Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-06-2011, n. 12707 Avviamento commerciale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Per quel che interessa in questa sede il Tribunale di Grosseto il 22 agosto 2003 accoglieva in parte la domanda proposta dalla Rabagli Cosimo & C. s.n.c. nei confronti di Maestrale s.r.l., volta ad ottenere la condanna da parte della Maestrale a titolo di indennità dell’avviamento L. n. 392 del 1978, ex art. 34, per la somma di L. 63.651.384 per aver dovuto lasciare due locali presi in locazione dal dante causa della Maestrale a seguito di due contratti stipulati il 1 giugno 1986 e il 2 aprile 1987.

Con detta sentenza il giudice di primo grado determinava la somma richiesta in Euro 8.058,43 oltre interessi dal 31 marzo 1999 fino al soddisfo, in quanto limitava la corresponsione dell’indennità ad uno solo dei locali condotti in locazione.

Su gravame principale della Rabagli ed incidentale della Maestrale l’8 novembre 2005 la Corte di appello di Firenze accoglieva integralmente la domanda della Rabagli e rigettava la riconvenzionale della Maestrale.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione la Maestrale, affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso la Rabagli La Maestrale s.r.l. ha depositato memoria.
Motivi della decisione

1.-La questione centrale del ricorso concerne la interpretazione data dalla Corte fiorentina, secondo la quale tutti i locali concessi in locazione alla Rabagli tra di essi adiacenti ed in diretto collegamento costituivano un corpo strutturalmente unico, tanto da non poter parlare di due distinti immobili, uno adibito a contatto con il pubblico e l’altro quasi esclusivamente a deposito.

Da questa unicità il giudice dell’appello, ad avviso della ricorrente, erroneamente avrebbe riconosciuto l’indennità di avviamento per entrambi i locali pur in mancanza dei presupposti di legge.

Questi, in estrema sintesi, i primi due motivi di ricorso, formulati il primo (vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5; violazione e falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente L. n. 392 del 1978, artt. 34 e 35, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) e il secondo (violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, artt. 34 e 35, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), che per la loro interconnessione vanno esaminati congiuntamente.

2.-Al riguardo, va detto che essi non meritano accoglimento. Come riconosce la stessa ricorrente (p. 5 ultime tre righe del ricorso) più che di violazione di norme di diritto, si tratta di valutazione delle prove, in quanto le stesse non sarebbero indicate nè sarebbero state indicate le ragioni della scelta operata dal giudice del merito.

Di vero, e contrariamente a quanto assume la ricorrente, a ben leggere la sentenza impugnata, la motivazione sul punto non è affatto viziata dal punto di vista logico-giuridico. Le doglianze si concentrano nella critica alla scelta del giudice del merito, che ha utilizzato quale materiale a conforto della propria decisione, ribaltando la decisione del primo giudice, il contratto di locazione e le dichiarazioni testimoniali, pur non enunciando espressamente i singoli testi dalle cui dichiarazioni ha tratto il proprio convincimento.

Infatti, il giudice dell’appello ha tenuto conto:

a) dell’obbiettiva configurazione degli immobili in oggetto, come risulta dalla rappresentazione planimetrica e fotografica di cui alla consulenza tecnica;

b) del "succo delle testimonianze" (di cui la ricorrente riporta solo alcune);

c) dello stesso contratto relativo ai locali, esclusi dal Tribunale ai fini del calcolo dell’indennità, il cui art. 7 letteralmente recita" per il solo uso di commercio di ferramenta ed articola connessi" e non piuttosto di deposito.

Da quanto sopra tenuto presente il giudice dell’appello ha logicamente dedotto che al momento della costituzione del rapporto tutti i locali in oggetto furono concessi in locazione al solo scopo (a tutti comune) di esercitare il "commercio" di ferramenta ed affini, per cui non poteva distinguersi tra i due contratti di locazione. Questi i passi argomentativi più significativi della sentenza impugnata.

3.-Ciò posto, è facilmente rinvenibile dalla stessa stesura delle censure che esse concretano questioni di merito, devolute e risolte con motivazione appagante sotto ogni profilo dal giudice del merito e, quindi, incensurabili in questa sede.

In realtà, la ricorrente sembra dolersi che il giudice dell’appello non abbia condiviso quanto, invece, ritenuto dal giudice di primo grado.

4.-Con il terzo motivo la ricorrente lamenta che il giudice dell’appello avrebbe erroneamente respinto la sua domanda riconvenzionale di risarcimento danni ex art. 1591 c.c., sulla base dell’esercizio del diritto di ritenzione da parte della Rabagli, mentre questa, contrariamente a quanto si argomenta nella sentenza impugnata, avrebbe sollevata una eccezione in senso stretto e non già , come afferma il giudice a quo una mera deduzione difensiva.

In merito, va sottolineato che, come emerge dalla parte motiva su questo capo della sentenza impugnata che condivide la decisione del primo giudice, il giudice dell’appello correttamente ha ritenuto che la Maestrale non aveva corrisposto nè offerto alcuna indennità, per cui essa non aveva titolo per pretendere la restituzione immediata del fondo e, quindi, non aveva titolo per chiedere un risarcimento da ritardato rilascio.

Ciò posto in rilievo, l’altro argomentare della sentenza è solo ad abundantiam e, peraltro, la giurisprudenza richiamata (Cass. n. 580/01, cui adde Cass. n. 7528/09) non appare conferente.

Infatti, il principio di diritto che la ricorrente richiama per evidenziare l’errore di qualificazione processuale della difesa dell’attuale resistente, fattane dal giudice dell’appello, attiene alla fase esecutiva del rilascio del fondo, come si evince dalla parte motiva di quella decisione.

Il che nel caso in esame non si rinviene, essendo stati i locali già riconsegnati e l’indennità non era stata versata nè offerta dal locatore, come è giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 11761/02).

Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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