Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-06-2011, n. 12635 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il decreto depositato il 12/5/2008, la corte d’appello di Roma ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri alla corresponsione a favore dei ricorrenti I.P., D.M. L. e C.S. della somma di Euro 2500,00 ciascuno, nonchè al rimborso delle spese di lite, per il danno non patrimoniale sofferto dai ricorrenti per la durata irragionevole del giudizio promosso avanti al Tar Lazio, per ottenere la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulle somme tardivamente erogate a seguito dell’inquadramento nelle qualifiche funzionali ai sensi della L. n. 312 del 1980, artt. 3 e 4, durato nei due gradi per oltre 11 anni.

La corte d’appello ha valutato nel caso superata di cinque anni la durata ragionevole del processo presupposto, fissata per il primo grado in quattro anni, e per il secondo grado, in due anni, ed ha riconosciuto ai ricorrenti, la somma di Euro 500,00 per ogni anno di eccessiva durata, così riducendo l’importo standard di 1000,00- 1500,00 Euro per anno, tenuto conto della modestia della pretesa di carattere esclusivamente economico, della condanna dell’amministrazione a favore dei tre ricorrenti, degli interessi compensativi, della non dimostrabilità del danno morale nel suo preciso ammontare. La corte territoriale ha riconosciuto a favore dei ricorrenti i soli onorari ed esborsi.

I., D.M. e C. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

La Presidenza del Consiglio resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1.1.- Con il primo motivo, i ricorrenti deducono ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, omissione, insufficienza, illogicità e/o contraddittorietà di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 e dell’art. 36 Cost., per avere la corte territoriale valutato la durata ragionevole di quattro anni per il primo grado di giudizio, senza idonea motivazione ed anzi contraddicendosi rilevando la non particolare complessità (si trattava di causa documentale).

1.2.- Col secondo motivo, i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione di legge, L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 6, 13 e 41 CEDU: interpretazione del giudice europeo in casi analoghi,violazione del principio di sussidiarietà, art. 35 CEDU, rilevando che la quantificazione della Corte di merito in Euro 500,00 per anno è irragionevole, alla stregua della giurisprudenza della Corte europea in casi analoghi, anche in considerazione della natura lavoristica della controversia presupposta, per la cui tipologia la Corte EDU e la Commissione hanno elaborato parametri diversi.

1.3.- Col terzo motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., del D.M. n. 127 del 2004, artt. 4 e 5, mancata liquidazione delle competenze, omessa pronuncia, per non avere la Corte di merito liquidato i diritti di avvocato.

2.1.- Va superata in primis l’eccezione di inammissibilità dei motivi sollevata dalla Presidenza del Consiglio, atteso che i quesiti in oggetto si palesano adeguatamente attinenti alle argomentazioni addotte ed alle statuizioni rese dalla Corte territoriale nel decreto impugnato.

Il primo motivo di ricorso è fondato, atteso che nessuna motivazione è stata resa dalla Corte del merito, tale da giustificare lo scostamento dal parametro del triennio adottato dalla giurisprudenza della Corte europea, anzi la maggior durata ritenuta ragionevole si pone in palese contraddizione con la natura non particolarmente complessa del giudizio presupposto, parimenti ritenuta dalla Corte territoriale.

2.2- E’ fondata, nei limiti di seguito esposti, la censura relativa al quantum dell’indennizzo riconosciuto dalla Corte d’appello.

Va a riguardo fatta applicazione dei principi più volte affermati da questa Corte, come espressi, tra le altre, nelle pronunce 17 922/2010 (nella forma dell’ordinanza), 819/2010 e 21840/2009, che in merito si è così espressa: "i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea, che ha fissato un parametro tendenziale di Euro 1.000,00/1.500,00 per anno, non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della "posta in gioco", apprezzata in comparazione con la situazione economico-patrimoniale della parte, che questa ha l’onere di allegare e dedurre; il "numero dei tribunale che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento"…) purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte… Cass. n. 6039 del 2009; n. 6898 del 2008); in virtù della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale (costituiti appunto, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura delle medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesioni di diritti diversi da quello in esame, la quantificazione deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole , dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno".

Da quanto sopra esposto, consegue che non è giuridicamente rilevante, al fine della attribuzione di una somma apprezzabilmente inferiore rispetto a detto standard minimo, il riferimento alla modestia della posta in gioco ed all’ottenimento degli interessi compensativi da parte dell’Amministrazione soccombente.

2.3.- Il terzo motivo è assorbito, dovendosi procedere a nuova statuizione sul punto.

3.1.- Conclusivamente, il decreto impugnato, in accoglimento del ricorso nei limiti sopra esposti, deve essere cassato e, decidendosi nel merito ex art. 384 c.p.c., tenuto conto degli elementi sopra esposti, va condannata la Presidenza del Consiglio a versare a ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 5250,00, oltre interessi legali dalla domanda, oltre le spese del giudizio di merito e di legittimità, spese liquidate per il giudizio di merito, in Euro 794,00 per diritti, Euro 700,00 per onorari ed Euro 100,00 per spese, e per il giudizio di legittimità, in Euro 1000,00, di cui Euro 900,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge; con distrazione a favore dei difensori antistatari.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio a versare a ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 5250,00 ciascuno, oltre interessi legali dalla domanda, nonchè alla rifusione delle spese di lite, che determina per il giudizio di merito, in Euro 794,00 per diritti, Euro 700,00 per onorari ed Euro 100,00 per spese, e per il giudizio di legittimità, in Euro 1.000,00, di cui Euro 900,00 per onorari; oltre spese generali ed accessori di legge, con distrazione a favore degli avv. G. Ferriolo e F.E. Abbate, antistatari.

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