Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-02-2011) 23-03-2011, n. 11589 Sequestro preventivo Associazioni mafiose

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

nseguenti".
Svolgimento del processo

p. 1. Con decreto del 28/05/2009, la Corte di Appello di Lecce rigettava gli appelli proposti sia dal P.m. che dal proposto S. P. avverso il decreto del 7/02/2008 con il quale il Tribunale della medesima città, da una parte, aveva disposto nei confronti del suddetto S. la misura della prevenzione della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno nel Comune di residenza per la durata di anni due, ma, dall’altra, aveva disatteso la richiesta di sequestro e confisca dei beni appartenenti al proposto.

Quanto alla misura di prevenzione personale, rilevava la Corte che la pericolosità del S. si desumeva: a) dai suoi precedenti penali, dai numerosi carichi pendenti fra cui uno, per tentato omicidio, per il quale aveva già riportato una condanna ad anni sei e mesi otto di reclusione; b) dalle propalazioni dei collaboratori di giustizia confermate dalle intercettazioni telefoniche; c) dal comportamento tenuto dal S. dopo la condanna per il tentato omicidio; d) dalla mancanza di redditi. A fronte di tale quadro probatorio, la difesa si era limitata ad osservazioni del tutto generiche, fondate sulla riabilitazione accordata in data 13/01/2004 ma precedente alla condanna per tentato omicidio.

Quanto alla misura di prevenzione reale, la Corte premetteva che "secondo il dato letterale della L. n. 575 del 1965, art. 2-ter, a giustificare l’adozione dei provvedimenti ablativi è sufficiente la sproporzione fra i beni posseduti (direttamente o per interposta persona) ed il reddito dichiarato o l’attività economica svolta, è del pari evidente che, contrariamente a quanto opinato dal P.M. appellante, a tal fine non è sufficiente che "sussista indifferentemente una ovvero l’altra delle ipotesi di sproporzione" (reddito o attività economica), dal momento che, così argomentando il riferimento all’una finirebbe necessariamente con l’escludere o il vanificare l’altra. In altri termini, se – come sostenuto dal P.M. – a giustificare l’adozione dei provvedimenti ablativi ex art. 3 cit. fosse sufficiente la sola sperequazione reddituale, quale significato dovrebbe riconnettersi all’espressione "attività economica" che segue la disgiuntiva e che individua necessariamente un’ipotesi alternativa? La verità è che ciò che occorre ai fini che qui interessano è che sussista una sperequazione fra il tenore di vita e il valore dei beni posseduti, da una parte, e i redditi dichiarati o l’attività economica svolta dall’altra: con la conseguenza che non può escludersi, in linea di principio, che, pur a fronte di una situazione deficitaria dal punto di vista reddituale, non si possa ravvisare, in capo al proposto, un’attività economica la quale – se dimostrata – giustifichi (in tutto o in pane) il possesso del bene di cui si chiede il sequestro e la confisca".

La Corte, quindi, rilevava che, sulla base della svolta istruttoria, non poteva dirsi provato che il patrimonio del S. fosse sproporzionato alle sue attività economiche tenuto conto: a) della modestia del compendio patrimoniale di cui era stato chiesto il sequestro; b) dell’attività economica svolta dal S. negli anni 1998/2004 in Germania; c) dall’accertamento della G. di F. nel 2004;

d) dalle dichiarazioni mod. 770 presentate nel 1999 e nel 2000; e) dall’eredità paterna. p. 2. Avverso il suddetto decreto hanno proposto ricorso per cassazione sia il S. che il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Lecce. p. 2.1. IL PROCURATORE GENERALE ha dedotto VIOLAZIONE DELLA L. N. 575 DEL 1965, DELL’ART. 2 TER: sostiene il ricorrente che la Corte di Appello avrebbe violato il "canone interpretativo in virtù del quale la Corte Suprema di Cassazione ha più volte affermato che, a seguito della modifica della L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 2 da parte della L. 24 luglio 1993, n. 256 che ha introdotto la possibilità di sequestro dei beni "quando il loro valore risulti sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta" (e ancor più dopo le ulteriori modifiche apportate con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito nella L. 24 luglio 2008, n. 125, e le successive precisazioni di cui alla L. 15 luglio 2009, n. 94) gli elementi per poter disporre il sequestro dei beni possono consistere anche nella sola notevole sperequazione tra il tenore di vita o il valore dei beni stessi e l’entità dei redditi apparenti o dichiarati; e come tale elemento sia sufficiente anche per disporre la confisca "dovendosi ritenere che il legislatore, nel fare riferimento nella L. n. 575 del 1965, art. 2-ter a tale elemento, lo abbia voluto indicare, a titolo esemplificativo, appunto, quale possibile indizio anche unico, della illecita provenienza dei beni, i quali, a causa della incompatibilità tra impiego di capitali ed ammontare dei redditi noti, debbono ragionevolmente farsi risalire a redditi ignoti, frutto, secondo il normale accadimento delle cose, di attività redditizie come sono quelle delle organizzazioni mafiose";

così, tra le altre, Cass. Sez. 1^, 9 maggio 1994, n. 2104, Zanca;

