Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-02-2011) 23-03-2011, n. 11534

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.G., tramite difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, in data 6.4.2010, confermativa della sentenza 10.3.2009 del Tribunale di Roma che aveva condannato il S., per il reato di ricettazione di un assegno, concesse le attenuanti generiche, alla pena di un anno, mesi 4 di reclusione ed Euro 400,00 di multa. Il ricorrente chiedeva dichiararsi la nullità della sentenza impugnata deducendo:

1) mancanza di motivazione, per avere la Corte territoriale richiamato acriticamente le argomentazioni del giudice di prime cure, omettendo di disporre, ex art. 507 c.p.p., l’integrazione istruttoria richiesta, riguardante l’escussione di B.R. e di D.P.S., ossia di colui che aveva emesso il titolo in questione e del suo primo beneficiario, disattendendo, inoltre, l’esame dell’imputato e pervenendo ad una inammissibile presunzione di colpevolezza dell’imputato, oltrechè ad una inaccettabile sommaria ricostruzione dei diversi passaggi del titolo nella disponibilità di vari soggetti beneficiari;

2) la mancata integrazione probatoria comportava il vizio di mancata assunzione di prova decisiva che avrebbe consentito di chiarire le ragioni della materiale disponibilità dell’assegno da parte del S. e della buona fede dello stesso;

3) erronea applicazione della legge penale e mancanza di adeguata motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi lieve di cui all’art. 648 cpv. c.p., motivato con riferimento ai precedenti penali anche specifici a carico dell’imputato ed al consistente importo dell’assegno, pari a L. 4.950.000, senza tener conto delle modalità dell’azione, della personalità dell’imputato, e del valore economico della " res" ricettata; non erano stati indicati, inoltre, i criteri di cui all’art. 133 c.p.,al fine di giustificare la misura elevata della pena inflitta.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il ricorrente si limita a contestare genericamente la sentenza impugnata, in assenza di specifiche censure alle argomentazioni del giudice di appello che, rispondendo ai due motivi di appello proposti, ha dato conto della loro infondatezza, con motivazione esente da vizi di manifesta illogicità. E’ stato evidenziata, infatti, con motivazione conforme alla giurisprudenza citata in sentenza (Cass. n. 2436/97; n. 827/98) la sussistenza del dolo dell’imputato, per avere lo stesso omesso di fornire indicazioni circa l’identità della persona che gli aveva consegnato il titolo in questione, circostanza sintomatica della consapevolezza della provenienza illecita dell’assegno.

Il mancato riconoscimento dell’ipotesi lieve di cui all’art. 648 cpv. c.p. risulta pure adeguatamente motivato con riferimento ai precedenti penali, anche specifici a carico dell’imputato ed al consistente importo dell’assegno (L. 4.950.000). Tale motivazione è aderente alla giurisprudenza in materia della S.C. con cui è stato ribadito che il valore del bene è un elemento concorrente solo in via sussidiaria ai fini della valutazione dell’attenuante speciale della particolare tenuità del fatto, nel senso che, se esso non è particolarmente lieve, deve sempre escludersi la tenuità del fatto, risultando superflua ogni ulteriore indagine; solo ove sia accertata la lieve consistenza economica del bene ricettato, può procedersi, quindi, alla verifica della sussistenza di altri elementi (Cass. n. 28689/2010).

Va rammentato, peraltro, che la motivazione della sentenza di primo grado si integra con quella di appello nè può, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", essere superato il limite costituito dal "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui i giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dai probatori non esaminati dal primo giudice, ipotesi non ricorrente nella specie (Cass. n. 19710/2009; n. 38788/2006). Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *