr. C.S., sezione V, dec. n. 3430/2008).

Nella specie, effettivamente, la formulazione delle domande e delle relative deduzioni appariva all’evidenza generica, laddove si richiedeva il ricalcolo di tutte le sezioni e delle relative preferenze in contestazione, mentre dalla documentazione allegata ed invocata a sostegno emergevano alcune indicazioni sul fatto che le presunte irregolarità sarebbero avvenute in alcune determinate sezioni.

Peraltro, tralasciando le dichiarazioni prive di indicazione delle sezioni, le altre riguardavano ciascuna un talmente elevato numero di circoscrizioni che, in termini sostanziali, non pochi dubbi potevano sorgere sulla relativa attendibilità.

La dichiarazione ex art. 47, t.u. 28 dicembre 2000 n. 445 è, per definizione, sostitutiva dell’atto di notorietà, per cui è ammissibile, in quanto abbia per oggetto fatti di per sé notori, ossia pacifici e di dominio pubblico o comunque palesi e, come tali, facilmente e sicuramente verificabili, ancorché possa risultare oneroso ed inutilmente complicato fornirne la prova documentale; in effetti, la funzione di tale istituto (il tradizionale atto di notorietà o per esso la dichiarazione sostitutiva) è quella di semplificare gli oneri di documentazione e non già di conferire efficacia probatoria a dichiarazioni aventi ad oggetto fatti dei quali solo il dichiarante possa essere a conoscenza.

L’art. 2, d.P.R. n. 445/2000, cit., a sua volta, chiarisce che le dichiarazioni sostitutive di certificazioni relative a stati, qualità personali e fatti esulano dall’ambito della prova civile, riguardando la produzione di atti e documenti agli organi della p.a. nonché ai gestori di pubblici servizi, nei rapporti tra loro e in quelli con l’utenza, ed ai privati consenzienti.

III) – Conseguentemente, al pari della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà prevista dall’art. 4, legge n. 15/1968, a tali dichiarazioni sostitutive viene negata qualsiasi rilevanza, sia pure indiziaria, nel processo civile, qualora costituiscano l’unico elemento esibito in giudizio per provare un elemento costitutivo dell’azione o dell’eccezione, atteso che la parte non può trarre elementi di prova a suo favore, ai fini del soddisfacimento dell’onere di cui all’art. 2697, c.c., da proprie dichiarazioni non asseverate da terzi (cfr. Cass. civ., sez. I, sent. n. 26937/2006).

Inoltre, sempre nel processo civile, la dichiarazione sostitutiva di notorietà posta in essere da un terzo ha, secondo la giurisprudenza, la stessa rilevanza di una scrittura da lui proveniente: costituisce, pertanto, semplice indizio, idoneo ad integrare il fondamento della decisione in concorso con altre risultanze istruttorie, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito (cfr. Cass. civ., sez. I, sent. n. 19354/2005).

In generale, anche rispetto alle eccezioni preliminari formulate in termini di inammissibilità per genericità delle censure, in materia elettorale, sebbene l’onere del ricorrente di specificazione dei motivi debba essere valutato con rigore attenuato, in quanto subisce un necessario temperamento, dato che le fasi in cui si svolge il complesso procedimento elettorale non sono tutte immediatamente conoscibili da parte del soggetto legittimato al ricorso, tuttavia detto onere non può essere del tutto dimenticato, consentendo la formulazione di motivi generici estrinsecantisi esplorativamente nella denuncia di vizi coincidenti con mere illazioni o affermazioni apodittiche della parte interessata.

IV) – Nel processo amministrativo sono emerse alcune indicazioni meno rigorose, dato che il giudice non può essere vincolato alle risultanze di un atto notorio, proveniente peraltro dalla parte, potendo questo costituire un indizio da valutare nel quadro complessivo delle circostanze emerse in fase istruttoria (cfr. C.S., sez. IV, dec. n. 4020/2005): nel ricorso avverso i risultati elettorali, in cui vengano dedotte specifiche doglianze, la dichiarazione sostitutiva di atto notorio potrebbe essere presa in considerazione come principio di prova, ai fini dell’accertamento dell’effettiva esistenza dei fatti, fermo restando il potere del giudice di disporre gli opportuni atti istruttori per l’acquisizione delle prove necessarie.

In ogni caso, l’esame della relativa rilevanza ed ammissibilità in termini di deduzioni va svolto con rigore, sia perché in generale l’art. 2, d.P.R. n. 445/2000, rende evidente il rilievo limitato al procedimento amministrativo, sia in presenza di dichiarazioni che nella specie assumano un oggetto particolarmente esteso e generico in relazione alle circostanze, cosicché l’attendibilità delle stesse meriterebbe un vaglio approfondito, pertinente, peraltro, a differenti giurisdizioni.

Nella specie, la pluralità di sezioni cui fa riferimento ciascun dichiarante e la pluralità di differenze invocate escludono, per la maggior parte delle deduzioni, la possibilità di giungere ad un vaglio positivo, in termini di rilevanza probatoria, anche in rapporto al differente comportamento tenuto dai vari seggi, donde l’irrilevanza di gran parte degli atti notori, che perdono altresì ogni rilievo in quanto, anche ove dovesse attribuirsi rilievo probatorio ad alcuni (quelli meno generici) degli stessi, il presupposto invocato, cioè l’erronea applicazione della norma attribuente preminenza al voto di lista, sarebbe contrario alla disciplina vigente ed alla relativa interpretazione giurisprudenziale.

V) – In materia elettorale, infine, se l’elettore vota una lista ma indica preferenze per candidati appartenenti ad altra lista (come asseritamene avvenuto nel caso in esame), vanno annullate le preferenze, ma va fatto salvo il voto di lista.

Se l’elettore non ha contrassegnato la lista, ma ha espresso preferenze per candidati ad essa appartenenti, insieme alle preferenze così espresse viene anche ritenuto espresso il voto per la lista di appartenenza dei preferiti; sulla base di ciò risulta inammissibile (oltre che non provata) l’asserita preferenza espressa per il ricorrente, ma indicata accanto ad altra lista non di appartenenza.

L’art. 57, d.P.R. n. 570/1960, prevede al comma 7 che sono inefficaci le preferenze per candidati compresi in una lista diversa da quella votata: in assenza di diverse indicazioni desumibili dalla specifica disciplina delle elezioni regionali, la norma costituisce indicazione generale, pienamente applicabile al caso in questione, onde scongiurare un’incertezza particolarmente grave in caso di procedimento elettorale (dove occorre garantire il rispetto delle forme, anche a discapito di comprensibili considerazioni sostanziali, come in alcune ipotesi asseritamente riscontrabili nella specie).

Va, quindi, ribadito che la legge 23 febbraio 1995 n. 43, in materia di elezione dei membri dei Consigli regionali, non ha modificato o abrogato l’art. 1, comma 6, legge 17 febbraio 1968 n. 108; pertanto, si applica l’art. 57, comma 7, t.u. 16 maggio 1960 n. 570, per il quale "sono inefficaci le preferenze per candidati compresi in una lista diversa da quella votata" (cfr. C.S., sez. V, dec. n. 638/1997).

E non poteva, poi, che risultare infondato anche il primo ordine dei motivi di ricorso, relativo alla presunta pubblicazione tardiva dei manifesti elettorali, limitata ad un periodo di due giorni, invece dei sei dettati dalla legge: al riguardo, assume primario rilievo la ricostruzione fornita dalla parte resistente sulla scorta della prodotta documentazione, neppure contestata.

Conclusivamente, l’appello principale del P. non può che essere respinto, con correlativa declaratoria d’improcedibilità di quello incidentale del R. e connessa salvezza dell’impugnata sentenza, a spese ed onorari del giudizio di secondo grado interamente compensati tra le parti costituitevi, tenuto anche conto del loro comportamento processuale e della natura della vertenza.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione V, respinge l’appello principale (ricorso n. 8430/2010), dichiara improcedibile quello incidentale e compensa interamente le spese e gli onorari del giudizio di secondo grado tra le parti costituitevi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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