Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-06-2011, n. 12629 Danni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione del 31 gennaio 1992 D.G. conveniva davanti al Tribunale di Modica il Comune di Ispica, per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’occupazione del proprio fondo, per l’estensione di 7.500 metri quadrati, avvenuta ad opera di detto ente territoriale nell’ambito di procedura espropriativi intesa alla realizzazione di alloggi popolari. Precisava l’attore che, a seguito di adozione del relativo piano di zona, era stata disposta con determinazione sindacale del 12 marzo 1979 l’occupazione provvisoria del proprio fondo, poi divenuta definitiva con provvedimento del 15 marzo 1985, e che il T.A.R. di Catania, accogliendo il proprio ricorso, con sentenza n. 318 del 1988, poi divenuta definitiva nel 1989, aveva annullato la deliberazione di adozione del P.E.E.P., costituente dichiarazione di pubblica utilità delle opere, con conseguente illegittimità di tutti gli atti emessi in esecuzione della stessa.

1.1 – Il Comune, costituitosi, eccepiva che in data 14 aprile 1987 era stata adottata una nuova delibera, con cui si approvava la realizzazione, su una parte dell’area in questione, per una estensione di mq 3.707, del carcere mandamentale, ragion per cui la questione dell’annullamento, da parte del giudice amministrativo, della dichiarazione di pubblica utilità del p.e.e.p. era stata rimossa.

Con sentenza n. 602 del 2004 il Tribunale adito accoglieva la domanda, condannando il Comune al pagamento in favore del D. della somma di Euro 247.899,31, oltre interessi e rivalutazione, corrispondente al valore dell’intera superficie originariamente interessata dalla procedura, affermando che, a seguito dell’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, si era verificata l’occupazione usurpativa dell’area.

1.2 – Proponeva appello il Comune di Ispica, deducendo l’inammissibilità e l’improcedibilità della domanda e chiedendo, in subordine, che l’irreversibile trasformazione del fondo venisse accertata limitatamente all’area di mq 3.793, utilizzata per la realizzazione del carcere mandamentale. Precisava l’ente appellante che in merito alla nuova procedura non era intervenuta alcuna impugnazione in sede amministrativa.

Instauratosi il contraddittorio, il D. eccepiva l’infondatezza dell’impugnazione, della quale chiedeva il rigetto, con subordinata richiesta di accoglimento della domanda relativamente alla parte di area originariamente occupata e non interessata dalla seconda procedura espropriativa.

1.3 – La Corte di appello di Catania, con la decisione indicata in epigrafe, in accoglimento del gravame proposto dal Comune, rigettava ogni domanda del D., compensando interamente le spese processuali.

Nella motivazione di detta sentenza veniva posto in evidenza, in primo luogo, che la pretesa risarcitoria, fondata sulla dedotta occupazione usurpativa dell’intera area, doveva considerarsi inammissibile in relazione alla parte del fondo interessata dalla seconda procedura espropriativa, svoltasi con piena acquiescenza da parte del D., e già conclusa prima della proposizione della domanda di risarcimento in esame.

Quanto alla porzione di terreno non interessata dal nuovo procedimento ablativo, la Corte osservava che, per effetto dell’efficacia retroattiva dell’annullamento degli atti relativi all’originaria dichiarazione di pubblica utilità, non risultando per altro intervenuta alcuna trasformazione del terreno, tale area era rimasta di proprietà dell’attore, ragion per cui non vi è era luogo per il ristoro del danno derivante della perdita del bene per effetto della dedotta "occupazione usurpativa", in realtà non configurabile, non avendo per altro il predetto impugnato la decisione di primo grado nella parte in cui aveva escluso il ristoro del pregiudizio correlato alla temporanea perdita della disponibilità del bene.

1.4 – Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il D., deducendo due motivi, illustrati con memoria. Il Comune di Ispica non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione

2. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 septies, dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2043 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, sostenendosi che, essendo risultata la procedura in base alla quale era stata disposta l’occupazione provvisoria completamente illegittima, si era verificato il fenomeno della c.d. occupazione usurpativa. La seconda procedura espropriativa non assumeva alcun rilievo, anche perchè iniziata prima della sentenza del TAR di Catania che aveva pronunciato l’annullamento della precedente dichiarazione di pubblica utilità e dopo che, in relazione al primo esproprio, era stato emesso il relativo decreto.

Viene in proposito formulato il quesito di diritto: "Dica l’Ecc.ma Corte Suprema se una procedura espropriativa interessante un terreno già acquisito il definitivamente al patrimonio della P.A. a seguito di emanazione di un provvedimento di esproprio debba o non considerarsi nulla per carenza di oggetto ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 septies. Dica, in particolare, l’Ecc.ma Corte se la procedura espropriativi avviata con la Delib. 14 aprile 1987, n. 583 di approvazione del progetto della costruzione del carcere mandamentale, interessante una parte soltanto (mq 3793) del fondo di mq 7500 dei proprietà del ricorrente, già acquisito in via definitiva al patrimonio del Comune di Ispica, per effetto della determinazione sindacale 15.3.1985, n. 1409, abbia o meno determinato l’inammissibilità della domanda risarcitoria avanzata con atto di citazione 31.1.1992, in conseguenza della occupazione illegittima dell’intero lotto (mq 7500) di proprietà del ricorrente medesimo, disposta in via provvisoria con determinazione sindacale n. 536 del 12.3.1979, ed in via definitiva, con la predetta determinazione sindacale n. 1409 del 1985". 2.1 – Con il secondo motivo si denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ponendosi in rilievo come, quanto all’area poi utilizzata per la realizzazione del carcere, la seconda procedura fosse nulla per carenza dell’oggetto e, in ogni caso, per non essersi tenuto conto, data la natura costitutiva del nuovo decreto di occupazione, del periodo intercorrente fra il primo e il secondo provvedimento.

Quanto all’area non interessata dalla realizzazione del carcere mandamentale, si sostiene l’irrilevanza dell’assenza di interventi intesi a determinare l’irreversibile trasformazione del bene, attesa la natura dell’occupazione del terreno, mai restituito, tale da costituire illecito permanente e da giustificare la pretesa risarcitoria, con implicita rinuncia alla tutela restitutoria.

2.2 – Il primo motivo è infondato, ragion per cui deve rispondersi negativamente al quesito proposto. Vale bene premettere che la questione sottoposta all’esame di questa Corte riguarda esclusivamente la configurabilità o meno del fenomeno della ed. occupazione usurpativa anche in assenza di irreversibile trasformazione del fondo. Si sostiene nel ricorso che la seconda procedura ablativa doveva essere ritenuta "nulla per carenza di oggetto", perchè "disposta su bene già definitivamente acquisito al patrimonio del Comune e mai restituito all’originario proprietario".

Il dato fattuale inerente alla mancata realizzazione dell’opera originariamente concepita, vale a dire l’assenza di un’attività manipolativa del fondo prima che intervenisse il (secondo) procedimento concernente la realizzazione del carcere mandamentale, dato sul quale si fonda la decisione impugnata, non viene affatto contestato, sostenendosi, al riguardo, che con la prima occupazione, ab initio illegittima, si era già realizzato l’illecito permanente che caratterizza il fenomeno della c.d. occupazione usurpativa, in cui "la centralità del problema è costituita dall’occupazione, che è essa stessa esecuzione di una condotta volta a trasformare il bene, e costituisce, dunque, illecito permanente". 2.3 – Duole constatare come la prima decisione che ha definito in maniera chiara i contorni della figura in esame (Cass., 18 febbraio 2000, n. 1814), pur esplicitamente richiamata con citazione di taluni passaggi argomentativi, non sia stata rettamente intesa, a tal punto che, anche mediante parziali estrapolazioni, si è giunti ad attribuirle una portata difforme dai principi in essa inequivocabilmente affermati, e successivamente ribaditi, con orientamento costante, da questa Corte.

Con la citata sentenza, ripercorrendosi le tappe del percorso giurisprudenziale inerente alla c.d. occupazione espropriativa, si è posta in evidenza l’esigenza di approfondire i meccanismi di tutela del proprietario nell’ipotesi in cui non sussista, come avviene nella fattispecie testè richiamata, una valida dichiarazione di pubblica utilità, ragion per cui, movendo da precedenti arresti (fra i quali Cass. Sez. Un., 4 marzo 1997, n. 1907), nei quali si era affermata la possibilità per il proprietario di optare, anzichè per la tutela restitutoria, per quella risarcitoria, si è pervenuti alla conclusione, per quanto qui maggiormente interessa, che "nell’occupazione che, per convenzione, potremmo definire usurpativa, il giudice si occupa della domanda risarcitoria del proprietario sotto l’aspetto delle non consentite trasformazioni che l’occupante abusivo abbia apportato al fondo".

In altri termini, il requisito dell’irreversibile trasformazione del fondo, che nell’occupazione espropriativa funge da modalità di acquisto del fondo in virtù del fenomeno della ed. accessione invertita, nell’occupazione usurpativa, la quale si colloca nell’ambito dell’illecito di natura aquiliana, acquista una diversa valenza giuridica (senza perciò, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, il carattere di essenziale presupposto della fattispecie), in quanto "l’acquisizione del bene alla mano pubblica" .."dipendendo da una scelta del proprietario usurpato, è inquadratile in una vicenda logicamente e temporalmente successiva alla definitiva trasformazione del fondo.." (cfr. la citata Cass. n. 1814 del 2000, nonchè Cass., Sez. Un., 13 febbraio 2007, n. 3043, nella quale la figura in esame viene definita come "manipolazione del fondo di proprietà privata in assenza di titolo legittimante").

2.3 – La Corte territoriale, pertanto, ha correttamente applicato i principi affermati da questa Corte in materia di occupazione usurpativa, rilevando, quanto alla porzione di terreno non interessata dalla seconda procedura ablativa, che, in seguito all’annullamento degli atti relativi al primo esproprio, e in assenza di qualsiasi attività manipolativa da parte del Comune, la stessa apparteneva indiscutibilmente al D., il quale, per altro, non aveva impugnato la statuizione di rigetto, contenuta nella decisione di primo grado, relativamente ai danni da attribuirsi al periodo di occupazione illegittima.

Quanto all’area utilizzata per la realizzazione del carcere mandamentale, è stato condivisibilmente posto in evidenza che lo stesso proprietario non ha contestato la legittimità della relativa procedura, neppure impugnando la stima del terreno. In proposito, dovendosi ribadire che non si può dubitare del potere dell’amministrazione di rinnovare e reiterare un proprio atto ancorchè non formalmente annullato, sempre che non sia nel frattempo intervenuta irreversibile trasformazione del fondo (così come di compiere gli atti preordinati a una nuova dichiarazione di pubblica utilità, in pendenza di un giudizio di impugnazione di precedenti provvedimenti successivamente annullati: Cons. St., 23 giugno 1981, n. 508), appare evidente come, assecondandosi la tesi del ricorrente, egli avrebbe paradossalmente diritto, per il medesimo bene, ad una somma a titolo di risarcimento del danno, in aggiunta all’indennizzo relativo alla procedura legittima.

2.4 – Deve constatarsi l’inammissibilità del secondo motivo, con il quale viene denunciata l’insufficienza della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 derivante dalla mancanza, nella dedotta censura, di quel momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti in maniera da non generare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

2.5 – Al rigetto del ricorso, per le ragioni sopra evidenziate, non consegue alcuna statuizione in merito al regolamento delle spese processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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