Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-06-2011, n. 12630 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Nel febbraio 1998 la Sipontum s.p.a, convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Forlì il Comune di Longiano, per sentirlo condannare al pagamento in proprio favore della somma di L. 123.756.781 quale importo residuo del credito per lavori eseguiti in appalto dalla impresa individuale di M.P.T., con il quale essa attrice, società finanziaria, aveva concluso – secondo quanto da essa dedotto – una complessa operazione, articolata nel conferimento da parte del M., poco dopo l’aggiudicazione in suo favore dell’appalto, di un mandato irrevocabile all’incasso dei corrispettivi che sarebbero via via maturati a seguito del deposito dei S.A.L., e nella successiva sottoscrizione, al momento della emissione delle varie fatture relative all’avanzamento dei lavori, di contratti denominati "apertura di credito" contro cessione salvo buon fine dei crediti di cui alle fatture. Avendo il Comune corrisposto complessivamente ad essa attrice la somma di L. 68.880.389 su un importo complessivo delle fatture emesse di L. 192.637.170, residuava il credito sopra indicato. Il Comune di Longiano contestava la domanda, rilevando tra l’altro che il credito finale dei lavori era stato contabilizzato, a seguito della risoluzione del contratto di appalto per inadempimento della Impresa M., in L. 40.596.510 oltre Iva; e che, antecedentemente all’esigibilità di tale somma, era intervenuta la declaratoria, in data 10 luglio 1997, del fallimento del M., il cui curatore aveva intimato per iscritto al Comune di non effettuare alcun pagamento. Chiedeva peraltro il Comune l’autorizzazione a chiamare in causa il Fallimento M., onde accertare chi avesse diritto alla ricezione della somma anzidetta. Il Fallimento M. si costituiva in giudizio chiedendo il pagamento della somma residua, e, in via riconvenzionale, la revoca, ai sensi della L. Fall., art. 67 comma 1, n. 2, ovvero in subordine dell’art. 67, comma 1, n. 3, degli atti in base ai quali la Sipontum aveva percepito dal Comune, prima del fallimento, la somma complessiva di L. 68.880.389 (cioè del mandato all’incasso conferito dal M. con atto notarile del 31 maggio 1996 e dei singoli pagamenti); in subordine, chiedeva revocarsi gli stessi pagamenti ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2. 2. Con sentenza depositata il 23.9.2003, il Tribunale di Forlì rigettava la domanda di Sipontum e, in accoglimento delle domande proposte dal Fallimento M., dichiarava il Comune di Longiano tenuto a pagare alla Curatela la somma di Euro 23.062,98 (pari a L. 44.656.161), dichiarava inefficaci i pagamenti per complessivi Euro 35.573,75 (pari a L. 68.880.389) eseguiti dal Comune il 20 luglio ed il 2 novembre 1996 in favore di Sipontum, e condannava quest’ultima a restituire alla Curatela la somma stessa oltre accessori.

