Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-02-2011) 23-03-2011, n. 11524 Pena pecuniaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 11.5.2010 la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della sentenza 31.1.2007 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nei confronti di V.G. ed s.r.l. Mister Pino Distribuzione, dichiarava n.d.p. in ordine al delitto, ex art. 640 bis c.p., di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui al capo a) dell’imputazione, perchè estinto per prescrizione, rideterminando la pena, per il residuo reato ascritto al V., di cui agli artt. 56 e 640 bis c.p. (perchè in qualità di amministratore unico della Mister Pino Distribuzione s.r.l., nonchè di incaricato per la richiesta di contributi pubblici, tentava di conseguire l’indebita riscossione della seconda quota del contributo finanziario in conto impianti, previsto dalla L. n. 488 del 1992, pari ad Euro 83.211,54, concesso dal Ministero delle Attività produttive, facendo presentare all’istituto di credito convenzionato con il Ministero stesso, fatture relative ad operazioni inesistenti) in mesi 8 di reclusione ed Euro 500,00 di multa, applicando alla Misteer Pino Distribuzioni s.r.l. la sanzione pecuniaria di 200 quote per l’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5, comma 1, artt. 24 e 26.

Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione il V. e la Mister Pino Distribuzione s.r.l. deducendo:

1) mancanza e manifesta illogicità della motivazione per mancata valutazione delle specifiche doglianze proposte in appello, posto che la sentenza impugnata aveva fondato il giudizio di responsabilità solo sulle valutazioni dei verbalizzanti che avevano riferito come, l’impianto elettrico in questione, al momento del controllo, si presentasse vecchio ed impolverato, in assenza di accertamenti tecnici volti a verificare le ipotesi di accusa e non tenendo conto della perizia del C.T., di parte da cui emergeva che l’epoca dell’installazione degli impianti "era compatibile con quella di emissione delle fatture della ditta d’Alessio";

2) violazione del D.Lgs. n. 23 del 2001, art. 5, comma 1; artt. 24 e 26, non essendo stato provato che dell’importo corrispondente a quelle delle fatture ritenute false si fosse arricchita la società Mister Pino Distribuzione s.r.l..
Motivi della decisione

Il ricorrente ripropone questioni già esaminate dalla Corte territoriale e disattese con corretta e logica motivazione, come tale incensurabile in sede di legittimità, non essendo consentita una valutazione alternativa dei fatti e delle prove acquisite, come prospettato nei motivi di ricorso.

La sentenza impugnata ha dato conto, sulla base dei fatti accertati e delle risultanze probatorie, che il V., al fine di non restituire parte del contributo ottenuto e di ottenere la seconda tranche del finanziamento senza detrazioni, "gonfiò" l’importo speso per l’ammodernamento aziendale, inserendo delle fatture rilasciate dalla ditta D’Alessio, ritenute false in quanto non risultanti nella contabilità nè della Mister Pino s.r.l nè della ditta D’Alessio, circostanza non contraddetta dalla perizia di parte,considerato il lasso temporale di realizzazione dell’impianto antecedente a quello indicato nella fatture. In aderenza alla sentenza cit. della S.C. (Cass. n. 3615/2006), laddove è stato evidenziata la "ratio" della innovazione introdotta dalla L. n. 231 del 2001 (nel senso che l’ente collettivo è considerato il vero beneficiario della condotta criminosa, materialmente commessa dalla persona fisica in esso inserita, con esclusione dei fatti illeciti posti in essere per un fine personalissimo o di terzi), è stato dato conto del vantaggio patrimoniale conseguito dalla società Mister Pino, di cui il V. era amministratore unico, posto che la prima e la seconda rata di finanziamento erano entrate nel patrimonio sociale, rimasto, quindi, incrementato, nella sua consistenza, per un certo lasso di tempo.

Alla stregua di quanto osservato va dichiarata la inammissibilità del ricorso con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *