Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-02-2011) 23-03-2011, n. 11520 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ABILE Carmine che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

H.P.W.F., tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza, in data 9.2.2010, con cui la Corte d’Appello di Genova, decidendo in sede di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, con sentenza 28.4.2009 (che aveva annullato parzialmente la sentenza di appello 19.4.2006 rinviando ad altra sezione della Corte di appello per valutare se l’imputato avesse svolto il ruolo di organizzatore e promotore nell’associazione contestata ovvero, come dedotto nello specifico motivo di appello, quello di mero partecipe), in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Genova del 17.12.04, escluso il ruolo di promotore ed organizzatore dell’ H. e riconosciuto quello di partecipe, riduceva la pena allo stesso inflitta in anni 9, mesi 4 di reclusione per i reati, unificati dalla continuazione, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74; art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Il ricorrente chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata deducendo:

violazione di legge, ex art. 133 c.p. e art. 187 disp. att. c.p.p., con riferimento alla erronea individuazione, da parte della Corte d’appello, della "violazione più grave", sulla base della quale era stata determinata la pena base. Rilevava, in particolare, che erroneamente era stata, in concreto, individuata la pena base in anni 10 di reclusione, con riferimento alla violazione di cui al capo A) D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 che prevedeva la reclusione " non inferiore a dieci anni"; avrebbe dovuto, invece, essere ritenuta più grave la violazione di cui al capo B), ex art. 73 D.P.R. cit., in quanto punita con una pena edittale massima di 20 anni, superiore a quella prevista per il capo A).
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Correttamente la Corte territoriale ha determinato la pena base cui applicare, poi, l’aumento per la continuazione, con riferimento al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, considerato che per lo stesso è prevista una pena massima a norma dell’art. 23 c.p. di anni 24 di reclusione mentre, per l’altro reato di cui all’art. 73 L. cit., è prevista la pena massima di anni 20 di reclusione oltre alla pena della multa.

Il criterio applicato dai giudici di appello è conforme, peraltro, alla giurisprudenza della S.C. secondo cui, in tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto (e non in concreto), in base alla pena edittale prevista per ciascuno dei reati, con la conseguenza che più grave deve essere considerata la violazione punita più severamente dalla legge, senza che possano venire in rilievo anche gli indici di determinazione della pena ex art. 133 c.p. che possono contribuire alla determinazione della pena da infliggere in concreto (Cass. n. 24838/2010; n. 34382/2010; S.U. n. 4901/92). Peraltro la doglianza è priva del requisito di specificità richiesto dall’art. 591 c.p.p., lett. c), stante la mancata indicazione del risultato utile che sarebbe perseguito.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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