Cass. Sez. 6^, 23 gennaio 1996, n. 398, Brusca ed altri; ed ancora Cass. Sez. 1^, 16 gennaio 2007 …. D’altronde, ad avvalorare siffatta interpretazione come unica possibile sovviene, come si è detto, anche il dato letterale della norma e la costruzione sintattica di essa. Invero, contrariamente al contenuto di essa, i Giudici di secondo grado, con motivazione viziata da evidente illogicità, hanno fatto espresso riferimento alla preposizione disgiuntiva "o" che rende alternativi i due parametri da utilizzare per la valutazione dei beni posseduti, quello del reddito ovvero quello dell’attività economica svolta, ma non hanno affatto tenuto conto (e sorprende che sia sfuggito a loro come ai Giudici di primo grado, benchè il PM lo avesse più volte messo in risalto, come sopra accennato) che nella norma i due parametri sono presi in considerazione in modo alternativo non con riferimento alla proporzione con uno di essi del valore dei beni, bensì con riferimento alla sproporzione di tale valore con l’uno o l’altro dei due termini di confronto. E, stando al significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, l’espressione lessicale che faccia riferimento ad una sproporzione del valore dei beni posseduti determinata alternativamente dal confronto con due diversi parametri (e non alla proporzione ricavabile alternativamente dal confronto anche con uno solo di essi) significa che l’elemento preso in considerazione, quello negativo della sproporzione del valore dei beni (che determina la condizione per sequestro e confisca) e non quello della proporzione di essi, deve essere ritenuto sussistente ogni qualvolta sia ricavatale dal confronto, disgiuntamente e alternativamente, con uno dei parametri fissati dalla legge, cioè il reddito dichiarato ovvero l’attività economica svolta, ciascuno dei quali, autonomamente considerato, può costituire termine di paragone per valutare la sproporzione – e non la proporzione – del valore dei beni anche con uno solo di essi. Sicchè la condizione richiesta per disporre sequestro e confisca dei beni si verifica se il valore di essi sia sproporzionato all’uno o all’altro dei parametri di riferimento, vale a dire al reddito dichiarato ovvero alla attività economica svolta ed è quindi sufficiente che il contrasto sia anche solo con uno di essi". p. 2.2. S. ha dedotto VIOLAZIONE DELLA L. N. 1423 DEL 1956, ART. 10, COMMA 3 E ART. 4, COMMA 9 in quanto la decisione della Corte si basava su mere ipotesi e, nessuno dei parametri utilizzati dalla giurisprudenza, ai fini dell’accertamento della pericolosità (procedimenti penali anche pendenti; precedenti penali e giudiziali;

informazioni degli organi di p.g.) si adattava al caso in esame tenuto conto delle archiviazioni disposte, del fatto che sostanzialmente incensurato ed era pure stato riabilitato. In altri termini, la Corte non aveva effettuato una valutazione globale della condotta del proposto al fine di stabilire se avesse dato prova di essere rispettoso delle leggi e delle norme di comportamento.
Motivi della decisione

p. 3. MISURA PREVENZIONE PERSONALE. La Corte territoriale, dopo aver premesso il principio di diritto secondo il quale l’accertamento della pericolosità sociale del proposto postula una valutazione concreta della personalità del medesimo, avuto riguardo all’intera sua condotta, quale ricavatale dai precedenti penali e giudiziali, dalle denunce per gravi reati, dal tenore di vita non compatibile con le fonti di guadagno, dalla frequentazione con pregiudicati, sulla base di precisi riscontri fattuali, ha respinto l’appello confermando così il giudizio di pericolosità espresso dal Tribunale.

In questa sede, il ricorrente S., dopo avere premesso che l’analisi effettuata dalla Corte "appare lacunosa e insufficiente, anche alla luce dei seri elementi di segno opposto portati a conoscenza del Tribunale prima e della Corte di appello poi. Infatti, il dato di partenza per individuare i presupposti applicativi la misura della sorveglianza speciale è frutto di un macroscopico errore", si prodiga in una confutazione, in punto di fatto, della motivazione cercando di dimostrarne, appunto, l’erroneità.

Sennonchè va replicato che il provvedimento impugnato è denunciabile solo sotto il profilo della violazione di legge e non, quindi, per vizi attinenti alla motivazione ovvero al travisamento dei fatti.

Nel caso di specie, poi, il ricorrente ha contestato la decisione della Corte territoriale sulla base di atti che la Corte non risulta avere utilizzato per la sua decisione: cosi ad es. nulla è stato replicato in ordine alla condanna per tentato omicidio che la Corte ha considerato un elemento particolarmente significativo della pericolosità del proposto; nulla è stato detto in ordine ai carichi pendenti; ne verbum quidem in ordine alle propalazioni dei collaboratori di giustizia confermate dalle intercettazioni telefoniche. In altri termini, il ricorso presenta un contenuto del tutto eccentrico rispetto alla ratio decidendi, sicchè anche sotto questo ulteriore profilo, ne va dichiarata l’infondatezza. p. 4. MISURA PATRIMONIALE. La censura proposta dal P.g. va disattesa alla stregua delle considerazioni di seguito indicate. Dalla lettura congiunta della L. n. 575 del 1965, artt. 2 bis e 2 ter, si evince che il procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione è strutturato in due momenti. Il primo si ha, quando il Tribunale, su richiesta del P.m. o del Questore (ex art. 2 bis, comma 4), o anche d’ufficio, ordina il sequestro. In questa fase, il provvedimento cautelare può essere ordinato quando: 1) il valore dei beni di cui il proposto – direttamente o indirettamente – dispone sia sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta; 2) quando i suddetti beni siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

La legge, quindi, al fine del sequestro, ha preso in considerazione due ipotesi:

a) quella della sproporzione dei beni sotto il duplice profilo del reddito dichiarato (a1) o dell’attività economica svolta (a2);

b) quella della provenienza illecita o perchè frutto di attività illecite (b1) o perchè ne costituiscano il reimpiego (b2).

E’ chiaro, pertanto, che, per disporre il sequestro è sufficiente che l’organo dell’accusa provi, alternativamente o congiuntamente, a sua discrezione, una delle suddette due ipotesi e, nell’ambito delle medesime l’uno o entrambi gli ulteriori profili previsti dalla norma (a1-a2; b1-b2).

Il secondo momento del procedimento si ha, invece, quando il Tribunale "dispone la confisca dei beni sequestrati dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza".

La confisca è il provvedimento ablativo definitivo che segue il sequestro, ma, va disposta solo se, con inversione dell’onere probatorio a carico del proposto, non venga dimostrata la legittima provenienza.

Ad essere più precisi, però, questa Corte di legittimità (ex plurimis Cass. sez. 1A, 26.1.1998, Bommarito) ha precisato che la L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 3, non prevede un’inversione dell’onere della prova in tema di legittima provenienza dei beni sequestrati al soggetto indiziato di appartenere a sodalizio mafioso (ovvero, come nel caso qui in esame, al soggetto indicato dalla L. n. 55 del 1990, art. 14, comma 1, quando l’attività delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi sia una di quelle indicate dalla stessa norma), ma va letta in coordinazione con la previsione di cui al secondo comma; sicchè, pur essendo stata data all’interessato la facoltà di contrapporre agli indizi raccolti dal giudice elementi che ne contrastino la portata ed elidano l’efficacia probatoria degli elementi indizianti offerti dall’accusa, tuttavia rimane intatto l’obbligo del giudice di individuare ed evidenziare gli elementi da cui risulta che determinati beni, formalmente intestati a terze persone, siano in realtà nella disponibilità del proposto o che il loro valore sia sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta e raccogliere "sufficienti" indizi che i predetti beni siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

Ora, al di là di questa pur importante precisazione di natura processuale, quello che, però, rileva è che la norma, per la confisca, ha richiesto un elemento più pregnante rispetto a quello richiesto per il semplice sequestro, ossia la mancata dimostrazione della legittima provenienza.

Il che comporta che:

– nell’ipotesi in cui l’applicazione della misura sia stata proposta per la sproporzione dei beni sotto il duplice profilo del reddito dichiarato (a1) o dell’attività economica svolta (a2), la dialettica processuale ruoterà intorno alla sproporzione del valore dei beni;

– nell’ipotesi in cui l’applicazione della misura sia stata proposta per la provenienza illecita dei beni o perchè frutto di attività illecite (b1) o perchè ne costituiscano il reimpiego (b2), la dialettica processuale ruoterà intorno alla provenienza ossia alle modalità di acquisto.

E così, volendo esemplificare, l’organo inquirente ben può limitarsi a dimostrare che il proposto possiede beni il cui valore sia incompatibile con il reddito dichiarato (ipotesi sub al) ed ottenere anche il sequestro. Ma, una volta attivato il contraddittorio, la difesa può allegare – pur non contestando quanto dedotto dal P.m. – la legittima provenienza dei beni ad es. perchè acquistati con denaro proveniente da un’eredità.

Ciò significa, quindi, che la dialettica processuale non può venire incanalata e ristretta nell’ambito deciso dall’organo dell’accusa proprio perchè la difesa, per contrastare le prove dell’accusa, non è tenuta a rimanere sullo stesso terreno processuale scelto dall’accusa, ben potendo ampliare il thema decidendum e, quindi, allegare fatti che dimostrino, comunque, la legittima provenienza dei beni confiscandi. In altri termini, una volta attivato il contraddittorio, e alla parte sia consentito allegare le proprie deduzioni, la legge richiede, per la confisca, qualcosa di più rispetto al sequestro, ossia un giudizio sulla illegittima provenienza dei beni, giudizio che può anche derivare da uno solo dei criteri in base ai quali l’organo dell’accusa ha ritenuto di procedere e provare, ove il proposto nulla alleghi in contrario. Ma, il suddetto criterio può non più essere sufficiente ove il proposto, pur non contestando quanto dedotto dal P.m., alleghi la legittima provenienza dei beni per altra via e la suddetta allegazione si dimostri fondata.

Nel caso di specie, è avvenuto proprio quanto appena detto. Il P.m. aveva chiesto il sequestro dei beni e la confisca perchè aveva ritenuto di aver provato che il valore dei beni di proprietà del proposto fosse sproporzionato al reddito dichiarato (ipotesi sub al).

Il Tribunale prima e la Corte territoriale poi, hanno respinto la richiesta di sequestro e confisca perchè hanno ritenuto che il patrimonio del S. non fosse sproporzionato alla sua attività economica precedente di titolare di due pizzerie in Germania e neppure al suo attuale commercio di autoveicoli, a parte l’ulteriore attività di agricoltore.

Il che è come dire che entrambi i giudici di merito hanno ritenuto che il S. avesse provato la legittima provenienza dei beni perchè "non può escludersi in linea di principio che, pur a fronte di una situazione deficitaria dal punto di vista reddituale, non si possa ravvisare, in capo al proposto, un’attività economica la quale, se dimostrata, giustifichi (in tutto o in parte) il possesso del bene di cui si chiede il sequestro e la confisca".

In altri termini la frase "… dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza" è un’espressione ellittica che racchiude in sè, sintetizzandole, tutte le ipotesi previste dal secondo comma, sicchè, come bene ha rilevato la Corte territoriale, ove la confisca venga chiesta per sproporzione dei beni rispetto al reddito dichiarato, ben può il proposto allegare e dimostrare la legittima provenienza dei beni sulla base dell’attività economica svolta e, viceversa, ove la confisca venga chiesta per sproporzione dei beni rispetto all’attività economica svolta.

La conclusione di quanto appena detto è quindi che, ha ragione, in via teorica, il P.g. quando sostiene che, nella fase iniziale, ben avrebbe potuto essere disposto il sequestro sulla base delle prove indicate dal P.m.. Ma, ha ragione anche la Corte territoriale, quando, in concreto, ha ribattuto che il S. aveva allegato e provato la legittima provenienza dei beni (derivanti in parte dalle sue pregresse attività economiche svolte in Germania, in parte da un’eredità ricevuta dal padre) sicchè era irrilevante la circostanza che i redditi dichiarati non potessero giustificare il suddetto patrimonio. Nel rigettare il ricorso, può pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto: "il sequestro di cui alla L. n. 575 del 1965, art. 2 ter può essere disposto ove l’organo dell’accusa dimostri congiuntamente o alternativamente: a) la sproporzione dei beni in possesso del proposto sotto il duplice alternativo profilo del reddito dichiarato (a1) o dell’attività economica svolta (a2); b) la provenienza illecita dei suddetti beni o perchè frutto di attività illecite (b1) o perchè ne costituiscano il reimpiego (b2). Tuttavia, una volta attivato il contraddittorio, la confisca non può essere disposta ove il proposto alleghi e dimostri la legittima provenienza dei beni sequestrati che non necessariamente deve limitarsi ad un’allegazione contraria a quella del P.m. ben potendo il proposto – pur non contestando la prova addotta dal P.m. – allegare e provare la legittima provenienza dei beni sotto un profilo diverso da quello introdotto dal P.m.".
P.Q.M.

RIGETTA i ricorsi e CONDANNA S.P. al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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