Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-07-2010, n. 15803 PREVIDENZA SOCIALE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza specificata in epigrafe, la Corte d’appello di Campobasso, riformando la decisione di primo grado del Tribunale della stessa città, ha accolto la domanda di R.F., intesa ad ottenere dall’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia ai sensi della L. n. 297 del 1982, il pagamento del credito per t.f.r., maturato nei confronti di C.G., datore di lavoro insolvente.

1.1. Ha rilevato, in particolare, la Corte territoriale che – contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice – l’intervento del Fondo non era impedito, nel caso dì specie, dalla circostanza che l’istanza di fallimento – presentata dal lavoratore – fosse stata respinta a causa del decorso di un anno dalla cessazione dell’attività imprenditoriale, dovendosi invece avere riguardo, ai fini della operatività della tutela prevista dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, così come intesa anche alla luce dei principi comunitari, alla proposizione dell’atto di iniziativa volto a far valere il credito di lavoro.

2. Avverso tale sentenza l’Istituto ha proposto ricorso per Cassazione deducendo un unico motivo di impugnazione. Il lavoratore ha resistito con controricorso, precisato con successiva memoria.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di impugnazione, concluso da specifico quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., l’Istituto ricorrente, denunciando violazione della L. n. 297 del 1982, art. 2 sostiene che in base a tale norma la garanzia non possa operare, in favore di lavoratori dipendenti da imprese soggette a fallimento, in assenza della procedura concorsuale, che nella specie era mancata per il decorso di un anno dalla cessazione dell’attività imprenditoriale.

2. Tale motivo non è fondato.

2.1. La Direttiva CE n. 987 del 1980 prevede l’intervento del Fondo di garanzia quando sia stata chiesta l’apertura di un procedimento volto a soddisfare collettivamente i creditori e quando l’autorità competente abbia deciso l’apertura di detto procedimento, ovvero abbia constatato la chiusura definitiva dell’impresa e l’insufficienza dell’attivo disponibile per giustificare l’apertura del procedimento (art. 2, par. 1). Già la direttiva quindi da rilevo ad ipotesi – seppure non perfettamente coincidenti con quelle previste dalla norma della legge fallimentare italiana che ha operato nella specie – di non apertura della procedura concorsuale dipendenti non dall’inesistenza dell’insolvenza ma da valutazioni legislative correlate alla mancanza di un’esigenza attuale di apertura della procedura stessa. Non è ravvisabile quindi una finalità della direttiva contraria alla valorizzazione da parte del diritto italiano di una situazione di insolvenza in cui l’apertura del fallimento sia preclusa dal decorso del tempo dalla cessazione dell’impresa.

Deve poi tenersi presente l’art. 2, par. 4, secondo cui "La presente direttiva non impedisce agli Stati membri di estendere la tutela dei lavoratori subordinati alle situazioni di insolvenza, come la cessazione di fatto dei pagamenti in forma permanente, stabilite mediante procedure diverse da quelle di cui al par. 1 previste dal diritto nazionale". 2.2. La L. n. 297 del 1982, all’art. 2, ha previsto il pagamento del t.f.r. da parte dell’INPS quando l’impresa sia assoggettata a fallimento, ovvero quando (comma 5) il datore di lavoro, non soggetto alla legge fallimentare, venga sottoposto senza esito ad esecuzione forzata.

2.3. Questa Corte ha recentemente ritenuto con le sentenze n. 7466 del 2007 e n. 1178 del 2009 che una lettura della legge nazionale orientata nel senso voluto dalla direttiva consente, secondo una ragionevole interpretazione, l’ingresso ad un’azione nei confronti del Fondo di garanzia, quando l’imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento e l’esecuzione forzata si riveli infruttuosa. L’espressione "non soggetto alle disposizioni del R.D. n. 267 del 1942" va quindi interpretata nel senso che l’azione della citata L. n. 297 del 1982, ex art. 2, comma 5, trova ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi per le sue condizioni soggettive (ad esempio, piccolo imprenditore) vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo (ad esempio, trattandosi di ditta individuale cessata da oltre un anno); cioè, l’imprenditore "non più" assoggettabile a fallimento va considerato come imprenditore non soggetto alla legge fallimentare.

2.4. A tale interpretazione il Collegio intende dare continuità nei seguenti termini.

Si rileva, da un lato, che la stessa, come si è visto sub 2.1., non solo valorizza una situazione analoga ad una di quelle specificamente previste dalla direttiva, ma anche trova piena giustificazione nella facoltà data dalla direttiva ai legislatori nazionali di assicurare la tutela dei lavoratori anche in casi di insolvenza accertati con modalità e in sedi diverse da quelle tipiche delle procedure concorsuali.

Si osserva, poi, che la medesima interpretazione esclude quella situazione di non-copertura assicurativa che altrimenti si verificherebbe quando, come nella specie, il datore di lavoro è astrattamente assoggettabile a fallimento, ma il fallimento non può essere dichiarato per il decorso del tempo, mentre il lavoratore abbia intrapreso un’esecuzione forzata e questa non dia esito (cfr.

Cass. n. 11379 del 2008). Questo risultato è coerente con la finalità del Legislatore del 1982, che, mediante l’istituzione di un Fondo di garanzia affidato all’ente previdenziale pubblico, ha inteso compensare la peculiarità della disciplina del t.f.r. – in cui il sistema degli accantonamenti fa sì che gli importi spettanti al lavoratore vengano trattenuti e utilizzati dal datore di lavoro – con la previsione di una tutela certa del credito, realizzata attraverso modalità garantistiche e non soggetta alle limitazioni e difficoltà procedurali previste, invece, per la tutela delle ultime retribuzioni (ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1992).

2.5. Il principio da affermare, quindi, è che, ai fini della tutela prevista dalla L. n. 297 del 1982 in favore del lavoratore, per il pagamento del t.f.r. in caso di insolvenza del datore di lavoro, quest’ultimo, se è assoggettabile a fallimento, ma in concreto non può essere dichiarato fallito per avere cessato l’attività di impresa da oltre un anno, va considerato "non soggetto" a fallimento, e pertanto opera la disposizione dell’art. 2, comma 5, della predetta legge, secondo cui il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia costituito presso l’INPS alle condizioni previste dal comma stesso, essendo sufficiente, in particolare, che il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, salvo che risultino in atti altre circostanze le quali dimostrano che esistono altri beni aggredibili con l’azione esecutiva.

2.6. In base a tale principio, deve concludersi che la decisione impugnata ha correttamente riconosciuto il diritto del lavoratore di ottenere la tutela del Fondo di garanzia, essendosi accertato, in modo pacifico, che egli aveva dapprima ottenuto decreto ingiuntivo per il pagamento del t.f.r. e aveva poi vanamente proposto l’azione esecutiva, vedendosi quindi rigettare l’istanza di dichiarazione di fallimento per il decorso di un anno dalla cessazione dell’impresa, e aveva infine domandato l’intervento del Fondo dopo avere nuovamente promosso, senza esito, l’azione esecutiva individuale.

3. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. La difficoltà della questione e il consolidarsi recente del richiamato orientamento giurisprudenziale inducono a compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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