Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-02-2011) 23-03-2011, n. 11607 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Udine, con sentenza in data 26.4.2010, assolveva il cittadino polacco P.P. dal reato di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 2, per aver contravvenuto in data 20.8.2008 al divieto del Questore di Udine del 4.5.2007 di rientrare nella predetta città per il periodo di due anni, in quanto detto provvedimento del Questore era stato notificato all’imputato nella sola lingua italiana senza che fosse in alcun modo specificata la ragione per la quale non si era ritenuto di procedere alla traduzione dell’atto.

Ha proposto ricorso avverso la suddetta sentenza la Procura Generale di Trieste, chiedendo l’annullamento della stessa, in quanto non vi è nel nostro ordinamento un principio generale che imponga la traduzione degli atti amministrativi in una lingua conosciuta dall’interessato ovvero in uno degli idiomi più diffusi in ambito internazionale.

Per contro sussiste l’onere, per colui che permane sul territorio dello Stato, di attivarsi, nel proprio interesse, al fine di conseguire un’adeguata conoscenza del contenuto degli atti a lui destinati.

L’obbligo di traduzione, stabilito dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7 costituisce, secondo il ricorrente, un’eccezione rispetto alla regola generale, secondo la quale gli atti e provvedimenti di autorità italiane debbono essere redatti obbligatoriamente ed esclusivamente in lingua italiana, e non potrebbe essere esteso analogicamente per la diversità dei presupposti: tutela della sicurezza pubblica per il foglio di via; contrasto nei confronti dell’immigrazione clandestina per il decreto di espulsione.

Trattandosi poi nel caso in esame di contravvenzione, sussisterebbe da parte dell’imputato la negligenza di avere omesso di attivarsi al fine di conoscere il contenuto dell’atto che gli era stato notificato dall’autorità di P.S..
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Non esiste, in effetti, nel nostro ordinamento giuridico un principio generale che imponga la traduzione degli atti amministrativi diretti a stranieri, e il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, che ha stabilito l’obbligo di traduzione in una lingua conosciuta dallo straniero per il decreto di espulsione di cui all’art. 14, comma 1 citato decreto e per ogni altro atto concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione dello straniero, è una norma speciale che impone detto obbligo solo per una limitata e specifica categoria di atti.

Trattandosi, peraltro, nel caso di specie di contravvenzione, appare necessario un approfondimento circa gli eventuali profili di colpa dell’imputato, accertando, se possibile, da quanto tempo lo stesso viveva in Italia, quale fosse all’epoca la sua conoscenza della lingua italiana e approfondendo ogni altro aspetto dal quale desumere il livello di conoscenza della lingua italiana e la consapevolezza del divieto impostogli di rientrare in Udine.

Per il disposto dell’art. 569 c.p.p., comma 4, gli atti devono essere trasmessi al giudice d’appello per il giudizio di secondo grado.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Trieste per il giudizio di secondo grado.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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