Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-06-2011, n. 12624 Opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Comune di San Marcellino propose opposizione al decreto ingiuntivo 3 maggio 2000 notificatogli il 16 maggio successivo dall’Azienda Casertana Mobilità e Servizi s.p.a. – già Consorzio Provinciale Trasporti Casertani – per il pagamento di L. 306.317.268, oltre interessi dal 30 marzo 1999, a titolo di quote consortili maturate dal 1978 al 1994.

Il Tribunale di Aversa accolse l’opposizione riducendo, peraltro con l’assenso dell’intimante costituitosi in giudizio, la somma dovuta a L. 305.317.268, pari a Euro 157.683,00.

Il Comune propose appello, cui resistette l’Azienda.

La Corte di Napoli, confermata la procedibilità della domanda nonstante la pendenza della procedura di risanamento a seguito della dichiarazione dello stato di dissesto del Comune, ridusse ulteriormente l’importo del credito ad Euro 14.147,23, per intervenuta parziale prescrizione quinquennale, ai sensi dell’art. 2948 c.c., n. 4, delle quote consortili dovute per gli anni dal 1978 al 1993, in quanto il primo atto interruttivo della prescrizione era costituito da una raccomandata del 30 marzo 1999. Negò, inoltre, il diritto agli interessi perchè il Comune di San Marcellino versava in stato di dissesto e i crediti azionati rientravano tra quelli per i quali il D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, art. 81, comma 3, come sostituito dal D.Lgs. 11 giugno 1996, n. 336, art. 21, comma 4, prevedeva, appunto, la sospensione del corso degli interessi sino alla conclusione della procedura di risanamento, nella specie ancora pendente.

L’Azienda ha quindi proposto ricorso per cassazione per due motivi, cui il Comune ha resistito con controricorso, illustrato anche da memoria.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo, denunciando violazione di norme di diritto, si censura la statuizione di esclusione del corso degli interessi in pendenza della procedura di risanamento.

1.1. – La censura è fondata, alla luce dell’interpretazione costituzionalmente orientata del D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 81, comma 4, come sostituito dal D.Lgs. n. 336 del 1996, art. 21, comma 4, cit. (poi trasfuso nel D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 267, art. 248), data da Corte Cost. n. 269 del 1998, secondo cui la sospensione del corso degli interessi (nonchè l’esclusione della rivalutazione monetaria) è prevista, dalla norma in questione, solo agli effetti del concorso dei creditori, ossia della formazione della massa passiva della procedura di risanamento, ma gli interessi (e la rivalutazione) continuano a maturare e possono essere fatti valere nei confronti dell’ente debitore una volta ritornato in bonis (cfr.

Cass. 2095/2008, 8062/2007, 2049/1999, nonchè – con riferimento all’analoga disposizione di cui al D.L. 18 gennaio 1993, n. 8, art. 21, comma 3, conv. in L. 19 marzo 1993, n. 68, e alle sentenze della Corte Cost. nn. 149, 155 e 242 del 1994 – Cass. 1097/2010).

2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si censura la statuizione di parziale estinzione del credito per prescrizione, lamentando che la Corte d’appello non abbia tenuto in considerazione circostanze pacifiche in causa dalle quali ben poteva inferirsi la rinunzia del Comune alla prescrizione e che comunque comportavano l’interruzione della prescrizione stessa in data anteriore a quella considerata dalla Corte. Le circostanze cui fa riferimento la ricorrente sono: a) il riconoscimento dell’intero debito contenuto in una nota del Comune in data 7 aprile 1999; b) il pagamento delle maggior parte del debito, risultante dal prospetto 30 gennaio 2001 sottoscritto dal capo ragioneria del Consorzio, dal quale risultava che il Comune aveva pagato acconti per L. 72.749.463 nel 1981, per L. 35.000.000 nel 1982, per L. 80.000.000 nel 1986 e per L. 457.969.000 – pari al 60% (circa) del credito residuo (di L. 763.293.168) che lo stesso Comune aveva ammesso di aver pagato (per l’importo, per l’esattezza, di L. 457.975.900) sin dall’atto di citazione in opposizione – nel 1997. 2.1. – Il motivo è fondato nei soli limiti che seguono.

