Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
F. ed M.E. convennero in giudizio, dinanzi al tribunale di Lucca, S.N. e la Cooperativa edilizia "Gruppo Uno" s.r.l. per sentir accertare e dichiarare, previa offerta al S. della somma di circa L. 11 milioni, l’efficacia della rinuncia operata da quest’ultimo -in favore del M. – all’assegnazione di un appartamento ancora di proprietà della cooperativa, con conseguente accertamento e declaratoria della titolarità del diritto all’assegnazione in capo al M., giusta scrittura privata 17.5.198 9 intervenuta in tal senso, a condizione che M.E., o chi per esso, fosse stato ammesso come socio della cooperativa.
L’accordo conteneva altresì l’indicazione del prezzo del bene (L. 145 milioni), di cui parte (111 milioni) avrebbe costituito il rimborso di quanto versato dal S. alla cooperativa, mentre altra, residua tranche (versata contestualmente all’accordo) integrava il corrispettivo degli interessi e delle spese.
L’immissione in possesso in favore di M.F. (poi indicato dall’ E. come beneficiario della rinunzia, all’esito della sua ammissione a socio della cooperativa) avvenne contestualmente alla sottoscrizione, ma da quel momento il S. si rese irreperibile, salvo inviare agli attori intimazione di pagamento dell’importo di 111 milioni.
In particolare il S., nel costituirsi in giudizio, eccepì che l’accordo del 1989 integrava gli estremi del contratto preliminare, del quale era stato previsto il saldo a distanza di un mese, onde il mancato adempimento del promissario acquirente legittimava il suo recesso ex art. 1385 c.c., con ritenzione della somma già ricevuta, a titolo di caparra confirmatoria.
Il giudizio venne riunito ad altro procedimento con il quale i M., constatata la perdita della titolarità dell’appartamento da parte della cooperativa e la sua assegnazione al S., avevano a loro volta agito ex art. 2932 c.c. per ottenere una pronuncia costitutiva di trasferimento in loro favore dell’alloggio in contestazione.
Il giudice di primo grado accolse tale domanda, dichiarando l’immobile trasferito a M.F., e condizionando l’effetto traslativo al versamento, in favore di S.N., della somma di Euro 57.500,00.
La corte di appello di Firenze, investita del gravame proposto da quest’ultimo, lo rigettò.
La sentenza è stata impugnata dall’appellante con ricorso per cassazione sorretto da 4 motivi.
Resistono con controricorso, illustrato da memoria, F. e M.E..
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.
Con il primo motivo, si denuncia omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione degli artt. 1381 e 2932 c.c.; motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia.
I motivi, che vengono congiuntamente esposti e argomentati, sono inammissibili.
Essi si concludono con il seguente quesito di diritto: E’ ammissibile invocare la tutela prevista dall’art. 2932 c.c. anche nell’ipotesi in cui l’obbligazione consista nella promessa del fatto del terzo? La inammissibilità della formulazione che precede emerge, patente e irredimibile, alla luce dell’ormai consolidato principio secondo il quale il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione tanto nella fattispecie in esame (che viene del tutto pretermessa sul piano della sua completa ed autosufficiente enunciazione) quanto in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197). Ed è stato ulteriormente precisato (Cass. 19-2-2009, n. 4044) che il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ. a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta (quali quelle di specie) rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, ma deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una motivata alternativa di segno opposto; non senza considerare, ancora, che le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) come debba ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve (come nel caso di specie) in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice. Quanto al lamentato vizio motivazionaie, non può non rilevarsi come non appaia in alcun modo rinvenibile, in seno al complesso motivo che si scrutina, un qualsivoglia, efficace momento di sintesi contenente la chiara indicazione del fatto controverso che consenta a questa corte la individuazione del decisivo difetto di motivazione rappresentato in sede di illustrazione della doglianza. Palese risulta, pertanto, la duplice, contestuale violazione dell’art. 366 bis del codice di rito (così come ormai costantemente interpretato dalla giurisprudenza di questa corte regolatrice), applicabile alla fattispecie ratione temporis (la sentenza risulta, difatti, depositata il 21 luglio 2006).
Con il terzo motivo, si denuncia violazione dell’art. 1362 c.c. e segg. e art. 401 c.c. e art. 100 c.p.c.; insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.
Il motivo si conclude con i seguenti quesiti di diritto:
1) Il contraente ha un interesse giuridicamente rilevante, ex art. 100 c.p.c., ad impugnare il capo della sentenza che ritiene legittimamente esercitata la facoltà di nomina della persona che acquisterà i diritti nascenti dal contratto? 2) L’attribuzione al M.E. della facoltà prevista dall’art. 1401 c.c. in base alla seguente clausola "Il sig. M. E. o chi per lui farà domanda di ammissione come socio della cooperativa gruppo uno" è rispettosa dei canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c.? 3) Nell’ipotesi di risposta affermativa al predetto quesito, può la clausola suddetta consentire al contraente di nominare il terzo beneficiario oltre i limiti temporali previsti dall’art. 1401 c.c. senza che ciò costituisca violazione dei canoni ermeneutici di cui all’art. 1362? Il motivo è inammissibile, per palese inammissibilità dei quesiti che ne costituiscono la formulazione terminale.
L’inammissibilità scaturisce da un triplice ordine di motivi.
Oltre alle ragioni esposte in sede di analisi delle censure che precedono (ragioni che di per sè sole appaiono sufficienti a decretare l’irredimibile inammissibilità della doglianza in esame), esso viola, ancora, da un canto, il principio di diritto più volte affermato da questa corte regolatrice a mente del quale, ove il quesito ponga questioni di diritto non rappresentate in termini di logica consequenzialità, ma tra esse del tutto disomogenee (come nella specie), il quesito stesso non può in alcun modo ritenersi ammissibile (mentre a più forte ragione deve ancora dirsi inammissibile il quesito "condizionato", quale quello formulato sub 3), dall’altro, quanto al lamentato vizio motivazionale, esso sconta il medesimo, insuperabile limite della mancata sintesi della questione funzionale all’esame della decisività del declamato vizio da parte della corte di legittimità, come già rilevato in sede di esame dei motivi che precedono.
Con il quarto motivo, si denuncia violazione degli artt. 1460 e 1208 c.c., nonchè insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia. Il motivo si conclude con i seguenti quesiti di diritto: L’applicazione dell’art. 1460 c.c. rappresenta un’eccezione in senso proprio e quindi riservata esclusivamente all’iniziativa di parte, oppure è rilevabile d’ufficio dal giudice? Può considerarsi in mora il creditore qualora la prestazione offerta dal debitore risulti subordinata al verificarsi di condizioni ancora non avveratesi al momento dell’offerta? L’inammissibilità del doppio, disomogeneo quesito così come formulato dal ricorrente va nuovamente affermata alla luce di quanto già rilevato in sede di analisi del motivo che precede.
La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 5200,00, di cui Euro 200,00 per spese generali.
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