T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 21-03-2011, n. 2397

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone in fatto l’odierno ricorrente che con D.P.C.M. del 16 ottobre 1987 è stato trasferito, quale Vice Questore Aggiunto, nella consistenza organica della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la durata di tre anni in fuori ruolo e di essere stato successivamente trasferito in via definitiva con D.P.C.M. dell’11 gennaio 1997, svolgendo la propria attività presso il SISMI con il grado di Direttore di Sezione.

Con D.P.C.M. del 17 luglio 2007 è stato disposto il rientro del ricorrente presso l’Amministrazione di provenienza per esigenze di servizio ai sensi dell’art. 6, lettere b) del D.P.C.M. n. 7 del 1980.

Previa illustrazione delle vicende antecedenti l’adozione di tale provvedimento, deduce parte ricorrente, avverso lo stesso, i seguenti motivi di censura:

1 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione dell’art. 6, lettera b) e dell’art. 14 del D.P.C.M. n. 7 del 1980. Eccesso di potere per sviamento e sotto vari altri profili.

Nel richiamare il contenuto del gravato provvedimento, denuncia parte ricorrente la mancanza di motivazione in relazione alle esigenze di servizio previste dall’art. 6, lettera b) del D.P.C.M. n. 7 del 1980, limitandosi tale provvedimento a richiamare la proposta di rientro ed il parere sulla stessa espresso, che non potrebbero integrare una motivazione per relationem in quanto non attinenti alle ipotesi previste in tale norma, con conseguente violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990.

L’Amministrazione non avrebbe, inoltre, indicato quali siano le esigenze di servizio sottese al disposto rientro nell’Amministrazione di appartenenza, così violando lo stesso disposto di cui alla norma in base alla quale ha adottato il gravato provvedimento., che prevede cause tassative ed oggettive di restituzione del dipendente che debbono altresì essere verificabili al fine di evitare situazioni di arbitrio.

2 – Violazione dell’art. 6 del D.P.C.M. n. 7 del 1980. Errore nei presupposti. Eccesso di potere sotto vari profili.

Non risulterebbe né dal gravato provvedimento, né dalla proposta di rientro, né dal parere la comprovata cessazione dell’esigenza che aveva determinato il trasferimento del ricorrente nei ruoli del SISMI, riferendosi la motivazione della decisione unicamente al venir meno del rapporto fiduciario.

3 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del D.P.C.M. n. 7 del 1980. Eccesso di potere sotto vari profili.

Sostiene parte ricorrente come neanche la proposta ed il parere espressi sul rientro presso l’Amministrazione di appartenenza potrebbero essere ricondotti all’art. 6 lettera b) del D.P.C.M. n. 7 del 1980 stante il richiamo ad esigenze di servizio contenuto nel gravato provvedimento, con conseguente sviamento dall’azione tipica ed errore nei presupposti.

La proposta di rientro sarebbe, inoltre, stata accettata acriticamente e ricondotta ad una fattispecie astratta del tutto inconferente, né tale rientro potrebbe essere ricondotto alla previsione di cui alla lettera c) del D.P.C.M. n. 7 del 1980 non sussistendo alcuna situazione di incompatibilità con il regolare e proficuo svolgimento dei compiti istituzionali che, in quanto riferita a profili di carattere oggettivo, non potrebbe ricomprendere il venir meno del rapporto fiduciario, il quale dovrebbe comunque intendersi riferito al rapporto con l’istituzione, e non con il Direttore del Servizio.

Scopo del gravato provvedimento sarebbe, quindi, quello di allontanare il ricorrente al di fuori delle ipotesi e dei casi previsti dalla normativa di riferimento.

Contesta, quindi, puntualmente parte ricorrente i rilievi contenute nella proposta e nel parere, come riferiti ad atteggiamenti di contrapposizione alle decisioni assunte dal Vertice ed alla volontà di svelare informazioni sottoposte a particolare tutela, che, nel non integrare violazioni disciplinari, denoterebbero l’irrazionalità ed apoditticità del disposto rientro, assunto in sviamento di potere quale strumento per rimuovere il ricorrente al di fuori dei casi consentiti.

5 – Inesistenza delle esigenze di servizio.

Nel ribadire, parte ricorrente, come il gravato provvedimento abbia finalità sanzionatoria, riferita anche alla avvenuta proposizione di ricorso, lamenta la mancata esplicitazione delle esigenze di servizio che possano giustificare il disposto rientro.

6 – Infondatezza degli assunti.

Contesta parte ricorrente di avere svelato informazioni sottoposte a tutela o comportamenti rilevanti ai fini della sicurezza, come affermato nel gravato provvedimento.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione depositando pertinente relazione illustrativa.

Con ricorso per motivi aggiunti, notificati in data 28 marzo 2008 e depositati in data 11 aprile 2008, parte ricorrente ha proposto azione impugnatoria avverso il decreto del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza del 10 gennaio 2008, recante il reinserimento del ricorrente nei ruoli della Polizia di Stato con la qualifica di Dirigente Superiore dall’1 gennaio 2001.

A sostegno dell’azione, precisa in fatto l’odierno ricorrente di essere stato trasferito dai ruoli della Polizia di Stato nella consistenza organica della Presidenza del Consiglio dei Ministri in posizione di fuori ruolo con D.P.C.M. del 16 ottobre 1987 e che, in tale posizione, con decreto ministeriale del 31 dicembre 1993, gli è stata attribuita la qualifica di primo dirigente della Polizia di Stato con decorrenza 1 gennaio 1993.

È stato quindi trasferito in via definitiva nella consistenza organica dei Servizi informativi con D.P.C.M. dell’11 gennaio 1997, dove ha ricoperto l’incarico di direttore di sezione dall’1 dicembre 1996, e di cui aveva la reggenza dall’1 dicembre 1994.

Con D.P.C.M. del 17 luglio 2007 – gravato con ricorso principale – è stato disposto il rientro del ricorrente nei ruoli della Polizia di Stato, mentre, con il gravato decreto del Capo della Polizia è stato reinserito nei ruoli della Polizia di Stato con la qualifica di Dirigente Superiore dall’1 gennaio 2001.

Avverso tale ultimo provvedimento deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

1 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del D.P.C.M. n. 7 del 1980. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.Lgs. n. 334 del 2000. Difetto di motivazione. Difetto di istruttoria. Irrazionalità. Illogicità. Violazione dell’art. 97 della Costituzione.

Contesta parte ricorrente il disposto inquadramento nei ruoli della Polizia di Stato con attribuzione della qualifica di Dirigente Superiore a far data dall’1 gennaio 2001 – effettuato nella considerazione che il primo dei funzionari con qualifica di primo dirigente che seguiva nel ruolo il ricorrente ad avere conseguito sulla base di scrutinio per merito comparativo la qualifica di Dirigente Superiore è il dr. Roberto Sgalla, promosso alla qualifica dall’1 gennaio 2001 – affermando come ai sensi della normativa di riferimento, individuata nell’art. 7 del D.P.C.M. n. 7 del 1980, il personale restituito all’Amministrazione di appartenenza viene inquadrato in soprannumero ed ha diritto, partendo dalla posizione giuridica rivestita al momento del trasferimento, alla ricostruzione della carriera, la quale, per il personale civile, avviene nella posizione derivante dall’anzianità complessiva prescindendo da corsi, esami e scrutini.

Nell’assunto, quindi, che la ricostruzione della carriera debba avvenire sulla sola base dell’anzianità di servizio nella posizione originariamente ricoperta nella Polizia di Stato, invoca parte ricorrente la spettanza della qualifica di Dirigente Superiore a decorrere dal 31 dicembre 1996, avendo a quella data maturato i tre anni di anzianità nella qualifica di Primo Dirigente previsti dall’art. 9 del D.Lgs. n. 334 del 2000 per il passaggio alla qualifica di Dirigente Superiore.

Dovendo prescindersi dallo scrutinio per merito comparativo, nessun rilievo potrebbe quindi attribuirsi alla circostanza che il primo dei funzionari che seguivano il ricorrente nel ruolo abbia ottenuto la qualifica di Dirigente Superiore in data 1 gennaio 2001, dovendo valere per il ricorrente il solo requisito della maturazione dell’anzianità minima per l’avanzamento.

2 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del D.P.C. M. n. 7 del 1980. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.Lgs. n. 334 del 2000. Difetto di motivazione. Difetto di istruttoria. Irrazionalità. Illogicità. Violazione dell’art. 97 della Costituzione.

L’Amministrazione non avrebbe dato alcuna contezza dell’iter logico seguito né della motivazioni per cui ha ritenuto di dover fare riferimento, ai fini della decorrenza della qualifica di Dirigente Superiore, al primo soggetto che seguiva il ricorrente nel ruolo dei dirigenti della Polizia di Stato, discostandosi da quanto previsto dalla specifica normativa di riferimento.

3 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7 e 10 bis della legge n. 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del D.P.C. M. n. 7 del 1980. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.Lgs. n. 334 del 2000. Difetto di motivazione. Difetto di istruttoria. Irrazionalità. Illogicità. Violazione dell’art. 97 della Costituzione.

Lamenta parte ricorrente l’omesso avviso di avvio del procedimento al fine di garantire la partecipazione procedimentale dell’interessato alla formazione del provvedimento.

