Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-06-2011, n. 12692 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data (OMISSIS), in un incidente stradale verificatosi sulla strada a scorrimento veloce (OMISSIS), perse la vita A.A., carabiniere diciannovenne.

Il Tribunale di Caltanisetta, adito per il risarcimento dei danni dai genitori del ragazzo, A.A. e F.M., nonchè dalla sorella A.L., con sentenza del 2 agosto 2008, dichiarò la esclusiva responsabilità di M.S. nella causazione del sinistro, per l’effetto condannando lo stesso e il suo assicuratore Ufficio Centrale Italiano al pagamento della complessiva somma di L. 402.650.000, di cui L. 135.650.000 per danno patrimoniale; L. 80.000.000, per danno morale del padre, L. 130.000.000 per danno morale della madre, L. 50.000.000 per danno morale della sorella; L. 3.000.000 per spese funerarie, e L. 4.000.000, per danno all’autovettura.

Proposto gravame da A.L. e da F.M., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale su A.J., nata successivamente, essendo peraltro nelle more deceduto il padre A., la Corte d’appello di Caltanisetta, in data 4 agosto 2005, in parziale riforma della impugnata sentenza, ha condannato in solido M.S. e l’Ufficio Centrale Italiano al pagamento in favore degli appellanti della somma di Euro 335.000,00, di cui Euro 130.000,00 per F.M., Euro 75.000,00 per A.L., ed Euro 130.000,00 da dividere tra gli eredi di A.A., secondo le quote di successione ereditaria, stabilendo altresì che il predetto, complessivo importo dovesse essere devalutato alla data del decesso e quindi rivalutato e maggiorato degli interessi legali anno per anno.

Avverso detta pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione F. M., A.L. e A.J., formulando quattro motivi e notificando l’atto all’Ufficio Centrale Italiano e a M. S..

Solo il primo ha resistito con controricorso, mentre nessuna attività difensiva ha svolto l’altro intimato.
Motivi della decisione

1 Col primo motivo le impugnanti denunciano vizi motivazionali con riferimento all’assunto della Corte territoriale secondo cui il giudice di prime cure aveva correttamente applicato il principio invocato con l’atto di gravame, avendo disposto che la somma liquidata a titolo di danno patrimoniale, calcolata all’attualità, dovesse essere devalutata alla data del sinistro, rivalutata anno per anno fino al momento del soddisfo e quindi via via maggiorata degli interessi legali, equitativamente determinati al 5%. Sostengono che il decidente, pur avendo testualmente riportato la formulata censura, non ne avrebbe colto il senso effettivo, avendo essi inteso rappresentare che il danno di Euro 73.762,58, riconosciuto dal Tribunale, doveva essere considerato, perchè il risarcimento risultasse realmente satisfattivo, somma base da rivalutare a partire dal momento del sinistro, piuttosto che somma già determinata all’attualità. 2 Osserva il collegio che, criticando la determinazione in L. 135.650.000 del danno non patrimoniale, valutato al momento della emanazione della sentenza di primo grado, gli appellanti ne avevano chiesto il riconoscimento come somma reintegrativa del pregiudizio da essi subito, al netto di svalutazione e interessi, di talchè fondatamente assumono ora che il significato del motivo di appello sia stato travisato dal giudice a quo. E tuttavia l’errore in cui è incorsa la Curia territoriale non giova alle impugnanti, dovendosi confermare la scelta decisoria dalla stessa adottata, sia pur correggendone la motivazione, ex art. 384 cod. proc. civ. Nessuna ragione viene invero addotta, nè risulta che sia mai stata addotta, a sostegno della quantificazione in un importo maggiore (perchè di questo, in definitiva, si tratta), del ristoro patrimoniale della lesione subita dai prossimi congiunti a seguito della morte del giovane A., laddove, in applicazione del principio della specificità dei motivi di appello (confr. Cass. civ. sez. un. 25 novembre 2008, n. 28057), le ricorrenti avrebbero dovuto muovere critiche adeguate e specifiche alla liquidazione operata dal giudice di prime cure, e riprodurre poi tali critiche in ricorso, nel rispetto del criterio dell’autosufficienza.

Ne deriva che la sollecitata rivisitazione delle somme spettanti, per questo titolo, alle attrici, è basata su mere asserzioni e punta a un rinvio al giudice di merito che, in tale contesto deduttivo, finirebbe per avere carattere meramente esplorativo.

Il motivo è respinto.

3 Col secondo mezzo le ricorrenti lamentano violazione degli artt. 1219, 2043 e 1226 cod. civ. nonchè insufficienza e illogicità della motivazione. La censura attiene alla quantificazione in L. 4.000.000 del danno subito dall’autovettura di A.A. e in L. 3.000.000 delle spese funerarie, somme che, in quanto riferite all’epoca del sinistro, avrebbero anch’esse dovuto essere rivalutate e maggiorate degli interessi.

4 Osserva il collegio che nella sentenza impugnata tali somme sono state considerate espressive di un danno liquidato all’attualità, di talchè anche per esse è stato disposta la devalutazione alla data del sinistro e quindi la rivalutazione anno per anno fino al momento del soddisfo.

La doglianza è tuttavia gravemente carente sotto il profilo dell’autosufficienza, non avendo le impugnanti indicato il contenuto dei mezzi istruttori attraverso i quali esse avevano dimostrato gli esborsi sostenuti per la riparazione dell’autovettura e per le spese funerarie, nè in quale parte del fascicolo d’ufficio o di quello di parte le prove siano rinvenibili. Trattasi invece di riscontri assolutamente indispensabili al fine di stabilire se le critiche siano o meno fondate. Il motivo è pertanto inammissibile.

5.1 Si prestano a essere esaminati congiuntamente, in quanto intrinsecamente connessi, i successivi due motivi di ricorso.

Col terzo si deduce violazione degli artt. 2043 e 2059 cod. civ. nonchè insufficienza e illogicità della motivazione. Secondo le esponenti il giudice di merito avrebbe erroneamente applicato i criteri di risarcimento del danno non patrimoniale elaborati dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare la Corte d’appello, rigettando la richiesta di liquidazione del danno biologico iure proprio sull’assunto che ne era rimasta indimostrata la sussistenza, non aveva considerato, da un lato, che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la salute costituisce benessere fisico, psichico e sociale e non consiste soltanto nell’assenza di malattia o infermità; dall’altro, che, dopo il decesso del ragazzo, il padre era stato colpito da una forma depressiva che lo aveva accompagnato fino alla morte, mentre la madre aveva avuto il disperato desiderio di un altro figlio, che l’aveva portata a rischiare la vita per metterlo al mondo.

5.2 Col quarto mezzo le ricorrenti lamentano violazione dell’art. 2059 cod. civ., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Le critiche si appuntano contro l’omessa attribuzione del danno biologico iure hereditatis motivata con la considerazione che la morte di A.A. era stata istantanea. Secondo le ricorrenti il giudice di merito avrebbe fatto malgoverno del materiale istruttorio acquisito, univocamente dimostrativo che il decesso del ragazzo era avvenuto mentre veniva trasportato in ospedale.

Richiamano inoltre significativi arresti della Corte Regolatrice volti a riconoscere la spettanza del danno tanatologico.

6 Le esposte censure sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate.

Mette conto precisare che il giudice di merito, quanto al danno biologico, ha segnatamente evidenziato che gli appellanti non avevano mai indicato, nè in primo grado, nè in appello, se la loro richiesta fosse da intendere riferita al danno biologico, in tesi, ad essi spettante iure hereditatis ovvero iure proprio. Ha peraltro rilevato che in ogni caso niente era dovuto a tale titolo perchè, quanto al danno iure hereditatis, essendo il loro dante causa deceduto immediatamente, nessun danno biologico trasmissibile agli eredi si era consolidato in capo allo stesso; e, quanto al danno biologico iure proprio, gli appellanti non ne avevano provato la sussistenza a mezzo di danni clinicamente rilevabili, collegati al grave fatto illecito subito.

7 Ciò significa che la scelta decisoria del giudice a quo è sorretta da una duplice ratio decidendi: l’inemendabile genericità del relativo capo della domanda, da un lato, e l’infondatezza nel merito, sotto tutti i profili, delle richieste attrici.

Ora, costituisce giurisprudenza di legittimità assolutamente consolidata, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, che, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (confr. Cass. civ. 11 febbraio 2011, n. 3386; Cass. civ. 20 novembre 2009, n. 24540).

8 Sotto altro, concorrente profilo, va poi osservato quanto segue.

Costituiscono massime ormai consolidate nella giurisprudenza di questa Corte: a) che in caso di lesione dell’integrità fisica con esito letale, un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, trasmissibile agli eredi, è configurabile solo se la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo, sì da potersi concretamente configurare un’effettiva compromissione dell’integrità psicofisica del soggetto leso, non già quando la morte sia sopraggiunta immediatamente o comunque a breve distanza dall’evento, giacchè essa non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma lesione di un bene giuridico diverso, e cioè del bene della vita (confr. Cass. civ. 17 gennaio 2008, n. 870; Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18163; Corte cost. n. 372 del 1994);

b) che parimenti il danno cosiddetto catastrofale – e cioè la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia – è risarcibile e può essere fatto valere iure hereditatis unicamente allorchè essa sia stata in condizione di percepire il proprio stato, abbia cioè avuto l’angosciosa consapevolezza della fine imminente, mentre va esclusa quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente il coma e il danneggiato non sia rimasto lucido nella fase che precede il decesso (confr. Cass. civ. 28 novembre 2008, n. 28423; Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754);

c) che non è risarcibile il danno tanatologico, da perdita del diritto alla vita, fatto valere iure successionis dagli eredi del de cuius, per l’impossibilità tecnica di configurare l’acquisizione di un diritto risarcitorio derivante dalla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare, e da questo fruibile solo in natura: e invero, posto che finchè il soggetto è in vita, non vi è lesione del suo diritto alla vita, mentre, sopravvenuto il decesso, il morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è in condizione di acquistare alcun diritto, il risarcimento finirebbe per assumere, in casi siffatti, un’anomala funzione punitiva, particolarmente percepibile laddove il risarcimento dovesse essere erogato a eredi diversi dai congiunti o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato (confr. Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754; Cass. civ. 16 maggio 2003, n. 7632);

d) che il danno biologico, consistente nella lesione della integrità psicofisica, costituzionalmente presidiata ( art. 32 Cost.), rivendicato iure proprio dai prossimi congiunti della vittima c.d. primaria, presuppone l’accertamento dell’incisione del bene della salute e, in quanto danno conseguenza, va allegato e dimostrato (confr. Cass. civ. 3 febbraio 2011, n. 2557; Cass. civ. 8 marzo 2011, n. 5437; Cass. civ. 8 ottobre 2007, n. 20987).

8 Venendo al caso di specie, la scelta decisoria del giudice di merito – che nessun importo ha liquidato nè a titolo di danno tanatologico, nè a titolo di danno biologico, iure hereditatis, non essendovi stato un apprezzabile lasso di tempo tra lesioni e morte della vittima, nè, ancora, a titolo di danno biologico iure proprio, non avendo le attrici provato di essere state lese nel bene della salute – costituisce coerente e corretta applicazione di tali principi.

La sentenza impugnata resiste pertanto ai rilievi critici formulati dalle ricorrenti, rilievi i quali postulano, in maniera puramente assertiva, una lucida sopravvivenza del de cuius durante il trasporto in ospedale (e cioè per un lasso di tempo che, in base a nozioni di fatto di comune esperienza, neppure si presta, in ogni caso, a essere definito apprezzabile), ovvero pretese lesioni della integrità psicofisica di esse stesse e di A.A., a seguito del lutto subito, senza neppure allegare i riscontri probatori dimostrativi di tali effetti lesivi, pretesamente ignorati dal giudice di merito.

9 In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato.

La peculiarità del caso consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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