3. Proponeva appello la Sipontum, cui resistevano il Comune di Longiano ed il Fallimento M., quest’ultimo proponendo anche appello incidentale per la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva accolto le domande gradatamente formulate dalla Curatela ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 1 o comma 1, n. 3 o comma 2. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza depositata il 7 luglio 2005, confermava la sentenza impugnata pur modificandone ed integrandone la motivazione. Rilevava la Corte che doveva attribuirsi rilevanza centrale nella intera operazione – volta nel suo complesso a soddisfare le ragioni creditorie che sarebbero derivate a Sipontum dai finanziamenti poi erogati all’impresa M. – al mandato conferito il 31.5.1996 a Sipontum dall’impresa stessa per la riscossione dei crediti che sarebbero maturati a favore di quest’ultima nei confronti del Comune di Longiano; e che le lettere/contratto di apertura di credito contro cessione dei crediti via via maturati dovevano ritenersi (considerato che non sempre la riscossione era avvenuta in base a lettera-cessione di credito, non vi era alcuna relazione diretta tra le somme erogate all’Impresa da Sipontum e la dichiarata entità del credito, e la cessione era inconciliabile con l’avvenuto addebito all’Impresa di interessi passivi) quali meri ed impropri – vista l’incompatibilità con il mandato originario – accorgimenti formali per giustificare contabilmente la legittimazione a riscuotere, già concessa genericamente a Sipontum, e a trattenere le somme stesse a compensazione dei propri crediti. Quindi la tesi, avanzata per la prima volta da Sipontum in comparsa conclusionale di primo grado e ribadita in appello, secondo la quale il rapporto dovesse qualificarsi come factoring ai fini dell’applicazione della L. n. 52 del 1991 (cui sarebbe conseguita fra l’altro, a norma dell’art. 6 di tale legge, l’irrevocabilità dei pagamenti eseguiti dal Comune a favore di Sipontum), era oltre che inammissibile perchè tardiva, comunque priva di fondamento sia per mancanza di effettiva cessione dei crediti sia per mancanza di prova della sussistenza, in capo alla società appellante, dei requisiti previsti dalla legge per l’esercizio dell’attività di factoring. Si giustificava invece, nel contesto descritto, la revoca ex art. 67, comma 1, n. 2, sia del mandato all’incasso (quale atto costitutivo del rapporto, con effetti sostanzialmente analoghi a quelli della cessione di credito, e come tale mezzo anormale di soddisfacimento), sia dei pagamenti ricevuti da Sipontum in base al mandato stesso, non avendo peraltro quest’ultima fornito prova idonea a vincere la presunzione prevista a suo carico dalla L. Fall., art. 67, comma 1. Conseguente poi era l’infondatezza della pretesa della Sipontum di ottenere dal Comune di Longiano il pagamento dei crediti residui già maturati alla data di risoluzione del rapporto.

4. Avverso tale sentenza Sipontum s.p.a. (poi trasformatasi in s.r.l.) ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato in data 7 ottobre 2005, formulando quattro motivi. Resiste il Fallimento M. con controricorso e ricorso incidentale condizionato, nonchè il Comune di Longiano con controricorso. La ricorrente ed il resistente Comune hanno depositato memorie.
Motivi della decisione

1. Si impone innanzitutto, a norma dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei due ricorsi proposti avverso la stessa sentenza.

2. Il Comune di Longiano eccepisce in via pregiudiziale l’inammissibilità del ricorso della Sipontum, adducendo che la copia notificatagli mancherebbe "di alcune parti", e non sarebbe "formulato il petitum del mezzo di impugnativa". L’eccezione non merita accoglimento, attesa la estrema genericità con la quale è formulata, tale da non potersi apprezzare le ragioni per le quali la dedotta incompletezza della copia notificata dell’atto di impugnazione impedirebbe al Comune l’esercizio effettivo del proprio diritto di difesa. Il che peraltro trova indiretta smentita nello stesso controricorso e nelle puntuali considerazioni, ivi contenute, sul merito della impugnazione proposta dalla controparte.

3. Venendo all’esame del ricorso proposto da Sipontum, la ricorrente denuncia in via pregiudiziale violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. e vizio di motivazione in relazione alla statuizione della sentenza impugnata circa la inammissibilità, perchè nuova, della prospettazione giuridica del rapporto tra le parti, contenuta nell’atto di appello, in termini di contratto di factoring, che la Corte di merito ha ritenuto affatto diversa da quella (mandato all’incasso collegato a successiva cessione di credito) indicata da Sipontum nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado.

Sostiene la ricorrente che la tesi del factoring fosse già contenuta nell’atto introduttivo in prime cure, e che in ogni caso non di mutatio libelli bensì di emendatio si tratterebbe, essendo sempre consentita la modificazione della qualificazione giuridica della pretesa, rimanendo inalterato il thema decidendum. 3.1 Ciò posto, la ricorrente si duole della ulteriore statuizione svolta in subordine dalla Corte d’appello in merito alla non ricorrenza nella specie di un rapporto di factoring, denunciando: a)violazione degli artt. 1260 e 1372 c.c. e art. 1414 c.c., e segg., nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto meri accorgimenti formali le cessioni di credito, che sarebbero invece contratti pienamente efficaci, la cui simulazione sarebbe stata solo adombrata immotivatamente dalla corte di merito; b) violazione della citata L. n. 52 del 1991, artt. 1 e 2, del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 106, dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta mancanza di prova dei requisiti soggettivi in capo a Sipontum per svolgere attività di factoring, circostanza che risulterebbe pacifica e comunque provata dai documenti prodotti in appello. 3.2. Denuncia quindi: a) violazione della L. n. 52 del 1991, artt. 5, 6 e 7 e vizio di motivazione, dovendo ritenersi la ricorrenza di un rapporto di factoring e quindi ritenersi la opponibilità delle cessioni al fallimento del cedente e la irrevocabilità dei pagamenti ricevuti;

b)violazione, sotto altro profilo, della citata L. n. 52 del 1991, artt. 7 e 5. 3.3 Denuncia inoltre la Sipontum violazione della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2 e dell’art. 2697 c.c., sostenendo che la domanda di revocatoria doveva comunque essere disattesa, difettandone i presupposti sia oggettivì sia soggettivi previsti dalla legge fallimentare. 3.4 Infine la Sipontum ripropone, in via cautelare, alcune questioni ritenute assorbite dalla Corte d’appello, perchè inerenti a ragioni ulteriori di infondatezza della domanda della odierna ricorrente nei confronti del Comune di Longiano (con riguardo alla inefficacia nei confronti di quest’ultimo delle cessioni di credito).

4. Il Fallimento della Impresa M., a sua volta, ripropone con ricorso incidentale condizionato, per la denegata ipotesi di accoglimento del ricorso principale, tutte le domande riconvenzionali proposte in via gradata nel giudizio di primo grado.

5. Il ricorso della Sipontum è privo di fondamento.

5.1 Rettamente la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile, a norma dell’art. 345 c.p.c., comma 1, la nuova prospettazione giuridica basata sul contratto di factoring. La novità della prospettazione, in primo luogo, si evince già dalla formulazione del motivo, ove la ricorrente non censura specificamente la individuazione da parte della Corte di merito della diversità intercorrente, in ordine alla qualificazione giuridica del rapporto, tra la citazione in primo grado e l’atto di appello, ma si limita ad affermare genericamente che già nel primo atto "la tesi del factoring era stata sostenuta (cfr. pagg. 11-12)", e che "nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, si era dato esplicitamente atto che la Sipontum è una società finanziaria che opera nel factoring". L’esame della citazione stessa poi (che la natura del vizio denunciato consente) conferma come il riferimento al factoring ivi contenuto non integri affatto una distinta prospettazione del rapporto in esame, essendo privo di ogni sviluppo argomentativo ed anzi inserito in tutt’altro contesto;

altrettanto vale per il mero riferimento descrittivo contenuto nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5. Ferma dunque la novità della prospettazione giuridica sviluppata dalla odierna ricorrente nel giudizio di appello, merita condivisione la considerazione della Corte di merito secondo la quale tale mutamento non possa essere consentito quando, come nella specie, renda necessario l’espletamento di nuove indagini, anche di fatto, precluse in appello dal divieto generale di ius novorum posto dall’art. 345 c.p.c.. E in effetti non è in sè la novità della qualificazione giuridica del rapporto che viola la preclusione posta dall’art. 345 c.p.c., bensì il mutamento dei fatti costitutivi della pretesa, che introduce un nuovo tema di indagine e di decisione. Mutamento che si verifica (cfr. ex multis Cass. n. 8342/2010) non solo quando in atto di appello si deducano fatti mai prima evidenziati, ma anche quando tali fatti, genericamente esposti in primo grado al mero scopo di descrivere ed inquadrare altre circostanze, siano per la prima volta in appello dedotti con una differente portata, determinando in tal modo l’introduzione per l’appunto di un nuovo tema di indagine. Nuovo nella specie anche in fatto, quanto alla ricorrenza dei requisiti per l’applicazione nel caso in esame delle norme eccezionali previste dalla L. n. 52 del 1991: requisiti che infatti Sipontum afferma provati sulla base dei documenti da essa prodotti in appello, in violazione del divieto di cui all’art. 345 c.p.c. (sostiene anche che fossero pacifici, senza tuttavia precisare se e in quale luogo processuale fossero stati specificamente allegati).

