Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-02-2011) 23-03-2011, n. 11590 sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

coglimento dei ricorsi.
Svolgimento del processo

p. 1. Con ordinanza del 26/05/2010, il Tribunale di Messina confermava il decreto del 7/05/2010 con il quale il g.i.p. del Tribunale di Patti aveva disposto il sequestro preventivo dei beni di proprietà di S.A. e A.S., indagati del reato di cui all’art. 640 bis c.p. per avere aggirato la normativa amministrativa di settore in materia di aiuti ai giovani imprenditori siciliani, violando non solo disposizioni specifiche ma anche e soprattutto le stesse ragioni giustificatrici poste a presidio della stessa. p. 2. Avverso la suddetta ordinanza, entrambi gli indagati, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione. p. 2.1. S. ha dedotto violazione dell’art. 640 bis c.p. per avere il Tribunale travisato i fatti che lo avevano indotto a ritenere l’astratta configurabilità del reato contestato. Infatti, ad avviso del ricorrente, egli non aveva affatto violato la normativa in questione in quanto aveva i requisiti per rientrarvi ed inoltre aveva creato nuovi posti di lavoro avendo assunto, nel 2009, più di 15,4 dipendenti. Erroneamente, il Tribunale aveva indicato come anno a regime, ossia l’anno in cui dovevano essere assunti 15,4 lavoratori dipendenti, l’anno 2008. In realtà, "lo S. non ha mai indicato originariamente come anno a regime il 2008, bensì ha, da sempre ed originariamente, indicato come anno a regime, il 2009, come emerge proprio dall’allegata nota dell’IRFIS del 10/2/2009". In sostanza, poichè nessun artifizio era stato posto in essere, l’ordinanza andava annullata. p. 2.2. A. ha dedotto i seguenti motivi:

1. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DELLA DOMANDA CAUTELARE:

sostiene il ricorrente che, nonostante il P.m. avesse richiesto il sequestro dei conti correnti solo ed esclusivamente in alternativa al sequestro delle imbarcazioni ritenute profitto dei reato contestato, il g.i.p. aveva ordinato un anomalo sequestro "misto", ossia di Euro 594.826,00 di cui Euro 300.000,00 corrispondente al valore di due imbarcazioni (in quanto pretesamente profitto del reato) ed Euro 294.826,00, per equivalente, sulle somme detenute presso i c.c.;

2. VIOLAZIONE DELL’ART. 640 QUATER C.P.P., ARTT. 322 TER E 321 C.P.P. per avere il giudice ordinato il sequestro anche delle somme sui conti correnti. Sostiene il ricorrente che, una volta che era stato individuato il preteso profitto del reato (ossia le due imbarcazioni), il sequestro avrebbe dovuto limitarsi ad esse perchè solo queste costituivano il profitto, "tenuto conto che, secondo l’impostazione accusatoria, il denaro pubblico ricevuto sarebbe stato utilizzato per pagare parte del valore delle imbarcazioni oggetto del provvedimento cautelare" e la confisca per equivalente può essere disposta solo quando non sia possibile la confisca del profitto.
Motivi della decisione

p. 3. S..

In via di diritto va premesso che, come correttamente ha rilevato il Tribunale adeguandosi alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, al Tribunale, in sede di riesame, compete solo stabilire se l’ipotesi di reato prospettata dal P.m. sia, alla stregua degli elementi probatori sino a quel momento evidenziati, astrattamente configurabile ossia se sussista il fumus commissi delicti. Il tribunale, alla stregua del suddetto principio, dopo avere ampiamente analizzato il materiale probatorio sottoposto alla sua attenzione, ha concluso per la configurabilità del fumus commissi delicti.

Con il ricorso per cassazione, possono essere dedotti solo violazioni di legge e non già vizi attinenti alla motivazione. Il che significa che ben può il ricorrente dedurre la violazione della norma penale che gli è addebitata, ma solo quando l’ipotesi accusatoria risulta ictu oculi manifestamente infondata alla stregua degli elementi probatori in atti.

Orbene, nel caso di specie, è del tutto evidente che, con il ricorso in esame, l’indagato, cerca di confutare le conclusioni alle quali è giunto il Tribunale deducendo non violazioni di legge ma vizi che attengono a pretesi travisamenti dei fatti (cfr pag. 1 ss in ordine ai requisiti posseduti dallo S. per accedere al finanziamento) ovvero ad una non corretta lettura della documentazione (cfr pag. 4 ss in ordine all’assunzione dei dipendenti).

Sennonchè si deve replicare che il Tribunale ha preso ampiamente in esame non solo la documentazione prodotta dalla difesa (cfr pag. 5) ma tutta una serie di elementi processuali (pag. 4 ss) che portavano a ritenere che lo S. fu utilizzato (da altri indagati) solo quale pseudo imprenditore infraquarantenne.

Tanto basta per ritenere la manifesta infondatezza del ricorso in quanto nessuna delle argomentazioni addotte dal ricorrente è tale da far ritenere ictu oculi l’infondatezza dell’ipotesi accusatoria, basandosi le medesime o su pretesi travisamenti dei fatti, o su letture alternative dei medesimi e, quindi, deduzioni non compatibili con il vizio di violazione di legge unico deducibile in cassazione. p.4. A..

Anche le doglianze proposte da costui, sono manifestamente infondate.

Il fatto che il g.i.p. abbia ordinato un sequestro "misto" (parte sui beni individuati come profitti della truffa e, parte, per equivalente, su denaro) non significa nè che abbia violato il principio della domanda cautelare (prima censura) nè le regole del sequestro preventivo (seconda doglianza).

Nel caso di specie, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, è stato ordinato sul profitto derivante, secondo l’ipotesi accusatoria, dalla truffa perpetrata ai danni della Regione Sicilia e, quindi, sull’utilità economica ricavata dal suddetto reato pari ad Euro 594.826,00.

Ora, il combinato disposto degli artt. 322 ter – 640 bis e 640 quater c.p. prevede, appunto, la confisca dei beni che costituiscono il profitto, ovvero, quando ciò non sia possibile, la confisca di beni per un valore corrispondente.

Ciò significa, quindi, che il sequestro preventivo deve rispondere a due requisiti: a) avere per oggetto un importo uguale al profitto; b) colpire beni che siano qualificabili come profitto del reato o, in alternativa, beni di valore equivalente.

Nel caso di specie, nessuno dei due suddetti requisiti è stato violato perchè: a) il giudice ha limitato il sequestro alla somma indicata dal P.M.; b) il sequestro ha colpito beni qualificabili come profitto (due imbarcazioni del valore di Euro 300.000,00); c) sulla parte restante (Euro 294.826,00), non avendo potuto essere eseguito il sequestro su altri beni che fossero qualificabili come profitto, correttamente è stato disposto il sequestro per equivalente, atteso che nessuna norma lo vieta, una volta che sia stata sequestrata solo una parte dei beni costituente il profitto del reato.

In altri termini, la ratio dell’art. 322 ter c.p. è quella di far sì che, attraverso il sequestro, all’indagato/imputato venga sottratto l’intero profitto ricavato dal reato contestatogli. Di conseguenza, sono del tutto irrilevanti le modalità con le quali il sequestro venga eseguito, ben potendo, come nel caso di specie, essere disposto in parte sui beni che costituiscono profitto del reato e, per la differenza, ove non sia possibile su altri beni qualificabili come profitto, per equivalente fino alla concorrenza dell’intero profitto.

Nel respingere, quindi, la censura, può enunciarsi il seguente principio di diritto: "il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 322 ter c.p., può essere disposto, in parte sui beni qualificabili come profitto del reato ed in parte, ove altri beni di tal natura non siano individuabili, per equivalente fino alla concorrenza dell’intera somma corrispondente all’utilità economica che l’indagato/imputato ha ricavato dalla consumazione del reato addebitatogli". p. 5. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

RIGETTA i ricorsi e CONDANNA i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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