4 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7 e 10 bis della legge n. 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del D.P.C. M. n. 7 del 1980. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.Lgs. n. 334 del 2000. Difetto di motivazione. Difetto di istruttoria. Irrazionalità. Illogicità. Violazione dell’art. 97 della Costituzione.

Denuncia parte ricorrente l’omessa comunicazione delle ragioni ostative all’adozione di un provvedimento favorevole all’interessato, come previsto dall’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990.

5 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7 e 10 bis della legge n. 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del D.P.C. M. n. 7 del 1980. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.Lgs. n. 334 del 2000. Difetto di motivazione. Difetto di istruttoria. Irrazionalità. Illogicità. Violazione dell’art. 97 della Costituzione.

L’Amministrazione avrebbe omesso di svolgere una adeguata e completa istruttoria in ordine all’inquadramento del ricorrente, avuto particolare riguardo alla sua speciale posizione ed alle disposizioni di disciplinano il rientro del personale nell’Amministrazione di appartenenza dai Servizi di Sicurezza.

6 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7 e 10 bis della legge n. 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del D.P.C. M. n. 7 del 1980. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.Lgs. n. 334 del 2000. Difetto di motivazione. Difetto di istruttoria. Irrazionalità. Illogicità. Violazione dell’art. 97 della Costituzione.

L’Amministrazione sarebbe stata vincolata, nel reinquadrare il ricorrente, al rispetto della normativa di riferimento, tenuto conto della riserva di legge che presiede all’organizzazione della Pubblica Amministrazione.

Con ulteriore ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 14 novembre 2008 e depositato in data 27 novembre 2008, parte ricorrente ha altresì impugnato la nota del Dipartimento della Pubblica Sicurezza con la quale è stata respinta la propria istanza di riesame volta ad ottenere la qualifica di Dirigente Superiore con decorrenza 1 gennaio 1997.

Nel ripercorrere parte ricorrente le vicende antecedenti l’adozione del gravato provvedimento, ne illustra nel dettaglio il contenuto, deducendo avverso lo stesso i seguenti motivi di censura:

1 – Violazione di legge (Artt. 3, 7 e 10 bis della legge n. 241 del 1990) – Eccesso di potere per la ricorrenza delle figure sintomatiche del difetto di istruttoria, della contraddittorietà tra atti, della disparità di trattamento, della irragionevolezza del provvedere.

Con riferimento alla doppia natura del gravato provvedimento – qualificato come comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di riesame con contestuale precisazione che in mancanza di osservazioni da parte del ricorrente avrebbe integrato il provvedimento finale – richiama parte ricorrente la disciplina dettata dall’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, ai sensi della quale la comunicazione dei motivi ostativi assume rilievo endoprocedimentale in quanto volta a garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, che non autorizzerebbe quindi l’Amministrazione a non adottare un successivo provvedimento formale conclusivo.

2 – Violazione di legge (D.L. n. 343 del 2003, D.Lgs. n. 303 del 1999) – Eccesso di potere per la ricorrenza delle figure sintomatiche del difetto di istruttoria, della contraddittorietà tra atti, della disparità di trattamento, della irragionevolezza del provvedere.

Precisa parte ricorrente di aver presentato istanza di riesame dell’avvenuta attribuzione della qualifica di Dirigente Superiore a decorrere dall’1 gennaio 2001, sulla base della disciplina dettata dal D.L. n. 343 del 2003, ai sensi del cui art. 2, comma 5 bis, il servizio prestato in posizione di comando o di fuori ruolo è equiparato ad ogni effetto al servizio prestato nell’Amministrazione di appartenenza, affermando di vantare il diritto ad essere promosso in detta qualifica in soprannumero prima del parigrado Grattieri, come anche previsto dall’art. 7 della legge n. 801 del 1977.

3 – Violazione di legge (Artt. 3, 7 e 10 bis della legge n. 241 del 1990) – Eccesso di potere per la ricorrenza delle figure sintomatiche del difetto di istruttoria, della disparità di trattamento, della irragionevolezza del provvedere.

Precisa parte ricorrente di non essere a conoscenza degli atti normativi di riferimento per la ricostruzione della carriera, e segnatamente dei DD.P.C.M. n. 7 del 1980 e n. 23 del 1988 in quanto segreti, chiedendone l’acquisizione in via istruttoria.

Deduce, inoltre, il difetto di motivazione del gravato provvedimento avuto particolare riguardo all’attribuzione della qualifica di Dirigente Superiore a decorrere dall’1 gennaio 2001 invece che dall’1 gennaio 1997, all’intervenuta applicazione della normativa adottata successivamente al suo trasferimento presso i Servizi e alla mancata considerazione della nota del CESIS del 15 luglio 2001, con la quale si afferma che al momento del rientro del ricorrente presso l’Amministrazione di appartenenza avrebbe dovuto essergli attribuita la qualifica di Dirigente Superiore con anzianità dall’1 gennaio 1997, con refluente integrazione anche del vizio di difetto di istruttoria.

Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha insistito nelle proprie deduzioni, ulteriormente argomentando.

La resistente Amministrazione ha precisato, quanto ai motivi aggiunti, che le relative questioni coinvolgono la competenza del Ministero dell’Interno.

Alla pubblica udienza del 23 febbraio 2011 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.
Motivi della decisione

Con il ricorso principale, introduttivo del presente giudizio, è proposta azione impugnatoria avverso il D.P.C.M. con il quale il ricorrente, proveniente dalla Polizia di Stato e trasferito inizialmente in posizione di fuori ruolo presso i Servizi Informativi ed ivi trasferito in via definitiva con D.P.C.M. dell’11 gennaio 1997 svolgendo attività di Direttore di Sezione presso il SISMI, è stato restituito all’Amministrazione di provenienza e messo a disposizione del Ministero dell’Interno, chiedendo altresì il ricorrente l’accertamento del proprio diritto alla reintegrazione nel servizio presso il SISMI.

Con ricorso per motivi aggiunti, il ricorrente ha impugnato il decreto del Capo della Polizia recante il reinserimento dello stesso nei ruoli della Polizia di Stato con la qualifica di Dirigente Superiore dall’1 gennaio 2001, chiedendo l’accertamento del proprio diritto ad essere inquadrato in tale qualifica a decorrere dall’1 gennaio 1997.

Con ulteriore ricorso per motivi aggiunti è stata, invece, proposta azione impugnatoria avverso la nota con cui il Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha respinto l’istanza di riesame inoltrata dal ricorrente con riferimento al disposto inquadramento della qualifica di Dirigente Superiore dall’1 gennaio 2001, volta ad ottenere l’attribuzione di tale qualifica con decorrenza 1 gennaio 1997.

Tanto premesso, procedendo, nella gradata elaborazione logica delle questioni sollevate, alla preliminare disamina dell’azione proposta con il ricorso introduttivo del presente giudizio, giova precisare, in punto di fatto, che il gravato D.P.C.M. ha disposto il rientro del ricorrente nell’Amministrazione di provenienza ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 6, lettera b) ed all’art. 7 del D.P.C.M. n. 7 del 1989 sulla base della proposta formulata in data 22 giugno dal Direttore del SISMI e del parere favorevole espresso in ordine alla stessa dal Consiglio per il Personale degli Organismi di Informazione e di Sicurezza in data 25 giugno 2007, di cui al verbale n. 113, anch’esso impugnato.

Sia la citata proposta che il conseguente parere rappresentano una serie di elementi posti a giustificazione del rientro del ricorrente presso l’Amministrazione di provenienza, riferiti – nella proposta di rientro – agli atteggiamenti del ricorrente di contrapposizione alle decisioni assunte dal Vertice in ordine al proprio avanzamento di qualifica, all’aver posto in essere comportamenti rilevanti ai fini della sicurezza, al degrado del quadro professionale e di rendimento, agli aspetti di sfiducia nei confronti dell’Amministrazione che hanno determinato una situazione di incompatibilità funzionale e compromesso i requisiti di affidabilità e riservatezza.

Il parere favorevole adottato in ordine a tale proposta si riporta ai sopra descritti elementi, evidenziando come la contrapposizione alle decisioni del Vertice abbia compromesso il necessario rapporto di fiducia, come l’instaurazione di contenzioso giurisdizionale abbia manifestato la volontà e coscienza di svelare elementi sottoposti a particolare tutela che pur non integrando gli estremi dell’illecito disciplinare non offre nel complesso sicurezza ai fini della tutela del segreto, per l’effetto essendosi determinata una situazione di incompatibilità funzionale che ha compromesso il rapporto fiduciario.

Avverso tali atti deduce parte ricorrente una serie di articolate censure volte a denunciarne l’illegittimità sotto vari profili.

Il Collegio, per ragioni di logica espositiva, ritiene di poter trattate congiuntamente le censure volte a denunciare il difetto di motivazione dei gravati provvedimenti, l’erroneità e lo sviamento del gravato provvedimento rispetto al parametro normativo di riferimento e l’erroneità nei relativi presupposti, essendo le ragioni dell’infondatezza delle argomentazioni articolate a sostegno delle stesse suscettibili di trattazione unitaria alla luce della ricognizione della speciale disciplina che informa il rapporto di lavoro alle dipendenze degli Organismi di Sicurezza.

La normativa di riferimento – di carattere speciale – inequivocabilmente caratterizza il rapporto alle dipendenze dei Servizi di Informazione e di Sicurezza quale rapporto di natura fiduciaria e di carattere precario, cui si correla un potere ampiamente discrezionale riconosciuto all’Amministrazione sin dalla genesi del rapporto e per tutto il suo svolgimento, ivi compresa la sua cessazione, in quanto strumentale alle preminenti esigenze connesse alla delicata missione istituzionale dei Servizi.

Ed infatti, l’art. 7, comma 2, della legge n. 801 del 1977, dispone, per quanto qui rileva, che il rapporto di impiego presso gli Organismi Informativi sia stabilito, anche in deroga ad ogni disposizione vigente, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dai Ministri della Difesa e dell’Interno, su parere conforme del Comitato Interministeriale per le Informazioni e la Sicurezza, di concerto con il Ministro del Tesoro, in tal modo delegificando la materia e demandandone la disciplina alla fonte regolamentare.

In attuazione della citata norma primaria, sono stati adottati i DD.P.C.M. 21 novembre 1980, n. 7 e n. 8, recanti lo speciale ordinamento del personale degli Organismi di Informazione e Sicurezza.

L’art. 6 del D.P.C.M. n. 7 del 1980 – nella versione risultante dalle modifiche ivi apportate dal D.P.C.M. n. 16 del 1984, prevede che il rientro nei ruoli del personale assegnato agli Organismi di informazione e sicurezza nell’Amministrazione di provenienza può avvenire a domanda (lettera a)) oppure d’ufficio per esigenze di servizio (lettera b)), oppure per motivi disciplinari (lettera c)), disponendo che, con riferimento alle ipotesi di cui alla lettera b), il provvedimento ha carattere ampiamente discrezionale e deve specificare soltanto che la restituzione avviene d’ufficio.

Va, quindi, innanzitutto rilevata l’erroneità della ricognizione che di tale norma offre parte ricorrente, in quanto riferita al relativo testo originario, non più vigente, che alla lettera b) prevedeva il rientro del dipendente per comprovata cessazione dell’esigenza che ne aveva determinato il trasferimento o l’assunzione, perdendo conseguentemente rilievo le argomentazioni che su tale norma non più vigente trovano fondamento.

La vigente formulazione della citata lettere b) delinea una fattispecie aperta, onnicomprensiva, che contempla tutte le ipotesi non tipizzate quale norma di chiusura che consente agli Organismi la necessaria flessibilità nella gestione del personale, funzionale ai delicatissimi compiti perseguiti.

Ciò posto, giova precisare che le ragioni sottese alla riconosciuta sufficienza, ai fini della integrazione della motivazione – anche a seguito della legge n. 241 del 1990, per come più oltre si dirà – della mera indicazione delle finalità di servizio cui è sotteso il provvedimento di restituzione ai ruoli di provenienza o di trasferimento del dipendente, vanno ricondotte alla necessità di garantire a tali Organismi la necessaria segretezza e riservatezza, che impone che la motivazione degli atti concernenti tale categoria di personale si arresti al punto in cui la divulgazione dei motivi di servizio potrebbe compromettere le attività svolte nell’ambito dei detti organismi e l’organizzazione degli stessi, laddove l’attribuzione di un potere ampiamente discrezionale nella gestione delle risorse umane risponde all’esigenza di consentire ai Servizi il celere perseguimento dei propri compiti, assicurandone la massima operatività mediante l’adozione di strumenti snelli, non appesantiti da adempimenti procedimentali, coerenti con la natura prettamente fiduciaria del rapporto sin dalla sua instaurazione.

Lo speciale rapporto di servizio con gli Organismi – atipico rispetto al modulo del pubblico impiego – in cui a fronte dell’ampia discrezionalità riconosciuta all’Amministrazione sussistono posizioni soggettive di carattere recessivo rispetto allo specifico interesse pubblico tutelato, si giustifica alla luce del carattere fiduciario dello stesso che, giova ricordarlo, si instaura senza procedure selettive e, venendo nel suo ambito contestualmente in rilievo le peculiari esigenze funzionali di tali Organismi, prevalenti rispetto a quelle del personale agli stessi assegnato, la cessazione del rapporto non necessita di motivazione, oltre alla mera indicazione delle ragioni di servizio, potendo l’ostensione di motivi specifici che impongono il trasferimento del dipendente o la sua restituzione all’Amministrazione di provenienza pregiudicare tali esigenze.

Tale rapporto, disciplinato da disposizioni regolamentari, si connota, dunque, per l’attribuzione all’Amministrazione di un potere discrezionale particolarmente ampio al quale corrisponde, in ragione della assoluta peculiarità dei compiti affidati ai Servizi, la facoltà di adottare i necessari provvedimenti organizzativi nei confronti del personale dipendente allorchè il rapporto fiduciario abbia subito incrinazioni o siano mutate le esigenze di servizio.

Da tale caratterizzazione del rapporto del personale dipendente dai Servizi di sicurezza discende, altresì, l’assenza di qualsivoglia garanzia di stabilità, potendo lo stesso essere risolto in qualsiasi momento sulla base di una valutazione discrezionale sorretta dal mero riscontro del venir meno dell’elemento fiduciario o delle esigenze di servizio, in un contesto in cui non si richiede, dunque, in alcun modo che i comportamenti addebitati al dipendente assurgano a dimensioni apprezzabili in sede disciplinare o di incompatibilità.

Risulta pertanto irrilevante che il comportamento tenuto dal ricorrente, per come espressamente riferito nella proposta di rientro e nel parere favorevole espresso in ordine alla stessa, non abbia assunto i caratteri dell’illecito disciplinare, non essendo ciò necessario ai fini di consentire la restituzione del dipendente all’Amministrazione di provenienza ai sensi della richiamata norma di cui alla lettera b) dell’art. 6 del D.P.C.M. n. 7 del 1980, essendo a tal fine sufficiente il mero venir meno del rapporto fiduciario in ordine al quale, stante l’ampia discrezionalità attribuita agli Organismi, il sindacato giurisdizionale risulta consentito in limiti assai ristretti.

Deve inoltre rilevarsi che la speciale configurazione del rapporto alle dipendenze dei Servizi non ha subito modificazioni con l’entrata in vigore della legge sul procedimento n. 241 del 1990, rimanendo tale rapporto disciplinato dai DD.P.C.M. n. 7 e n. 8 del 1980 (in senso conforme: Consiglio di Stato – Sez. VI – 6 maggio 2008 n. 2036; 13 maggio 2008 n. 2231).

In particolare, la restituzione del dipendente all’Amministrazione di provenienza o il suo trasferimento, riconducibili a ragioni di servizio, continuano ad essere disciplinati dagli artt. 6 e 9 del D.P.C.M. n. 7 del 1980, i quali non prevedono alcuna garanzia procedimentale analoga a quelle stabilite dalla legge 7 agosto 1990 n. 241, ed espressamente escludono la necessità di motivazione.

La persistente vigenza delle norme recate dai citati DD.P.C.M. nonostante l’entrata in vigore della legge n. 241 del 1990 deve ricondursi, innanzitutto, alla circostanza che l’art. 7 della legge 801 del 1977, di cui la normativa regolamentare costituisce attuazione, ha disposto una delegificazione della materia in quanto attinente ad interessi sensibili dello Stato, rispetto ai quali l’interesse dei privati si pone in posizione subordinata e recessiva. In ragione di tali interessi è stata appunto garantita, attraverso lo strumento regolamentare, una disciplina alquanto agile e snella sia per l’assunzione che per la dismissione del personale, al fine di mantenere costante la finalizzazione del personale agli specifici interessi operativi ed organizzativi dei Servizi, mutevoli nel tempo.

Discende da ciò il necessario carattere temporaneo e prettamente fiduciario che rivestono gli incarichi conferiti dai Servizi, che possono dunque cessare in qualsiasi momento al venir meno dell’interesse dell’Amministrazione a mantenerlo in essere o del rapporto fiduciario agli stessi sotteso.

Nel delineato quadro di riferimento risiedono, quindi, le ragioni dell’infondatezza della censura inerente la violazione dell’obbligo di motivazione, nonché degli ulteriori profili di doglianza sollevati con il ricorso in esame.

Avuto riguardo al denunciato sviamento del potere, per essere il gravato trasferimento asseritamente volto al raggiungimento di finalità diverse da quelle tipiche cui è destinato, rileva il Collegio che la richiamata ampia latitudine della discrezionalità, modulata in relazione alle esigenze organizzative ed operative ed al carattere fiduciario del rapporto con il personale dipendente, non consente di estendere il sindacato giurisdizionale – circoscritto, in materia, entro limiti ristrettissimi – alle ragioni sottese alla determinazione di cessazione del rapporto ed alla loro rispondenza a criteri di buona amministrazione, essendo rimessa ai Servizi, in via normativa, la potestà decisionale in materia di utilizzo delle risorse umane al fine di adeguarle, con strumenti agili, alle proprie esigenze funzionali ed organizzative, senza obbligo di rispetto di garanzie procedimentali che potrebbero arrecare pregiudizio allo svolgimento degli specifici compiti o rallentamento nell’azione, che il Legislatore ha invece inteso scongiurare attraverso la specialità della disciplina e lo strumento della delegificazione in ragione della particolarità dell’apparato dei Servizi, in cui spiccate sono le esigenze di celerità delle procedure di adeguamento organizzativo alle mutate necessità e di sussistenza di un rapporto fiduciario con il personale dipendente in ragione della peculiarità e delicatezza dei compiti agli stessi assegnati.

Sfugge, pertanto, al giudice amministrativo, la possibilità di sindacare la scelta in ordine alla restituzione del personale all’Amministrazione di provenienza, dovendo ricondursi tale scelta all’ampia discrezionalità riconosciuta in materia, giustificata da preminenti interessi pubblici, ed essendo la relativa determinazione sufficientemente motivata dal mero richiamo alle esigenze di servizio.

Peraltro, deve osservarsi come sia la proposta di rientro del ricorrente presso l’Amministrazione di provenienza che il parere favorevole espresso dal Consiglio per il Personale rechino puntuali indicazioni circa gli aspetti che hanno portato a ritenere compromesso il necessario rapporto fiduciario e la sussistenza di una incompatibilità funzionale, anche in ragione del quadro professionale e di rendimento del ricorrente, in relazioni alle quali, come accennato, il sindacato giurisdizionale non può estendersi.

Se, pertanto, alla luce delle suesposte coordinate di riferimento, il gravato provvedimento di trasferimento della ricorrente deve ritenersi legittimo e conforme alla disciplina di riferimento, essendo sufficiente a privare di rilievo le censure ricorsuali in esame il solo richiamo al carattere fiduciario che connota il rapporto di impiego del personale appartenente ai Servizi, la cui gestione è rimessa al potere ampiamente discrezionale riconosciuto all’Amministrazione, cui fa da corollario la sufficienza della motivazione che faccia mero riferimento alle esigenze di servizio – anche in ragione delle esigenze di riservatezza dell’attività organizzativa, attese le peculiari esigenze funzionali dei Servizi – non possano sottacersi le ragioni addotte nei citati atti recanti la proposta di rientro del ricorrente ed il conseguente parere favorevole adottati dai competenti organi da cui emergono gli elementi che hanno comportato il venir meno del complesso di qualità su cui si basa il rapporto fiduciario.

Pertanto, richiamato quanto sopra illustrato circa la specialità del rapporto alle dipendenze dei Servizi ed i profili caratterizzanti lo stesso anche nella fase della sua cessazione, va altresì evidenziato come il gravato provvedimento di trasferimento del ricorrente trovi ulteriore specifico fondamento nelle ragioni esposte nella citata proposta di cessazione del rapporto, e risulti motivato per relationem attraverso il rinvio agli atti presupposti, che peraltro sfuggono al sindacato giurisdizionale consentito in materia in quanto inerenti scelte prettamente di merito in ordine alle modalità di perseguimento degli specifici fini istituzionali, da ritenersi preminenti rispetto alle posizioni dei privati che si atteggiano in misura incisivamente affievolita.

Dovendo peraltro ribadirsi, in proposito, che per espressa previsione normativa, il trasferimento disposto d’ufficio per esigenze di servizio di tale categoria di dipendenti avviene in base a provvedimenti di carattere ampiamente discrezionale, che devono semplicemente specificare che il trasferimento avviene d" ufficio e per servizio, senza che occorra un’ulteriore motivazione oltre la mera indicazione delle finalità cui lo stesso è preordinato, potendo una diversa soluzione comportare una divulgazione dei motivi di servizio idonea a compromettere le attività svolte nell’ambito dei detti Organismi.

In altri termini, la previsione normativa tutela, da un canto, la peculiarità dei compiti affidati ai Servizi, caratterizzando il rapporto di impiego degli addetti agli Organismi di sicurezza come rapporto di natura assolutamente fiduciaria, alla quale corrisponde l’attribuzione all’Amministrazione di un potere discrezionale particolarmente ampio nell’adottare provvedimenti organizzativi allorchè il rapporto fiduciario per qualsiasi ragione sia venuto meno e, dall’altro, tutela le peculiari esigenze di segretezza dei Servizi che potrebbero essere irrimediabilmente danneggiate da una ostensione dei motivi specifici che impongono il trasferimento o la restituzione alla P.A. di provenienza di un dipendente.

Inoltre, sottoporre l’Amministrazione all’obbligo di motivare in maniera articolata i propri atti potrebbe risolversi in un grave pregiudizio per il raggiungimento delle specifiche finalità e per lo svolgimento dei propri compiti, che esigono segretezza, celerità ed agilità nelle procedure di adeguamento della propria organizzazione alle mutate necessità.

Il che, se si traduce in un sacrificio per le situazioni giuridiche soggettive del privato, viene controbilanciato da una retribuzione maggiore rispetto agli altri dipendenti della Pubblica Amministrazione a fronte del carattere temporaneo e fiduciario del rapporto, e dalla garanzia di rientro nell’Amministrazione di appartenenza (con reintegrazione nel grado, qualifica, livello e profilo, ricostruzione della carriera, attribuzione di aumenti periodici di stipendio) o di assunzione in soprannumero.

Non trovano quindi applicazione, alla luce della ricordata specialità ed autonomia della disciplina e dello status giuridico dei dipendenti dei Servizi, le disposizioni che regolano lo status dei dipendenti pubblici, salvo il rispetto dei diritti costituzionalmente riconosciuti.

L’affievolimento delle posizioni soggettive vantate dai dipendenti dei Servizi, la funzionalizzazione del loro impiego alle preminenti esigenze di istituto, l’ampia discrezionalità riconosciuta in materia all’Amministrazione, non consentono quindi di accordare tutela giurisdizionale alle pretese dei dipendenti connesse al mantenimento del rapporto di impiego con i Servizi, rientrando le relative determinazioni nell’autonoma potestà decisionale dei Servizi che, in quanto connessa alle esigenze organizzative ed operative – che impongono un’elevata flessibilità ed elasticità nell’utilizzo del personale – sfuggono al sindacato di legittimità anche in ragione della tutela di esigenze di segretezza e riservatezza riferite sia all’organizzazione che al funzionamento dei Servizi.

Deve inoltre osservarsi che, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, il gravato provvedimento risulta essere stato adottato nel rispetto della normativa di riferimento, essendo stati coinvolti nel procedimento i competenti organi nell’ambito delle rispettive attribuzioni.

Le suesposte considerazioni consentono al Collegio di prescindere dalla disamina delle censure mosse da parte ricorrente avverso le motivazioni espresse dal Direttore del Servizio e dal Consiglio del Personale, trovando il disposto rientro del ricorrente, di natura altamente discrezionale, ragione sufficiente nel dedotto venir meno del rapporto fiduciario.

Delibata, nei termini di cui sopra, l’immunità del gravato provvedimento dalle censure proposte, della cui infondatezza si è dato atto, va pertanto rigettato il ricorso introduttivo del presente giudizio.

Avuto, invece, riguardo ai motivi aggiunti proposti da parte ricorrente avverso il decreto del Capo della Polizia del 10 gennaio 2008, recante il reinserimento del ricorrente nei ruoli della Polizia di Stato con la qualifica di Dirigente Superiore dall’1 gennaio 2001, nonché a quelli proposti avverso la nota del 4 agosto 2008 del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, con la quale è stata respinta l’istanza di riesame del ricorrente volta ad ottenere la qualifica di Dirigente Superiore con decorrenza 1 gennaio 1997, ritiene il Collegio di dover disporre in via istruttoria l’acquisizione di ulteriori elementi di giudizio.

A tale fine ordine al Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, di depositare al fascicolo di causa, nel termine di 60 (sessanta) giorni dalla notifica o comunicazione della presente sentenza, la seguente documentazione:

– documentati chiarimenti in ordine al disposto inquadramento del ricorrente nella qualifica di Dirigente Superiore con decorrenza 1 gennaio 2001, con indicazione delle relative norme di riferimento;

– copia delle norme dettate dall’art. 7 del D.P.C.M. n. 7 del 1980 e dall’art. 1 del D.P.C.M. n. 23 del 1988.

Viene fissata, per il prosieguo dell’esame della controversia, l’udienza pubblica del 26 ottobre 2011.

In conclusione, parzialmente pronunciando sul ricorso in esame, il Collegio rigetta il ricorso introduttivo, disponendo gli incombenti di cui sopra al fine di delibare in ordine ai motivi aggiunti proposti da parte ricorrente, per il cui esame fissa l’udienza pubblica del 26 ottobre 2011.

Rinvia la delibazione in ordine alle spese alla definizione della controversia.
P.Q.M.

Parzialmente e non definitivamente pronunciando sul ricorso N. 9880/2007 R.G., come in epigrafe proposto, così statuisce:

– rigetta il ricorso introduttivo del giudizio;

– dispone gli incombenti di cui in motivazione a carico del Ministero dell’Interno, nel termine e con le modalità ivi previste, al fine di delibare in ordine ai motivi aggiunti;

– fissa per il prosieguo dell’esame della controversia l’udienza pubblica del 26 ottobre 2011;

– spese al definitivo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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