5.2 L’infondatezza del motivo pregiudiziale testè esaminato rende quindi prive di rilevanza le molteplici censure sopra riportate ai punti 3.1 e 3.2, tutte basate sulla nuova prospettazione del rapporto inammissibilmente introdotta in appello e dirette non utilmente a contrastare la valutazione, espressa in via subordinata nella sentenza impugnata, di infondatezza nel merito della prospettazione stessa.

5.3 Quanto alle censure espresse dalla ricorrente (cfr. sopra punto 3.3) in ordine alla ritenuta sussistenza dei presupposti per la revocatoria del mandato irrevocabile all’incasso, esse si sostanziano, da un lato, nel richiamare la tesi giurisprudenziale secondo la quale la cessione del credito pattuita contestualmente al sorgere del credito con essa estinto non costituirebbe un mezzo anormale di pagamento (anche per la attività di factor di essa cessionaria), dall’altro nella affermazione secondo la quale non vi sarebbe prova della scientia decoctionis in essa cessionaria, aprioristicamente ritenuta esistente dalla Corte di merito. Va tuttavia rilevato come il primo riferimento – con il quale la ricorrente sembrerebbe implicitamente prospettare, con la suddetta contestualità, una natura non solutoria bensì di garanzia della "cessione" realizzata con il mandato irrevocabile all’incasso – tenda ad introdurre un profilo nuovo, che non risulta essere stato esaminato dal giudice d’appello, non avendo peraltro la ricorrente indicato se ed in quale passo dell’atto di appello sia stata dedotta una tesi siffatta, il cui esame è dunque precluso in questa sede.

Resta, sul punto, una generica contestazione (basata peraltro sulla prospettazione della fattispecie alla stregua di un rapporto di factoring che si è già detto inammissibile) della anormalità dello strumento satisfattorio utilizzato nella specie, ritenuta dalla Corte di merito in conformità ad una giurisprudenza consolidata di questa Corte (secondo la quale è tale ogni pagamento non effettuato con danaro o con titoli di credito considerati equivalenti al danaro), che il collegio condivide. Quanto poi alla generica contestazione della ricorrente circa la propria scientia decoctionis, premesso che la sentenza impugnata ha rettamente rilevato come la predetta non avesse assolto all’onere ad essa attribuito dalla L. Fall., art. 67, comma 1, di provare la sua non conoscenza della stato di insolvenza e come fossero piuttosto emersi elementi di segno opposto (le revoche degli affidamenti dei quali la M. godeva presso altre banche, già effettuate al momento del rilascio del mandato irrevocabile), inconferente – oltre che inammissibile per genericità, non avendo ad oggetto le circostanze suindicate – si mostra la generica affermazione della ricorrente circa la insussistenza della prova di tale elemento soggettivo.

6. Inammissibile, infine, per mancanza di interesse oltre che per l’inapplicabilità al giudizio di cassazione del disposto dell’art. 346 c.p.c., deve ritenersi la riproposizione, in via cautelare, da parte di Sipontum di alcune questioni ritenute assorbite dalla Corte d’appello, perchè inerenti a ragioni ulteriori di infondatezza della domanda della odierna ricorrente nei confronti del Comune di Longiano (con riguardo alla inefficacia nei confronti di quest’ultimo delle cessioni di credito).

6.1 Parimenti inammissibile deve ritenersi il ricorso incidentale condizionato proposto dalla Curatela del fallimento M. per l’accoglimento delle sue domande sotto altri profili ritenuti assorbiti (cfr. ex multis Cass. n. 3796/2008).

7. In conclusione, si impone il rigetto del ricorso proposto da Sipontum, con la conseguente condanna della medesima al pagamento in favore delle controparti delle spese di questo giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in favore del Fallimento M. in Euro 2300,00 per onorari e Euro 200,00 per spese, ed in favore del Comune di Longiano in Euro 2400,00 per onorari e Euro 200,00 per spese, oltre – per entrambi – spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *