Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-02-2011) 23-03-2011, n. 11549 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 5/3/2010, la Corte di appello di Reggio Calabria, confermava la sentenza del Tribunale di Locri, Sezione distaccata di Siderno, in data 1/2/2008, che aveva condannato B.A. alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa per il reato di rapina impropria in danno di C.C..

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, in punto di identificazione del soggetto agente e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto, ed equa la pena inflitta.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando tre motivi di gravame.

Con il primo motivo deduce motivazione mancante e/o apparente, illogicità della stessa, travisamento della prova e violazione dell’art. 192 c.p.p..

Al riguardo si duole che la sentenza impugnata non abbia tenuto alcun conto del fatto che le dichiarazioni delle parti lese e dei testimoni relative agli altri due episodi di rapina impropria per i quali l’imputato è stato assolto in primo grado, descrivono una persona con fattezze fisiche e con inflessione dialettale assolutamente non corrispondente alle fattezze dell’imputato, soggetto di anni 32, alto mt. 1,80, del peso di circa 175 kg, appartenente alla comunità "nomade" di Marina di Gioiosa, con una inflessione dialettale diversa rispetto al dialetto calabrese. Eccepisce la non validità della foto segnaletica utilizzata per l’identificazione dell’imputato in quanto riproducente un soggetto con fattezze diverse rispetto a quelle del B. il quale aveva subito un forte dimagrimento a seguito di un intervento chirurgico di bendaggio gastrico e non aveva mai portato i capelli lunghi, tanto da poter essere pettinati all’indietro come avevano riferito i testi nella descrizione del responsabile dei reati.

Eccepisce, inoltre, che la sentenza impugnata ha completamente ignorato la circostanza, riferita dai testi, che il responsabile delle azioni criminose aveva in uso una Fiat Uno vecchio modello di colore azzurrino-celestino tg. (OMISSIS), veicolo che l’imputato non risulta mai aver avuto in uso e si duole che la sentenza abbia ignorato che i testi escussi, non solo non hanno riconosciuto il B. ma hanno anche escluso che il responsabile fosse uno zingaro.

Obietta che i giudici di merito non hanno fatto buon governo dei principi che regolano la formazione della prova di cui all’art. 192 c.p.p. avendo trascurato il fatto che l’imputato, tratto a giudizio per rispondere anche di analoghi fatti di rapina impropria commessi in danno di F. e Ca., è stato riconosciuto estraneo a tali fatti delittuosi, per cui le dichiarazioni accusatorie della parte offesa C.C., avrebbero dovuto essere considerate con maggiore cautela, anche per la loro intrinseca inattendibilità, essendo la narrazione dell’episodio tutt’altro che logica e coerente.

Si duole del mancato espletamento della ricognizione personale, la cui richiesta la difesa aveva reiterato anche in appello. Infine contesta le deduzioni della sentenza impugnata in punto di fallimento della prova d’alibi, in particolare per quanto riguarda la presunta inattendibilità del teste V.F..

Con il secondo motivo deduce violazione della legge penale in relazione all’art. 628 c.p. eccependo che il reato andava derubricato in quello di furto per l’assenza del requisito della violenza nella condotta contestata.

Con il terzo motivo si duole della dosimetria della pena.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Sul vizio di motivazione va riconfermata la ormai pacifica giurisprudenza, più volte riaffermata anche a Sezioni Unite, secondo cui l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato e considerandosi disattese le deduzioni delle parti che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento. Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti nè su altre spiegazioni formulate dal ricorrente, per quanto plausibili o logicamente sostenibili alla pari di quelle accolte dal giudice, (cfr. Cass. SS.UU. 24/1999 Spina, rv.

214794; SS.UU. 12/2000 Jakani 216260).

Alla stregua di tali pacifici principi di diritto, il ricorso del B. deve essere rigettato.

Innanzitutto occorre rilevare che non sono ammissibili le censure in punto di travisamento della prova.

Al riguardo occorre precisare che in tema di motivi di ricorso per cassazione, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e) ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, mentre non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è, invece, consentito dedurre il vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 39048 del 25/09/2007 Ud. (dep. 23/10/2007) Rv.

238215).

Nel caso di specie le censure sollevate in punto di validità del riconoscimento fotografico dell’imputato ed in punto di mancata considerazione degli elementi di prova che hanno determinato l’assoluzione dell’imputato dalle altre ipotesi di rapina a lui ascritte, non chiamano in causa risultati di prova incontestabilmente diversi da quelli reali, ma si risolvono nella denunzia di una sorta di "travisamento del fatto" da parte dei giudici di merito. In sostanza tali censure postulano una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al Giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.

Anche le censure in punto di mancato espletamento della ricognizione personale non sono idonea a scalfire l’impostazione della motivazione. Secondo l’insegnamento di questa Corte: "i riconoscimenti fotografici – non regolati dal cod. proc. pen. – che siano stati effettuati in sede di indagini di polizia giudiziaria, come pure i riconoscimenti informali dell’imputato operati dai testi in dibattimento, hanno carattere di accertamenti di fatto e sono utilizzabili nel giudizio in base al principio della non tassatività dei mezzi di prova ed a quello del libero convincimento del giudice.

In tali casi la certezza della prova dipende non dal riconoscimento in sè, ma dalla ritenuta attendibilità della deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia dell’imputato e/o l’imputato stesso, si dica certo della sua identificazione." (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 2662 del 08/11/1995 Ud. (dep. 13/03/1996) Rv. 204515).

Di conseguenza la giurisprudenza di questa Sezione ha avuto modo di precisare che: "L’individuazione della persona responsabile del reato può essere acquisita anche mediante l’assunzione di una testimonianza, perchè la ricognizione formale di cui all’art. 213 c.p.p. non è, per il principio della non tassatività dei mezzi di prova, l’unico strumento probatorio idoneo al fine" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3635 del 10/01/2006 Ud. (dep. 30/01/2006) Rv. 233338).

Nel caso di specie la sentenza impugnata contiene specifica e dettagliata motivazione, priva di vizi logico-giuridici, in ordine alla attendibilità della deposizione testimoniale della vittima, che ha riconosciuto l’imputato sia in fotografia, sia direttamente in aula durante il dibattimento.

Anche le altre censure in punto di non attendibilità della deposizione della parte offesa per incoerenza del narrato ed in punto di fallimento o resistenza della prova d’alibi postulano un inammissibile intervento di questa Corte in sovrapposizione argomentativa rispetto alle conclusioni legittimamente assunte dai giudici di merito.

E’ il caso di aggiungere che la sentenza di secondo grado va necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, pronunciata in prime cure, derivandone che i giudici di merito hanno spiegato, in maniera adeguata e logica, le risultanze confluenti nella certezza del pieno coinvolgimento dell’imputato nella commissione del reato ritenuto a suo carico.

Per quanto riguarda il secondo motivo, in punto di derubricazione del reato contestato, le censure sono manifestamente infondate in quanto le emergenze processuali hanno confermato che il B., dopo aver sottratto il portafoglio alla vittima, lo spinse fuori dall’auto, usando, pertanto, violenza, per assicurarsi il possesso della cosa sottratta, in conformità alla fattispecie legale tipica della rapina impropria.

Risultano, infine, infondate le censure in punto di dosimetria della pena. Nel caso di specie occorre considerare che il Tribunale ha adottato una pena prossima al minimo edittale. Confermando tale statuizione la Corte d’appello non aveva l’onere di una specifica motivazione in quanto: "nella determinazione in concreto della pena, il giudice non ha l’obbligo di giustificare l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge quando la pena stessa venga inflitta nel minimo edittale o in misura prossima a tale minimo. In tal caso, infatti, viene a mancare la necessità di esplicita motivazione perchè l’entità della pena in concreto irrogata lascia chiaramente intendere in qual modo abbiano influito i criteri fissati dall’art. 133 c.p. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17096 del 16/11/1988 Ud. (dep. 06/12/1989) Rv. 182750;Conf mass n 168169; (Conf. mass n. 169928).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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