Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-06-2011, n. 12691 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I fatti di causa, rilevanti ai fini della decisione del ricorso, possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

Con citazione notificata in data 8 febbraio 1993 R.F., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sui figli minori G.D., G.M. e G.L., convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Lamezia Terme, Sa.

R., Ru.Ar. e S.A.I. Società Assicuratrice Industriale s.p.a. – per ivi sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti per effetto dell’incidente stradale in cui aveva perso la vita G.U., dante causa suo e dei suoi rappresentati.

Espose che il giorno 11 luglio 1990 questi, nel mentre alla guida di un autoarticolato di proprietà della società Mario Runco & Figlio, stava percorrendo la carreggiata Nord dell’Autostrada (OMISSIS), era stato costretto, a causa di un guasto, ad arrestare il mezzo sul margine destro della corsia; che l’autocarro di proprietà di Ru.Sa., condotto da Ru.Ar., sopraggiungendo nello stesso senso di marcia, aveva violentemente tamponato l’autoarticolato; che il semirimorchio, proiettato in avanti, ne aveva travolto il guidatore, sceso dal veicolo per chiedere soccorso;

che il G. aveva riportato lesioni gravissime che ne avevano cagionato il decesso durante il trasporto in ospedale.

S.A.I. s.p.a., costituitasi in giudizio, contestò l’avversa pretesa, sostenendo che l’incidente si era verificato per colpa esclusiva della controparte che, fermatosi a seguito dell’avaria del mezzo in un punto della strada privo di illuminazione, non solo aveva omesso di azionare qualsiasi segnalazione luminosa e di collocare il segnale mobile di pericolo, ma si stava forse accingendo, unitamente ad altre persone, a effettuare una pericolosa manovra di traino. Con sentenza del 9 novembre 2001 il giudice adito, ritenuta la pari responsabilità di G.U. e di Ru.Ar. nella causazione del sinistro, condannò i convenuti in solido al pagamento della somma di L. 60.000.000 in favore di R.F. e della somma di L. 50.000.000 ciascuno in favore di G.D., G.M. e G.L., oltre interessi sui predetti importi devalutati alla data del sinistro e via via rivalutati secondo gli indici ISTAT. Su gravame principale degli attori e incidentale di S.A.I. – Società Assicuratrice Industriale s.p.a. – la Corte d’appello di Catanzaro, in data 27 dicembre 2005, in parziale riforma della impugnata sentenza, ha condannato Ru.Sa., in proprio e nella qualità di erede di Ru.Ar., nonchè S.A.I. s.p.a., in solido tra loro, al pagamento, della somma di Euro 40.000,00, in favore di R.F., e della somma di Euro 35.000,00 ciascuno, in favore di G.D., G.M. e L. G., oltre accessori, secondo le stesse modalità di computo stabilite in prime cure.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione, illustrato anche da memoria, R.F., G.D., G. M. e G.L., formulando quattro motivi e notificando l’atto a SAI s.p.a. e a Sa.Ru..

Resistono con controricorso Fondiaria SAI s.p.a., mentre nessuna attività difensiva ha svolto l’altro intimato.
Motivi della decisione

1.1 Col primo motivo gli impugnanti denunciano violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. Le critiche si appuntano contro l’assunto del giudice di merito secondo cui i conducenti dei due veicoli coinvolti nel sinistro avevano parimenti contribuito alla sua causazione.

L’affermazione sarebbe apodittica in quanto desunta soltanto dal mancato rinvenimento sul luogo dell’incidente – secondo il rapporto redatto dal Comandante della Polizia Stradale di Lamezia Terme – del pezzo di campana da traino dell’autoarticolato, rottosi, presumibilmente, nell’urto contro il veicolo rimasto sconosciuto, che era in procinto di trascinarlo, nonchè del segnale mobile di pericolo che il G. avrebbe dovuto installare, senza considerare che i mezzi incidentati erano stati rimossi dall’ACI e la strada ripulita dall’ANAS e che neppure era stata elevata contravvenzione per omesso posizionamento del pannello di stop. 1.2 Col secondo mezzo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. per avere la Corte territoriale desunto tale omissione dal mancato rinvenimento del triangolo sul luogo del sinistro, a differenza della meno visibile corda da traino, senza considerare che, come rilevato dal c.t.u., il veicolo guidato dal G. avrebbe potuto essere trasportato solo con una barra rigida.

Deducono segnatamente gli esponenti il malgoverno del materiale istruttorie acquisito in ordine alla ricostruzione della dinamica dell’incidente.

1.3 Col terzo motivo vengono denunciati vizi motivazionali con riferimento all’affermata, pari responsabilità dei due conducenti nell’eziologia dei fatti, senza considerare che il G., non più alla guida del suo automezzo per causa di forza maggiore, era fermo in piedi sulla strada, davanti all’autoarticolato, e che la stessa Corte d’appello aveva dato per scontato che Ar.

R., al momento dell’incidente, non aveva i fari di profondità inseriti.

2 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente, per la loro evidente connessione, sono infondate.

Mette conto evidenziare che il giudice di merito, all’esito di un approfondito esame di tutte le emergenze istruttorie e sulla base delle motivate conclusioni dell’ausiliario, ha affermato che il G., costretto a fermarsi sulla parte destra della carreggiata a causa di un’avaria del veicolo, non aveva azionato i dispostivi di segnalazione luminosa di pericolo e non aveva collocato posteriormente al mezzo il c.d. triangolo; mentre, quanto alla condotta di guida di Ru.Ar., ha escluso che lo stesso, al momento dell’incidente, avesse i fari di profondità inseriti e che si trovasse a distanza di sicurezza dal furgoncino che lo precedeva, il cui guidatore era in effetti riuscito a schivare l’ostacolo rappresentato dall’autoarticolato del G.. Sulla base di tali elementi ha quindi concluso per la pari responsabilità di entrambi i conducenti nella eziologia dello scontro.

3 A fronte di tale impianto motivazionale, che pur dando atto del rinvenimento, sul luogo dell’incidente, di una corda da traino, dichiaratamente prescinde dalla questione se l’autoarticolato in avaria fosse o meno in procinto di essere trasportato, osserva il collegio che non hanno pregio le argomentazioni volte a prospettare l’implausibilità della mancata utilizzazione di una barra rigida, unico strumento ragionevolmente utilizzabile per la rimozione dell’autoarticolato. La scelta operata in dispositivo è invero maturata su altri dati di fatto da soli sufficienti, secondo il motivato apprezzamento del giudice di merito, a sorreggere l’affermazione della pari responsabilità dell’Umile nella produzione dell’evento. Tali elementi, sostanzialmente consistenti dell’omessa attivazione dei dispositivi idonei a segnalare ai mezzi che sopraggiungevano la presenza di un grosso ostacolo sulla carreggiata, sono stati del tutto ragionevolmente considerati concausa dell’epilogo lesivo, di talchè le critiche alla loro valorizzazione si risolvono in sollecitazione alla rilettura dei fatti e delle prove, preclusa in sede di legittimità.

A ciò aggiungasi che questa Corte ha a più riprese ribadito l’assoluta indifferenza, al fine di considerare in circolazione un veicolo, che lo stesso sia in marcia ovvero in sosta in luoghi ove si svolga il traffico veicolare, dovendosi qualificare come scontro qualsiasi urto tra due (o più) veicoli in marcia ovvero tra uno in moto ed uno fermo (confr. Cass. civ. 16 febbraio 2006, n. 3437; Cass. civ. 15 ottobre 1997, n. 10110). Ne deriva che anche per questa parte la sentenza impugnata resiste alle critiche formulate dai ricorrenti.

4 Col quarto mezzo vengono dedotti vizi motivazionali con riferimento alla mancata attribuzione di qualsivoglia somma a titolo di danno biologico, sia iure hereditatis che iure proprio, sotto il primo profilo, in ragione della quasi istantaneità della morte del G.; sotto il secondo, per non avere gli attori dimostrato di avere subito una lesione al bene della salute.

Così argomentando il giudice di merito non avrebbe considerato che il G. era in realtà deceduto almeno due ore dopo l’incidente, di talchè aveva avuto tutta la possibilità di attendere lucidamente e disperatamente l’estinzione della propria vita. Quanto poi al mancato riconoscimento del danno biologico iure proprio, la Corte territoriale avrebbe fatto malgoverno della giurisprudenza del Supremo Collegio ferma nel ritenere risarcibile il danno non patrimoniale derivante da perdita parentale (confr. Cass. civ. n. 15019 del 2005). Lamentano anche i deducenti il mancato riconoscimento del danno esistenziale, la cui richiesta era da ritenere conglobata in quella del risarcimento del danno biologico iure proprio. Infine il giudice di merito avrebbe errato nel negare agli eredi del G. il danno patrimoniale per la perdita del congiunto, sull’assunto che questo sarebbe stato interamente coperto dalla rendita costituita dall’INAIL, laddove costituirebbe fatto notorio che la morte di un congiunto ha istantanee conseguenze sia sul morale che sulle aspettative patrimoniali degli eredi.

5 Le critiche non hanno pregio.

Costituiscono invero massime ormai consolidate nella giurisprudenza di questa Corte: a) che in caso di lesione dell’integrità fisica con esito letale, un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, trasmissibile agli eredi, è configurabile solo se la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo, sì da potersi concretamente configurare un’effettiva compromissione dell’integrità psicofisica del soggetto leso, non già quando la morte sia sopraggiunta immediatamente o comunque a breve distanza dall’evento, giacchè essa non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma lesione di un bene giuridico diverso, e cioè del bene della vita (confr. Cass. civ. 17 gennaio 2008, n. 870; Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18163; Corte cost. n. 372 del 1994); b) che parimenti il danno cosiddetto catastrofale – e cioè la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia – è risarcibile e può essere fatto valere iure hereditatis unicamente allorchè essa sia stata in condizione di percepire il proprio stato, abbia cioè avuto l’angosciosa consapevolezza della fine imminente, mentre va esclusa quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente il coma e il danneggiato non sia rimasto lucido nella fase che precede il decesso (confr. Cass. civ. 28 novembre 2008, n. 28423; Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754);

c) che non è risarcibile il danno tanatologico, da perdita del diritto alla vita, fatto valere iure successionis dagli eredi del de cuius, per l’impossibilità tecnica di configurare l’acquisizione di un diritto risarcitorio derivante dalla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare, e da questo fruibile solo in natura: e invero, posto che finchè il soggetto è in vita, non vi è lesione del suo diritto alla vita, mentre, sopravvenuto il decesso, il morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è in condizione di acquistare alcun diritto, il risarcimento finirebbe per assumere, in casi siffatti, un’anomala funzione punitiva, particolarmente percepibile laddove il risarcimento dovesse essere erogato a eredi diversi dai congiunti o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato (confr. Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754; Cass. civ. 16 maggio 2003, n. 7632);

d) che il danno biologico, consistente nella lesione della integrità psicofisica, costituzionalmente presidiata ( art. 32 Cost.), presuppone l’accertamento dell’incisione del bene della salute e, in quanto danno conseguenza, va allegato e dimostrato (confr. Cass. civ. 3 febbraio 2011, n. 2557; Cass. civ. 8 marzo 2011, n. 5437; Cass. civ. 8 ottobre 2007, n. 20987). e) che del pari va allegato e dimostrato il danno patrimoniale derivante ai superstiti dalla morte di un congiunto, principio di cui costituisce applicazione il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10, commi 6 e 7, a tenor del quale il risarcimento spettante all’infortunato sul lavoro o ai suoi aventi diritto è dovuto solo nella misura differenziale derivante dal raffronto tra l’ammontare complessivo del risarcimento e quello delle indennità liquidate dall’I.N.A.I.L. in dipendenza dell’infortunio. E tanto al fine di evitare una ingiustificata locupletazione in favore dei sopravvissuti, i quali, diversamente, percepirebbero, in relazione al medesimo infortunio, sia l’intero danno, sia le indennità assicurative (confr. cass. civ. 25 maggio 20004, n. 10035).

6 Venendo al caso di specie, la scelta decisoria del giudice di merito – che nessun importo ha liquidato nè a titolo di danno patrimoniale, non avendo gli appellanti provato, e neppure allegato, l’esistenza di un danno differenziale rispetto a quello già riconosciuto dall’INAIL; nè a titolo di danno biologico iure hereditatis, non essendovi stato un apprezzabile lasso di tempo tra lesioni della vittima e morte della stessa; nè, ancora, a titolo di danno biologico iure proprio, non avendo gli attori provato di avere subito alcuna lesione al bene salute – costituisce coerente e corretta applicazione di tali principi, che il collegio integralmente condivide. La sentenza impugnata resiste pertanto ai rilievi critici formulati dai ricorrenti, i quali postulano, in maniera puramente assertiva, una lucida sopravvivenza del loro dante causa per circa due ore (e cioè per un lasso di tempo che, in base a nozioni di fatto di comune esperienza, neppure si presta, in ogni caso, a essere definito apprezzabile), ovvero pretese lesioni della loro integrità psicofisica a seguito del lutto subito, o ancora pregiudizi di carattere patrimoniale, senza neppure farsi carico di evidenziare le emergenze istruttorie dimostrative di tali effetti lesivi ingiustamente ignorate dal decidente. Infine costituisce questione nuova l’evocazione di un danno esistenziale pretesamente trascurato dal giudice di merito. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato. Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.700,00 (di cui Euro 3.500,00 per onorari), oltre IVA e CPA, come per legge.

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