Il riferimento alla nota 7 aprile 1999 del Comune è inammissibile, trattandosi di documento non menzionato nella sentenza impugnata e del quale il ricorso non riporta il contenuto, in violazione del principio di autosufficienza.

Inammissibile è anche il riferimento al prospetto del capo ragioneria del Consorzio, trattandosi di documento contestato dal Comune, anche nel controricorso, e privo di valore probatorio in quanto proveniente dalla stessa parte che lo invoca.

Dell’ammissione da parte del Comune dell’avvenuto pagamento, a cura della Commissione Straordinaria di liquidazione, di un acconto pari al 60% dell’importo dovuto vi è, invece, menzione anche in sentenza.

Il riferimento ad esso è quindi ammissibile ed è, altresì, idoneo a fondare la censura della ricorrente sotto il profilo del vizio di motivazione.

Il pagamento di un acconto su un maggior credito, infatti, non comporta necessariamente rinunzia alla prescrizione maturata, ma ben può essere interpretato dal giudice di merito, considerate le circostanze del caso, come incompatibile con la volontà di avvalersene, e dunque qualificato come rinunzia alla stessa (cfr.

Cass. 3752/1977, 6022/1978 e, più di recente, 23746/2007), come appunto dedotto in via principale dalla ricorrente. Una valutazione di quel pagamento sotto tale profilo è stata, invece, del tutto omessa dalla Corte d’appello, che in tal modo è incorsa nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La deduzione del medesimo pagamento anche quale atto interruttivo della prescrizione precedente a quello – risalente al 30 marzo 1999 – accertato dai giudici di appello, è invece inammissibile. Dalla sentenza impugnata risulta, sì, l’esecuzione del pagamento in acconto, ma non la sua data, che la ricorrente, d’altro canto, allega in maniera generica (il 1997) e, soprattutto, senza precisare da quali documenti (oltre al prospetto del suo capo ragioneria, della cui irrilevanza si è già detto) essa risulti, riportandone il contenuto in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

2.1.1. – Il Comune obbietta, nel controricorso, che del pagamento parziale in questione non può tenersi alcun conto, ai fini di cui trattasi, in quanto non era stato eseguito dagli organi comunali, bensì dall’organo straordinario di liquidazione.

2.1.2. – L’obiezione non ha fondamento.

L’"organo straordinario di liquidazione" è previsto dalla disciplina sul dissesto dei comuni ( D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 76, e segg., cit., poi trasfusi nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 244, e segg., cit.) con il compito di procedere alla rilevazione delle passività, nonchè al soddisfacimento delle stesse grazie alle attività reperite anche mediante l’accensione di un mutuo, finanziato dallo Stato con la Cassa Depositi e Prestiti, e la vendita dei beni del patrimonio disponibile. Esso, però, è diverso dal curatore fallimentare, perchè non è esterno all’ente in dissesto, ma è, appunto, un "organo", ancorchè "straordinario", del medesimo, con le specifiche attribuzioni appena dette (che esercita in stretta relazione con l’apparato dell’ente: il piano di rilevazione della massa passiva, ad es., è formato, a mente del D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 87, ora D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 254, sulla base dei dati certificati dagli uffici comunali), mentre gli organi istituzionali (sindaco, giunta, consiglio comunale) non cessano di esistere e di operare quanto alle restanti attribuzioni.

Anche la Corte costituzionale ha avuto occasione di evidenziare che "la riferibilità ex lege dell’attività del commissario dell’ente, ancorchè prevista espressamente soltanto per l’ipotesi di accensione del mutuo, è in realtà più generale e riguarda ogni attività (quali transazioni, alienazioni) che egli è autorizzato a compiere e che incida nella sfera di soggettività dell’ente" (sent. 155/1994, cit.), e che "è in principio da escludere l’assunzione, da parte degli organi istituzionali, di una posizione conflittuale con quella dell’organo della procedura" (sent. 242/1994, cit.).

3. – La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà al principio di diritto enunciato al par. 1.1 e, inoltre, motiverà in ordine alla sussistenza o meno, in concreto, di una tacita rinunzia alla prescrizione implicata dal pagamento parziale di cui si è detto.

Il giudice di rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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