Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-01-2011) 23-03-2011, n. 11704

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 31.5.2010 la Corte d’appello di Caltanissetta ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione proposta il 13.6.2009, avverso la sentenza irrevocabile della Corte d’appello di Palermo che in data 25.2.2006 aveva condannato C.B. alla pena di dieci anni di reclusione, per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa.

2. Ricorre in cassazione nell’interesse del C. il difensore fiduciario, chiedendo l’annullamento di tale ordinanza e l’accoglimento dell’istanza di revisione, per i seguenti motivi:

– 1: violazione della L. 23 novembre 1998, n. 405, perchè la Corte nissena avrebbe dovuto rimettere gli atti per competenza alla Corte d’appello di Catania, in quanto presidente dell’Ufficio della Corte di Caltanissetta era il dott. I., che aveva presieduto il primo grado del processo di merito contro il C., definito con sentenza di condanna del 5.4.1996, sicchè non si poteva pensare "che serenamente i Giudici possano sconfessare l’operato del loro attuale Capo"; sul punto secondo il ricorrente non vi sarebbe neppure un rigo di motivazione, nonostante il problema fosse stato posto ai Giudici territoriali;

– 2: violazione di legge in relazione all’art. 630 c.p.p., comma 1, lett. C, artt. 631 e 634 c.p.p. e manifesta illogicità della motivazione "sui nuovi elementi di prova dedotti nell’istanza di revisione e valutati nell’ordinanza impugnata", perchè:

essendo la sentenza di condanna basata su indizi costituiti da "dicerie e voci", erroneamente la Corte avrebbe ritenuto i fatti nuovi descritti nell’istanza di revisione – "le accuse clamorosamente smentite" del magg. CC S., del pentito M., del m.llo CC Ca., del p.m. dott. T., nonchè dei pentiti E., P. e G. – afferenti fatti secondari e non rilevanti, essendo invece essi del tutto idonei a costituire prove nuove, proprio in relazione al basso standard probatorio utilizzato per la decisione di cui si chiede la revoca. I Giudici, infatti, non avrebbero colto lo spirito della richiesta di revisione, volta all’accertamento dell’effettiva verità storica dei fatti, con la rinnovazione della valutazione delle dichiarazioni acquisite in quel processo, che le nuove prove proposte attesterebbero "non essere stata in concreto ponderata in tutte le sfaccettature che il delicato caso richiedeva". Tanto varrebbe in particolare per le dichiarazioni di M., essendo irrilevante che i dati siano precedenti alla sentenza di primo grado, in relazione all’insegnamento di legittimità sulla nozione di "prova nuova". L’intera "trama accusatoria" avrebbe sofferto, quindi, dell’impossibilità di una conferma diretta dei diretti protagonisti, venuti tutti a mancare, con la generale conseguente inattendibilità del quadro accusatorio, anche per l’inattendibilità pure di Ca., S., E. e "degli altri richiamati nel ricorso", secondo il ricorrente dimostrata, nonchè per il successivo rinvio a giudizio di P. e G. per calunnia, pendendo tuttora il processo relativo dopo l’assoluzione in primo grado. Quanto alle dichiarazioni del p.m. T. in altro processo, queste rileverebbero per attestare il clima colpevolista che avrebbe caratterizzato le indagini, idoneo ad influenzare l’apprezzamento complessivo delle prove indiziarie;

. la Corte distrettuale non avrebbe poi argomentato in ordine:

.. alle richieste relative all’"utilità" di porre a confronto i verbali e le dichiarazioni di CA., F., D.L. e GA., per valutare chi potrebbe essere il vero autore dell’anonimo circolato in ambienti giudiziari dopo la morte di Fa.Gi.;

.. agli esiti delle indagini dei magistrati B. e c. in ordine all’incontro tra Bo.Pa. e PA. insieme con il ricorrente ed al non avere il CA. mai ricevuto telefonate il 17.7.1992;

all’importanza dell’avere il CA. ricevuto l’incarico di svolgere accertamenti sulle utenze cellulari in uso al ricorrente senza averne mai riferito gli esiti;

.. all’esito del confronto disposto il 26.1.1999 dal pubblico ministero di Caltanissetta tra DI.LE. e S. con D. S.;

alla necessità di verificare l’affermazione dei componenti della prima volante giunta in via D’Amelio dopo la deflagrazione, di non aver notato la presenza del ricorrente sul posto. in definitiva, le nuove prove dedotte nell’istanza sarebbero rilevanti per minare la ricostruzione in fatto e in diritto operata dalle sentenze di merito, aggredendone il significato logico- probatorio che si baserebbe su "percorsi argomentativi non sempre persuasivi", non potendo essere valutate nella sola fase preliminare e sommaria ed imponendo "una profonda riflessione sul coinvolgimento del ricorrente nell’intera vicenda", possibile solo con il tramutare tali elementi di prova in prove nel contraddittorio;

-3: violazione di legge in relazione all’art. 630 c.p.p., comma 1, lett. A, perchè la Corte distrettuale non avrebbe colto il vero rapporto esistente tra i processi C., A. e ca., consistente nell’essere stati gli stessi basati sulle dichiarazioni dei medesimi testi, e tuttavia nell’essersi conclusi con due assoluzioni ed una condanna, con contrapposte valutazioni sull’attendibilità e pur in presenza, quanto al C., di motivazioni di vendetta;

-4: violazione di legge in relazione all’art. 634 c.p.p., comma 1, perchè la Corte nissena non si sarebbe limitata ad una delibazione sommaria degli elementi di prova addotti, ma avrebbe svolto quell’approfondita valutazione della prova in concreto che la giurisprudenza di legittimità le vieta nella fase preliminare, anticipando così un apprezzamento di merito avulso dal contraddittorio tra le parti e basato su prove non ancora acquisite, senza dare applicazione al principio del "favor revisioni" volto ad assicurare la ricerca della verità. 2.1 Il 18 gennaio è stato depositato un atto denominato "memorie difensive", che in primo luogo tratta la tematica del "concorso esterno di stampo mafioso", prospettando anche la non manifesta infondatezza dell’eccezione di costituzionalità dell’art. 110 c.p. come interpretato sul punto dalla Corte di legittimità.

Successivamente l’atto segnala un esposto che il ricorrente ha depositato il 17.1.2011 a diverse autorità, riferendo come in un libro di cui è autore un pubblico ministero presso il Tribunale di Palermo, stampato nel novembre 2010, si riferisca di accuse rivolte al dott. C. dal sedicente pentito Sc.Vi., che non furono tenute in considerazione perchè ritenute non convincenti, pur risultando minuziose e precise, apparentemente riscontrabili. Nell’esposto il ricorrente lamenta in particolare che non si sia indagato per comprendere la ragione ispiratrice di quelle poi ritenute inattendibili accuse nei suoi confronti, nonchè di nulla aver saputo della loro esistenza, invece significativa per comprovare un generale complotto in suo danno, rimanendo così espropriato della possibilità di utilizzare tale evento nella propria difesa e rimanendo il dubbio che, ove ciò fosse accaduto, l’esito del processo di merito avrebbe potuto essere differente.

3. Il procuratore generale in sede ha presentato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso.

4. Il ricorso è inammissibile. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, equa in relazione al caso, di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

4.1 Il primo motivo è inammissibile per genericità: contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, l’ordinanza da conto dell’eccezione (pag. 1) e vi risponde con argomentazioni specifiche (pagg. 4 e 5), con le quali il ricorrente non si confronta, così determinando la genericità della riproposta censura.

4.2 Il secondo articolato motivo è inammissibile perchè manifestamente infondato e, in parte, anche generico, posto che talune indicazioni, caratterizzate dal mero rinvio ad atti esterni al ricorso, non consentono di cogliere censure specifiche riconducibili ai vizi soli rilevanti ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E. La Corte nissena ha:

. prima, dato conto degli elementi dedotti come "prove nuove" nell’istanza (pag. 2-4);

poi, indicato quali erano state le prove poste a fondamento della condanna in giudicato (pag. 6-8), evidenziando come in particolare appartenesse al giudicato la specifica valutazione che l’accertata ampiezza del materiale probatorio e la precisa convergenza di tutte le chiamate in correità escludessero in modo categorico orchestrate collusioni o indimostrati complotti, essendo basate su precisi e provati contatti dell’imputato con soggetti gravitanti in ambienti mafiosi e su specifiche e provate condotte di agevolazione;

. quindi proceduto (pag. 8-15) al confronto doveroso con i singoli elementi dedotti nell’istanza (in particolare il contesto delle dichiarazioni di M. ed E., la presenza del ricorrente in via D’Amelio, la vicenda P. – G., i differenti apprezzamenti di attendibilità in altri processi, le dichiarazioni in sede di requisitoria), per verificarne l’idoneità astratta a modificare il giudicato, che ha escluso. Al riguardo vi è richiamo:

1) alle valutazioni già contenute nelle sentenze di merito passate al vaglio di questa Corte suprema; 2) alla giurisprudenza di questa Corte quanto alle argomentazioni di ordine logico; 3) alla non riconducibilità al concetto di prova nuova e all’assorbimento nell’intervenuto giudicato; 4) alla palese (e spiegata) marginalità o irrilevanza o non riconducibilità al requisito della prova nuova di ciascuno di tali elementi, tenuto conto del richiamato complessivo quadro accusatorio come emergente dalla sola lettura delle sentenze, perchè gli stessi attingevano aspetti non posti a fondamento della condanna e comunque per sè ed insieme all’evidenza inidonei – atteso il contenuto probatorio che si intendeva perseguire – a disarticolare il dettagliato nucleo di prove posto a base della condanna.

In definitiva, il ricorso sul punto risulta solo sollecitare un vero e proprio quarto grado di giudizio, con la rivisitazione complessiva del materiale probatorio acquisito, censurato come di "basso standard probatorio", e che ha fondato la condanna in giudicato, la cui valutazione è affermata, pur con articolate argomentazioni, come intrinsecamente inadeguata (in ragione dell’essere stata sostanzialmente fondata su "voci e dicerie" e su dichiarazioni di dubbia attendibilità) e compatibile con diversa e più favorevole soluzione.

Ma si tratta di sollecitazione estranea ai presupposti che caratterizzano l’eccezionalità dell’istituto che, come tale, deve segnalare elementi di inequivoco spessore supportante il proscioglimento del condannato.

4.3 Il terzo motivo è al tempo stesso manifestamente infondato e diverso da quelli consentiti: come la Corte distrettuale ha correttamente evidenziato, questa Corte suprema ha già affermato il principio di diritto che il giudizio di inattendibilità di una fonte di prova orale, reso in procedimenti diversi da quello in cui è intervenuta la sentenza irrevocabile di condanna che si intende "attaccare", pur se per fatti analoghi, non costituisce prova nuova tale da condurre all’ammissibilità di una richiesta di revisione (Sez. 2, sent. 49959 del 28.10 – 30.12.2009).

Nè tale insegnamento può mutare ove, come nella fattispecie, il ricorrente prospetti il punto richiamando la diversa ipotesi del contrasto tra giudicati piuttosto che quella della prova nuova, perchè il tema dedotto rimane lo stesso: quello del differente apprezzamento dell’attendibilità soggettiva od oggettiva, o di entrambe, della medesima fonte dichiarativa in processi diversi, pur eventualmente aventi per oggetto un medesimo contesto. Il contrasto di giudicato che rileva come causa di revisione è infatti solo quello che si riferisce alle medesime parti ed alle medesime imputazioni.

Palese è, così, la natura di merito della doglianza sottesa al motivo, esclusivamente volta ad ottenere la rivalutazione delle prove dichiarative de quibus.

4.4. Il quarto motivo è al tempo stesso manifestamente infondato e generico. Rilevato che opportunamente la Corte nissena ha comunque sollecitato un’interlocuzione scritta della difesa istante, rispetto alle conclusioni scritte del procuratore generale distrettuale, nell’ordinanza impugnata lo stesso Giudice si è espressamente confrontato con il punto ora riproposto nel ricorso, risolvendolo con specifica argomentazione ed in modo corretto (pag. 15).

Effettivamente il parametro per verificare se il giudice funzionalmente competente a deliberare l’inammissibilità dell’istanza di revisione prima del relativo giudizio abbia ecceduto l’ambito specifico del potere riconosciutogli non è quantitativo ma, e solo, qualitativo.

In particolare, si tratta di verificare se la corte d’appello giunga alla deliberazione preventiva di inammissibilità attraverso la valutazione anticipata del possibile esito della prova nuova dedotta – in termini di attendibilità oggettiva e soggettiva o di efficacia probatoria in concreto -, quando ne abbia contestualmente riconosciuto la pertinenza e l’astratta idoneità a mutare il giudicato. Ogni apprezzamento di merito sull’esito in concreto di una prova in ipotesi astrattamente idonea a determinare la modifica della statuizione in giudicato deve, infatti, seguire il contraddittorio orale tra le parti (ricordando che in ogni caso anche il giudizio di revisione può chiudersi con la dichiarazione di inammissibilità, dopo tale contraddittorio – s.U. sent. 624 del 26.9.2001 – 9.1.2002 – anche senza procedere all’istruttoria dibattimentale), mentre l’apprezzamento sull’idoneità astratta della proposta prova nuova a modificare il giudicato è parte essenziale del vaglio preliminare di ammissibilità.

Ciò che in altri e conclusivi termini rileva a imporre per sè la fase del giudizio non è pertanto il numero delle questioni proposte e delle prove nuove dedotte, rispetto a ciascuna delle quali deve compiersi la preliminare valutazione di ammissibilità, con la conseguente inevitabile necessità di una doverosa risposta quantitativamente adeguata, nel suo complesso, alle singole questioni e prove indicate, ma, sempre ed in ogni caso, la loro autonoma o complessiva idoneità astratta a determinare, ove l’esito del giudizio di revisione desse un riscontro probatorio concreto ed efficace in termini, la modifica del giudicato. Ciò che pertanto è precluso al giudice della revisione è anticipare alla fase precedente il giudizio la valutazione prognostica dell’adeguatezza del risultato rispetto alla riconosciuta astratta potenzialità di influenza sul contenuto del giudicato.

E la Corte nissena si è attenuta a tali limiti, compiendo una verifica preliminare dell’astratta rilevanza determinante degli elementi probatori indicati nell’istanza a mutare il giudicato, idoneità che ha escluso senza procedere ad alcuna approfondita e indebita anticipazione di un giudizio compiuto sulla base di regole di giudizio proprie solo della fase di merito (Sez. 1, sent. 29660 del 17.6-16.7.2003; Sez. 5, ord. 11659 del 22.11.2004-24.3.2005; Sez. 6, sent. 2437 del 3.12.2009-20.1.2010).

Del resto, il motivo svolge deduzioni astratte, senza alcun indicazione di quale specifica parte del provvedimento impugnato avrebbe in concreto operato una valutazione ultronea rispetto ai limiti affermati dalla ricordata giurisprudenza.

4.5 Da ultimo, le deduzioni proposte nelle "memorie difensive" sono anch’esse irrilevanti per la decisione.

La tematica teorica del concorso esterno in associazione mafiosa, anche nei suoi eventuali riflessi di potenziale illegittimità costituzionale, è, per sè, estranea alle tassative ragioni che ai sensi dell’art. 630 c.p.p. possono determinare la revisione di una sentenza definitiva.

La notizia dell’esposto presentato dal dott. C. in relazione all’informazione pubblicata sul libro indicato nello stesso ed alle sue potenziali implicazioni è anch’essa palesemente inidonea, almeno allo stato, a imporre la revisione della sentenza di condanna, per la prospettazione in termini del tutto generici ed ipotetici del contenuto e della sua rilevanza nel quadro probatorio, ricordato dalla Corte distrettuale e su cui si è fondata la condanna in giudicato. Non è in particolare la procedura di revisione quella deputata allo svolgimento di accertamenti per verificare l’eventuale esistenza di contesti fattuali, specificamente individuati, idonei ad integrare il concetto procedimentale di "prova nuova rilevante":

contesti la cui individuazione sufficientemente determinata deve preesistere alla procedura di revisione. Del resto, ben può la difesa, con l’esercizio dei poteri di indagine difensiva, acquisire dai soggetti indicati nell’esposto informazioni puntuali che consentano di concretizzare la prova specifica che si vuole introdurre e la sua almeno astratta decisività, allo stato sostanzialmente neppure affermata nello stesso esposto (pag. 19 ultimo paragrafo e 20 dell’atto di "memorie difensive").
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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