Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-06-2011, n. 12628 Contratto di appalto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – La S.n.c. impresa edile Aldo Fadalti (ora impresa edile Fadalti Aldo S.p.a.) conveniva davanti al Tribunale di Venezia il Ministero della Difesa, chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 100.988.132, a titolo di interessi sul ritardato pagamento di quanto spettante per revisione prezzi di un appalto inerente a lavori di ammodernamento di una caserma in (OMISSIS), i cui lavori erano terminati nel 1975, mentre al collaudo si procedeva soltanto in data 23 marzo 1981.

Instauratosi il contraddittorio, l’amministrazione convenuta eccepiva la decadenza dall’azione, ai sensi del R.D. n. 36 del 1932, artt. 51 e 54; la decadenza dal diritto, per effetto dell’art. 33 dello stesso provvedimento, nonchè l’infondatezza nel merito della domanda, eccependo al riguardo la prescrizione ex art. 2948 c.c..

Avverso la sentenza del Tribunale, con la quale, previo espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, la domanda era stata accolta, proponevano appello il Ministero della difesa, nonchè, in via incidentale, l’impresa.

Il primo riproponeva le eccezioni già svolte, soprattutto con riferimento all’inapplicabilità della normativa introdotta con la L. n. 700 del 1974, essendo stati i lavori eseguiti prima della sua entrata in vigore; la società Fadalti chiedeva la rivalutazione per il periodo non considerato dal Tribunale.

La Corte di appello di Venezia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava entrambe le impugnazioni, compensando le spese processuali nella misura di un quarto, e condannando, per la restante parte, il Ministero alla rifusione in favore dell’appellata.

In particolare, veniva disattesa la tesi dell’Amministrazione secondo cui gli interessi sul saldo della revisione sarebbero maturati con decorrenza da un anno dall’approvazione del collaudo (ed in effetti si dava atto che il pagamento era avvenuto entro tale termine): in proposito si sosteneva che non erano stati applicati del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36, in relazione alla L. n. 700 del 1974, essendosi eseguita interpretazìone sistematica del R.D. n. 366 del 1932, art. 42 e del D.Lgs. n. 1501 del 1947, art. 3, affermandosi, in sostanza, che non era ammissibile "la possibilità, per la stazione appaltante, di procrastinare ad libitum e senza tema di effetti pregiudizievoli, l’esecuzione del collaudo e gli incombenti conseguenti, determinando un non sanzionato slittamento, indeterminato, dei pagamenti".

Avverso tale decisione propone ricorso il Ministero della Difesa, deducendo tre motivi.

Resiste con controricorso, illustrato con memoria, la società Fadalti Aldo.
Motivi della decisione

2 – Preliminarmente va rilevata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, per non essere stata adeguatamente illustrata, nella premessa all’esposizione dei motivi, la vicenda processuale. Si osserva in proposito che la giurisprudenza di questa Corte è assolutamente consolidata nel senso che, per soddisfare tale requisito, prescritto a pena di inammissibilità, non è necessario che l’ esposizione dei fatti costituisca una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi di ricorso, nè occorre una narrativa analitica o particolareggiata, essendo invece sufficiente, ma insieme indispensabile, che dal contesto del ricorso, e cioè solo dalla lettura di tale atto, escluso l’esame di ogni altro documento, compresa la stessa sentenza impugnata, sia possibile desumere una conoscenza del fatto sostanziale e processuale sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo, non potendosi distinguere, ai fini della detta sanzione di inammissibilità, fra esposizione del fatto omessa ed esposizione insufficiente (cfr., ex multis, Cass., Sez. Un., 18 maggio 2006, n. 11653; Cass., 29 ottobre 2010, n. 22195).

Tale avviso, cui si presta incondizionata adesione, risponde non ad una esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa sostanziali oltre che processuali, tale da compiutamente intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato. Tanto premesso, va osservato che il ricorso in esame, oltre a una esposizione succinta, ma significativa, degli aspetti rilevanti ai fini della comprensione dei motivi dedotti, effettuata nella premessa, contiene, nella parte dedicata all’illustrazione dei motivi, una ben articolata ricostruzione degli aspetti fattuali e giuridici della vicenda, in modo da soddisfare pienamente il requisito prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. 2.1 – Con il primo motivo il Ministero della Difesa deduce la violazione e falsa applicazione della L. 21 dicembre 1974, n. 700 e del D.Lgs.C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 3, nonchè degli artt. 35 e 36 del capitolato generale di appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Si afferma, in particolare, che la Corte di appello – stabilendo il diritto dell’impresa a percepire gli interessi di mora nella misura prevista dal capitolato generale di opere pubbliche, in virtù del richiamo operate dalla L. n. 700 del 1974, al D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 35 e 36 – non avrebbe considerato che, con disposizione transitoria, il legislatore aveva circoscritto gli effetti della nuova disciplina "ai contratti di appalto in corso di esecuzione, limitatamente alla parte dei lavori eseguita dopo l’entrata in vigore della presente legge" (19 gennaio 1975). Pertanto, secondo il ricorrente, posto che i lavori erano stati ultimati prima dell’entrata in vigore della predetta legge, questa non sarebbe applicabile alla fattispecie, ricadente, ratione temporis, nella previsione del D.Lgs. 6 dicembre 1947, n. 1501, con decorso degli interessi legali a favore dell’impresa, sull’importo dovuto per la revisione dei prezzi, dopo un anno dall’approvazione degli atti di collaudo.

La censura è fondata.

La sentenza impugnata ha ritenuto applicabili gli artt. 35 e 36 del Capitolato generale di appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici ( D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063), movendo dalla considerazione che fosse operante la L. 21 dicembre 1974, n. 700, che, con unico articolo, richiama quelle disposizioni in caso di ritardo nella corresponsione della rata di saldo revisionale. In detta disposizione, al comma 3, è altresì precisato che le norme recepite "si applicano anche ai contratti in corso di esecuzione, limitatamente alla parte dei lavori eseguita dopo l’entrata in vigore" della legge stessa. Orbene, secondo l’indirizzo pacifico e risalente di questa Corte, per i contratti anteriori all’entrata in vigore della L. n. 700 del 1974, e relativamente ai lavori eseguiti prima di tale data, l’obbligo del pagamento del compenso revisionale può configurasi unicamente in base al disposto del D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947, art. 3, comma 4, per il quale gli interessi legali decorrono dopo un anno dall’approvazione degli atti di collaudo; mentre non può farsi ricorso alla normativa successivamente introdotta, che ha esteso la regolamentazione delle norme del capitolato generale: a nulla rilevando la circostanza che il contratto non sia stato ancora compiutamente eseguito per non essersi proceduto al collaudo, dal momento che si deve avere riguardo, non già agli adempimenti ultimativi (anche di natura contabile), bensì all’esecuzione materiale dei lavori, in concreto (Cass., 15 luglio 2010, n. 16611; Cass. 11 febbraio 1995, n. 1543;

Cass. 14 febbraio 1992 n. 1561) . 2.2 – Parimenti fondato è il secondo motivo, con il quale il Ministero della Difesa censura la violazione dei principi in materia di anatocismo, nonchè degli artt. 1224 e 1283 c.c., deducendo altresì omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Infatti la disciplina di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36, ha natura speciale ed esclude il maggior danno da svalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, come emerge chiaramente dal tenore dall’art. 35, comma 3 ("Tutti gli interessi da ritardo sono interessi di mora comprensivi del danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2").

Nè l’accessorietà propria del credito per interessi rispetto all’obbligazione principale della sorte-capitale viene meno per effetto della possibilità di disporne separatamente e di agire in giudizio esclusivamente per il relativo pagamento (Cass., Sez. Un., 17 luglio 2001, n. 9653).

2.3 – Con il terzo motivo il Ministero denunzia la violazione dei principi in materia di decadenza dell’azione, del R.D. n. 306 del 1932, ex artt. 33, 51 e 54, nonchè degli articoli 2946 e 2947 c.c., ed il difetto di motivazione in tema di prescrizione.

Il motivo è infondato.

Come più volte affermato da questa Corte, non è necessaria l’iscrizione di una specifica riserva per la voce di credito relativa agli interessi moratori in tema di appalto di opere pubbliche (Cass., 22 giugno 2005, n. 13434).

In ordine alla prescrizione, poi, la corte territoriale ha congruamente motivato, ponendo in evidenza la ricorrenza, nel caso esaminato, di tempestivi e validi atti interruttivi.

2.4 – La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, per un nuovo giudizio ed anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, rigetta il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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