Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-06-2011, n. 12720 affitto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso 4 marzo 2005 T.L. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Rieti, sezione specializzata agraria, T.G. chiedendone la condanna al rilascio di un fondo di sua proprietà, dichiarata la cessazione, alla scadenza del 10 novembre 2004, del contratto di affitto inter partes.

Costituitasi in giudizio T.G. ha chiesto, in via riconvenzionale, la condanna dell’attore, da un lato, al risarcimento dei danni patiti da essa concludente per effetto della privazione del possesso del terreno in discussione nel periodo 1988-1995, dall’altro al pagamento della somma di Euro 595.000,00 a titolo di indennità per i miglioramenti apportati al fondo, con declaratoria del suo diritto di ritenzione di questo ultimo fino al pagamento di tale importo.

Svoltasi la istruttoria del caso con sentenza 20 febbraio 2008 la adita sezione, accolta la domanda attrice di rilascio e quella riconvenzionale di danni conseguente alla privazione del godimento del terreno oggetto di affitto nel periodo 1988-1995, ha rigettato la domanda diretta al conseguimento di una indennità per i miglioramenti apportati al fondo.

Gravata tale pronunzia da T.G., la Corte di appello di Roma, sezione specializzata agraria, con sentenza 5 marzo – 19 maggio 2010 ha rigettato, ancorchè previa parziale modifica della motivazione della sentenza del primo giudice, l’appello con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite del grado.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, con atto 12 luglio 2010 T.G., affidato a tre motivi e illustrato da memoria.

Resiste, con controricorso, T.L..
Motivi della decisione

1. Il collegio ha raccomandato una motivazione semplificata.

2. Osserva, in limine, il collegio che notificato il ricorso di T.G. il 12 luglio 2010, il controricorso di T.L. risulta consegnato agli Ufficiali giudiziari per la notifica unicamente il 5 ottobre 2010, oltre i termini di legge (trattandosi – nella specie – di controversia agraria i cui termini non sono soggetti alla sospensione nel periodo feriale ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 409 cod. proc. civ., e L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3 cfr. Cass. 11 giugno 2009, n. 13546;

Cass. 18 gennaio 2006, n. 820) e deve, pertanto, dichiararsene la inammissibilità.

La circostanza, peraltro, non incide sul diritto del difensore nominato (con procura a margine del controricorso) alla discussione orale (cfr. Cass. 17 aprile 1998 n. 3915).

3. Per quanto ancora rilevante al fine del decidere i giudici di appello hanno ritenuto:

– che il rapporto inter partes – costituitosi con contratto 1 gennaio 1974, successivamente all’entrata in vigore della L. 11 febbraio 1971, n. 11, deve qualificarsi contratto di affitto di fondo rustico, avendo a oggetto un terreno con destinazione agricola;

– che la clausola di tale contratto, secondo cui l’affittuaria assume l’obbligo fondamentale di migliorare i fondi rustici e restaurare i fabbricati rurali per renderli agibili, facendo tutti quei lavori di trasformazione, di modificazione e completamento che la stessa riterrà opportuno fare è nulla;

– che per effetto delle nullità di tale clausola – che non travolge l’intero contratto – la disciplina applicabile non è quella dell’enfiteusi, ma quella di cui alla L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 10 in tema di miglioramenti, poi ripresa con la successiva L. 3 maggio 1982, n. 203;

– che con riguardo ai miglioramenti eseguiti successivamente alla L. n. 11 del 1971 questi sono indennizzabili, alla cessazione del rapporto, unicamente ove eseguiti con il rispetto della procedura di legittimazione di cui all’art. 11 della stessa legge o, nel vigore della L. 3 maggio 1982, n. 203, quella prevista dall’art. 16 di questa ultima;

– che nella specie i miglioramenti eseguiti non possono ritenersi autorizzati dal concedente sulla base della clausola nulla, sopra riportata, atteso che il preventivo consenso del concedente deve sostanziarsi in una manifestazione di volontà autorizziativa, che specifichi la natura, le caratteristiche e le finalità degli interventi migliorativi, non risultando sufficiente una autorizzazione generica o per tipo di opere.

4. La ricorrente censura la riassunta pronunzia denunziando, nell’ordine:

– da un lato, violazione o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 17 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, atteso che essa concludente ha eseguito i miglioramenti in discussione sulla base della clausola sopra riportata, idonea al sorgere del diritto all’indennità prevista dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. primo motivo;

– dall’altro, violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1366, 1367, 1375 cod. civ., della L. n. 11 del 1971, art. 11 e L. n. 203 del 1982, art. 16 conseguente violazione della L. n. 203 del 1982, art. 17 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 atteso che il principio generale di conservazione del contratto imponeva di interpretare la clausola relativa all’obbligo di eseguire i miglioramenti attribuendole un significato compatibile con l’ordinamento giuridico, sì che la clausola stessa non può ritenersi generica, atteso che i miglioramenti sono esattamente quelli serviti a riportare il terreno alla sua originaria vocazione secondo motivo;

– da ultimo, violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1366, 1361, 1315 cod. civ., L. n. 11 del 1911, art. 11 e L. n. 203 del 1982, art. 16 conseguente violazione della L. n. 203 del 1982, art. 16 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, tenuto presente che la clausola impone di restaurare i fabbricati rurali per renderli agibili, sì – pertanto – che al momento della sottoscrizione del contratto di affitto le parti si sono accordate affinchè l’affittuaria effettuasse quelle migliorie che servivano a riportare i casali a uno stato di normale agibilità terzo motivo.

5. I sopra riassunti motivi – per alcuni profili inammissibili, per altri manifestamente infondati – non possono trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

5.1. Nell’affermare che "in materia di contratti agrari, il diritto all’indennità riconosciuto all’affittuario ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 17 presuppone il preventivo consenso del concedente (o, in difetto, l’autorizzazione dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura), il quale deve sostanziarsi in una manifestazione di volontà autorizzativa che specifichi la natura, le caratteristiche e le finalità degli interventi migliorativi, non risultando, perciò, sufficiente – ai fini della configurazione di tale requisito – un’autorizzazione meramente generica per tipi e/o categorie di opere" la sentenza impugnata ha deciso le questioni di diritto alla sua attenzione in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte regolatrice (cfr. Cass. 2 marzo 2006, n. 4646, nonchè Cass. 11 febbraio 2008, n. 3261).

5.2. Comunque non solo l’esame dei motivi non offre elementi di sorta per non confermare o mutare il costante e pacifico orientamento giurisprudenziale sopra ricordato, ma la stessa ricorrente afferma p. 8 del ricorso che la ricorrente non intende mettere in discussione tale indirizzo e quindi, da per corretta la interpretazione della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 17 data dai giudici a quibus con conseguente inammissibilità – per carenza di interesse delle censu- re dirette a denunziare la sentenza impugnata sotto il profilo di cui all’art. 360, n. 3, per violazione della ricordata norma, nonchè delle altre collegate in tema di autorizzazione del concedente perchè siano indennizzabili i miglioramenti apportati dall’affittuario al fondo rustico.

5.3. Anche a prescindere da quanto precede, comunque, si osserva – come assolutamente incontroverso presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte da cui totalmente e senza alcuna motivazione, totalmente prescinde la difesa della ricorrente – che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di cassazione).

Viceversa, la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. (Cass. 6 agosto 2010, n. 18375; Cass. 26 aprile 2010, n. 9908; Cass. 5 giugno 2007, n. 13066).

Pacifico quanto sopra è agevole osservare che in tutti i motivi in cui si articola la sentenza impugnata la ricorrente pur assumendo – nella rubrica degli stessi – la violazione o falsa applicazione di molteplici norme di diritto, in realtà ben lungi dal denunziare la interpretazione o la applicazione fatta dai giudici del merito delle disposizioni indicate nelle varie rubriche, si limita a censurare la interpretazione, da parte dei giudici di merito, delle risultanze di causa e a sollecitare, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, una nuova lettura delle stesse risultanze, conforme a quella prospettata da essa ricorrente.

5.4. Quanto, ancora, ai vizi motivazione – denunciati con tutti e tre i motivi – si osserva che il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve essere inteso a far valere carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nella attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, mentre non può,invece, essere inteso – come ora pretende la ricorrente – a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti.

6. Il proposto ricorso, in conclusione, infondato sotto tutti i profili in cui si articola, deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 7.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

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